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 2010  aprile 27 Martedì calendario

STORIA DI UN’AQUILA E DEL PASSEROTTO CHE L’AIUTO’ A VOLARE

Questa è la storia di un’aquila e di un passerotto. L’aquila è Albert Einstein (1879-1955), il passerotto è un suo carissimo amico e confidente, persino suo «aiutante», l’ingegnere e fisico svizzero Michele Besso (1873-1955). «Besso si può paragonare a un passero trascinato ad altezze vertiginose sulla scia di un’aquila» dice il fisico Etienne Klein, ricercatore presso il Commissariato francese per l’energia atomica (Cea) e direttore del Laboratorio di ricerca sulle scienze e la materia (Larsim). «Ma di tanto in tanto il passerotto, guidato dall’aquila, può prendere un po’ di slancio e sorpassarlo brevemente».
I 53 fogli del «manoscritto Einstein-Besso», di proprietà della società Aristophil e esposti dal 15 aprile al Museo delle lettere e dei manoscritti di Parigi, sono una delle più emozionanti illustrazioni di questa simbiosi tra due cervelli, che nel caso specifico ha condotto alla teoria della relatività generale. Il manoscritto, datato 1912-1913, è in realtà un brogliaccio sul quale i due fisici hanno riportato calcoli complessi, con cui puntavano a convalidare quel che allora non era che un embrione della relatività generale. L’idea di base era utilizzare certe equazioni per spiegare le bizzarrie della rotazione di Mercurio attorno al Sole. Senza successo.
Senza successo? Il manoscritto documenta tuttavia una tappa essenziale dell’elaborazione della relatività generale, tuttora utilizzata dagli astronomi e dai cosmologi per descrivere i movimenti delle stelle e delle galassie.
Per capire di che si tratta bisogna tornare a un pomeriggio del maggio 1907, in una stanza dell’Ufficio brevetti di Berna, quando «l’esperto di seconda classe» Albert Einstein concepì «l’idea più felice della mia vita». Per i profani, l’idea in questione può apparire di un’assoluta banalità. «Einstein immagina di stare precipitando e si rende conto che mentre è in caduta libera non sente più il suo proprio peso», spiega Etienne Klein. «Ciò che comprende in questo modo è che, se uno cade, la sua velocità è accelerata dalla gravità, ma gli oggetti che sono intorno a lui - il suo ombrello, il suo cappello, il suo portafoglio - cadono come lui. Dunque, in rapporto a lui, sono privi di gravità. Einstein comprende che la caduta libera annulla localmente la gravità». Il grande fisico raccontò più tardi fino a che punto quest’idea, che conteneva in nuce il principio di equivalenza tra accelerazione e gravitazione, lo scombussolò e lo ossessionò.
 questo che lo portò a cercare d’integrare la nozione di gravitazione con la teoria della relatività ristretta, pubblicata nel 1905 e secondo la quale il tempo non scorre in ogni luogo alla medesima velocità. Nel 1912 Einstein lasciò Praga, dove aveva ottenuto nel 1909 la sua prima cattedra universitaria, e tornò a Zurigo, città dei suoi primi studi, per cercare l’aiuto dell’ungherese Marcel Grossmann, incontrato molti anni prima al Politecnico. Grossmann gli suggerì di utilizzare un «tensore» (un particolare oggetto matematico) per descrivere la geometria dello spazio e del tempo mescolati. «Ma Einstein valutò che il tensore proposto da Grossmann fosse troppo complesso, troppo ”matematico”», dice ancora Klein, «perciò lo respinse e gli preferì un tensore più semplice, più ”fisico”».
Il risultato del lavoro dei due fisici fu un primo abbozzo di teoria della relatività generale, pubblicato nel 1912. Come sottoporlo a esperimento? a questo punto della storia che comincia quella, misconosciuta, del manoscritto Einstein-Besso. Einstein convocò l’amico e confidente svizzero per aiutarlo a fare alcuni calcoli e mettere alla prova il suo abbozzo di relatività generale applicandolo a un problema ben noto agli astronomi: l’anomalia nell’orbita di Mercurio. «Dal XIX secolo si sa che il perielio di questo pianeta, cioè il punto in cui è più vicino al Sole, si sposta più avanti di quanto prevedano le equazioni di Newton. L’eccedenza è di 43 secondi d’arco per secolo, corrispondente all’angolo sotto il quale si vede un capello dalla distanza di un metro», spiega Klein. «Einstein affermò che la sua teoria sarebbe stata convalidata se avesse giustificato quest’anomalia dell’avanzata del perielio di Mercurio».
Una parte del manoscritto Einstein-Besso è dedicata a questo test cruciale. Nelle pagine, linee di equazioni di Einstein, senza interruzioni, vergate con decisione, si succedono a quelle di Bresso, un po’ più esitanti e spigate con numerose note. Il risultato è disastroso. Anziché spiegare i 43 secondi d’arco per secolo, la nuova teoria imporrebbe un’avanzata di più di 1800 secondi d’arco per secolo, lontanissima dalla realtà delle osservazioni astronomiche. Tuttavia, «un po’ più avanti nel testo, i due fisici si rendono conto di essersi ingannati sulla massa del Sole», osserva Klein. Un errore di un fattore 10, che correggono finalmente, per arrivare a un risultato meno assurdo, ma comunque sballato: 18 secondi d’arco per secolo...
Scacco completo? Ancora più avanti, alla fine un altro calcolo, Einstein scrive: «Stimmt» (cioè «corretto»). «A dispetto del fallimento della sua teoria nello spiegare l’avanzata del perielio di Mercurio, Einstein si convinse di aver dimostrato un’altra cosa», spiega Klein. «Nel 1907 aveva avuto l’intuizione che una caduta libera ”annullava” un campo gravitazionale. Qui, nel manoscritto, mostra di pensare che un movimento rotatorio possa, a sua volta, essere considerato come equivalente a un campo gravitazionale. Ritiene dunque di aver generalizzato il suo principio di equivalenza».
Ma due anni dopo Einstein capisce che anche questo calcolo è sbagliato: non ha generalizzato proprio niente. a questo punto che prova a utilizzare nella sua teoria il tensore, giudicato troppo complesso, che gli aveva proposto Grossmann. E nel 1915 sottopone a test il nuovo tensore sull’avanzata del perielio di Mercurio. Questa volta il risultato è perfetto. L’emozione è tale che Einstein scriverà di esser quasi svenuto, per un attacco di tachicardia.
Superato sulla linea del traguardo, il grande matematico David Hilbert (1862-1943), che era a sua volta sulle tracce di una teoria relativistica della gravitazione, scrive a Einstein per felicitarsi che abbia concluso così presto quei calcoli complicati. Commenta Etienne Klein: «Einstein aveva già fatto quel tipo di calcoli molti anni prima, con il prezioso aiuto di Michele Besso». A dimostrazione di come, a volte, l’aquila non possa volare senza il passerotto.
© Le Monde