Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 27 Martedì calendario

NOI SCHIAVIZZATI DAI NUOVI NEGRIERI

Ahi, che dolore doverne prendere atto. Come se il tempo si fosse fermato, qui a Rosarno. Per una volta tanto, Nord-Sud uniti nella lotta. Che vergogna, questo moderno Medioevo.
Non c’è più l’emergenza dell’invasione dei clandestini? Adesso il problema sono diventati i regolari. Contro cui opporre ostacoli, fare dispetti, vomitargli addosso quel rancore sociale che si fa terribile in tempo di crisi. I «nonni» extracomunitari che da clandestini sono diventati regolari nel tempo, magari sanati poi con un contratto di lavoro stagionale e adesso che il lavoro non c’è più di nuovo clandestini, sono il primo obiettivo contro cui infierire.
Non è un caso che due caporali li hanno arrestati a Villa Literno e a Casal di Principe. Rosarno e la rivolta di gennaio ricordava Castel Volturno, quando la collera nera mise a ferro e a fuoco quella terra. Ma lì c’erano stati gli angeli della morte dei Casalesi a stroncare la vita, a bucare con proiettili d’acciaio i corpi indifesi degli extracomunitari. Qui, invece, si scopre adesso, con le prove raccolte dalla Squadra Mobile, quella collera esplose perché i neri erano stati per troppo tempo vittime di un fenomeno di bullismo mafioso, che li ha portati ad essere bersagli di colpi di pistole o fucili ad aria compressa, e di uno sfruttamento bestiale da parte di moderni negrieri, proprietari terrieri di una terra che respira aria di violenza e passato.
Una miscela insopportabile, che ha costretto loro, i clandestini, a trasformarsi in cittadini. Quindici, per l’esattezza, sono diventati testimoni di giustizia. Sono loro che da vittime sono diventati implacabili accusatori dei carnefici, i caporali (gli intermediari della forza lavoro) e i proprietari terrieri. Un atto estremo, un suicidio per certi versi, avendo deciso di farla pagare a chi gli offriva un lavoro.
Che tenerezza questi poliziotti e carabinieri che raccolgono storie e testimonianze come se fossero sociologi o studenti di qualche associazione di volontariato. «Sono arrivato in Italia - più che un verbale di polizia, quello di Frank Oppong, 30 anni, della Sierra Leone, è un pezzo di letteratura, una pagina di storia - e più precisamente a Lampedusa il 5 o il 6 febbraio del 2003, proveniente dalla Libia a bordo di un barcone con circa 60 immigrati clandestini di varie nazionalità (Senegal - Ghana - Mali - Liberia - Costa d’Avorio). Dopo le formalità di rito, da subito ci hanno trasferito presso il campo profughi di Foggia, dove ho chiesto asilo politico, per cui mi veniva concesso un permesso di soggiorno temporaneo di tre mesi. La stessa Commissione mi rigettava la concessione dell’asilo politico. Quindi la questura di Foggia mi muniva di decreto di espulsione, ma sono rimasto in Italia in clandestinità. Da lì mi sono trasferito a Napoli, ove ho esercitato piccoli lavori in agricoltura. Tutto ciò fino al 5 di gennaio del 2009, allorquando decisi di andare a Rosarno, ove mi era stato riferito da alcuni amici che c’era la possibilità di trovare un lavoro. Una volta giunto in quel centro, ho incontrato altri africani che mi hanno indirizzato verso una fabbrica dismessa, situata nei pressi dell’abitato di Rosarno, ove avrei trovato un alloggio di fortuna, insieme a numerosi africani. In quel luogo ho ricavato un ricovero di fortuna per diversi mesi».
Ecco, quando si dice che le frontiere ormai sono sigillate, che gli indesiderabili non sbarcano più a Lampedusa, che quelli che ci provano salpando dalla Grecia vengono rispediti indietro. Tutto vero. Ma quanti Frank Oppong arrivati nel 2003 e poi a seguire fino a ieri, anche l’altro ieri, vivono in queste condizioni? E possiamo continuare a trattarli come se fossero entrati ieri clandestinamente nel nostro territorio? Frank sta in Italia da otto anni. Tanti. E letta tutta d’un fiato, la testimonianza di Frank è un déjà vu, un racconto familiare. Come quello che segue del «nonno» Ramli Abedelaziz, visto che vive in Italia da 13 anni: «Dal 1997 sono presente sul territorio italiano con regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Lo stesso non mi è stato più rinnovato da circa tre anni poiché in base alla legge Bossi-Fini avendo perso il lavoro non rientravo più nelle condizioni soggettive per ottenere il relativo rinnovo. Da allora vivo in giro per l’Italia facendo lavori saltuari e stagionali».
La rivolta di gennaio di Rosarno fu raccontata da alcuni come storia di ”ndrangheta. Magari fosse andata così, con i negrieri delle ”ndrine a governare i moti di piazza. Rosarno purtroppo è molto più vicina a quel Nord del rancore e della rabbia contro gli extracomunitari. Qui non ci sono freni per uno sfruttamento bestiale della forza lavoro extracomunitaria.
Ma nelle campagne del Nord vengono applicati i contratti dei lavoratori «bianchi» anche per loro? Per gli extracomunitari irregolari? E la cattiveria - che qui a Rosarno si è materializzata con le bastonate - non c’è anche al Nord? Con quelle leggi ad escludendum? Che vietano la tessera per accedere al fondo di povertà agli extracomunitari (Regione Friuli).