La *colomba pugnalata : Proust e la Recherche / Pietro Citati- Milano : A. Mondadori, 1998- 417 p., 27 aprile 2010
Le frasi più belle di Citati riguardanti Marcel Proust. finire Pietro citati, La colomba pugnalata La *colomba pugnalata : Proust e la Recherche / Pietro Citati- Milano : A
Le frasi più belle di Citati riguardanti Marcel Proust. finire Pietro citati, La colomba pugnalata La *colomba pugnalata : Proust e la Recherche / Pietro Citati- Milano : A. Mondadori, 1998- 417 p.Pietro citati, La colomba pugnalata 1. A Parigi, un giorno Reynaldo Hahn e Proust andarono al Jardin d’Acclimatation, dove c’era un gruppo di colombes poignardèès, - le colombe che portano sul petto una macchia rossa simile a una ferita insanguinata. Forse Robert de Montesquiou aveva parlato loro con entusiasmo di quegli uccelli privilegiati. Reynaldo osservò che ”con la loro ferita rossa e come ancora calda” le colombes poignardèes ”sembrano ninfe che si sono suicidate per amore e che un dio ha mutato in uccello”. Quel giorno Proust le contemplò a lungo, e le amò sempre profondamente. Sofferenza I due filosofi di Rembrandt, ammirato da Proust al Louvre, in compagnia di Lucien Daudet. 8. Né la nonna né la madre di Marcel avevano paura del male, il loro animo era troppo puro per temerlo. Senza preoccuparsi delle curiosità malsane o delle situazioni ardite, o delle parole crude, non sapevano cosa fosse la pudibonderia . Temevano una sola cosa: la volgarità, la frivolezza. Male 2. In una lettera a Albert Thibaudet, per scusarsi di un presunto difetto nel carattere del protagonista della Recherche, egli scrisse: ”Il fatto che in tutta la mia vita ho sempre pensato pochissimo a me stesso”. La frase sembra strana, se ricordiamo che Proust estrasse un romanzo di tremila pagine dalla sua vita, come il più infaticabile baco da seta: ma è esatta. Proust non pensava a sé stesso, prestava poca attenzione al suo io, non badava alla propria persona; e se pensava a sé stesso credeva di non avere talento. essere, talento 3. Mai, né nel Jean Santeuil né nel Contre Sainte-Beuve né nella Recherche, egli ebbe il dono della forma rapida e assoluta: non era kafka che si poneva al tavolino dopo ore di lavoro di ufficio, senza schemi né abbozzi, e subito trovava l’espressione definitiva di un pensiero tremendamente complesso. Se gli scrittori aridi soffrono di povertà di idee, Proust soffriva per sovrabbondanza di idee e di sensazioni e di sottosensazioni e di sottosentimenti. C’era sempre un ingorgo, che lo faceva piombare nell’informe, e a volte gli faceva credere di non avere talento. Così doveva lavorare come un pittore: scriveva per approssimazioni e velature successive, aggiungendo sfumature a sfumature, colore a colore, rapporto a rapporto, trovando alla fine di questo lavoro inesausto la perfezione pastosa e piena di echi del suo stile fondu. Stile, idee 4. E quando concepì la sua cattedrale, conquistò proprio il dono che la madre, il padre, il nonno, Emerson gli imputavano di non avere: la volontà. Chiuso in casa, senza vedere nessuno, inflessibile, intangibile, si dedicò soltanto al suo libro, come se nient’altro al mondo esistesse e nient’altro esisteva). Si ammalò. Per amore del suo libro, non volle curarsi. Morì per eccesso di volontà, mentre la sua cattedrale restava incompiuta. Volontà, malattie 5. […] la tenerezza morbida e radiosa che si avvicinava agli esseri per condividerne ogni piega; e poi il dono di trasformarsi in una moltitudine; e infine quella specie di sottile, inebriato stato di trance, che gli amici specie nella giovinezza riconoscevano in lui, sia di fronte ad un arbusto sia a una persona sia a una colombe poignardée. Trance Presenza anagramma di speranze. 9 Un amico o una persona amata avevano una presenza reale accanto a lui e dentro di lui, sebbene fossero separati dalla distanza di una lettera o di una linea telefonica. Il loro corpo era lì, come l’ostia nel ciborio. Gli altri sono incomprensibili. Negli altri non si penetra mai. Il mistero che si estende tra due individui non è meno oscuro di quello che divide l’Idea e la Realtà. Idee 10. Il dolore era la vera arma per penetrare nel cuore degli altri: uno strumento al quale nessuno era pari. Aveva letto Schopenhauer, e come lui pensava che l’amore puro fosse ”per essenza pietà”. E pietà, compassione era anche l’amicizia. Lui non credeva che l’amicizia fosse un ”voluttà spirituale e casta”, come scrisse una volta a Vaudoyer: l’amicizia dei filosofi e di Cicerone. Non era nulla di così limitato e misurato: ma sofferenza, rinuncia, sacrificio, perdita di sé, immolazione dostoevskijana. Ebbe la rivelazione di cosa fosse per lui l’amicizia, quando ascoltò il Parsifal di Wagner. Giunse alla scena nella quale Kundry bacia Parsifal. In quel momento Parsifal ha un gesto di spavento: preme il cuore con le mani: baciando Kundry, ha rinnovato in sé il bacio di Amfortas, la sua passione, la sua colpa, la sua piaga, che ora sanguina terribilmente nel proprio cuore. Egli è diventato Amfortas, con un’identificazione assoluta, perché la sua sola scienza è: Durch Mitleid wissend, ”Sapere attraverso la compassione”. L’illuminazione di Parsifal colpì profondamente Proust, tanto che la paragonò, in una nota della Recherche, all’illuminazione che rivelava al suo eroe, nella biblioteca dei Guermantes, l’essenza della memoria, del tempo e dell’eternità. Amicizia, sofferenza Rivedere pg. 83 6. Quando incontrò il primo lillà in fiore, che avrebbe dovuto essere del tutto inoffensivo, venne assalito da una tale crisi di asma, che i piedi e le mani gli divennero violacee come quelle degli annegati. Per venti o trenta o quaranta ore, Proust subiva la crisi d’asfissia: non poteva respirare, né parlare, né mangiare, né scrivere: impallidiva, aveva sudori freddi, il corpo gelava; e la febbre saliva fino al delirio. Malattie 7. Proust visse come un gufo: uno strano gufo, figlio della luce, che non sopportava di vivere la notte. Rimase sempre il bambino, di cui racconta il Jean Santeuil. Nella Recherche: ”Io, lo strano essere umano, che, attendendo che la morte lo liberi, resta immobile come un gufo e, come lui, vedo un po’ chiaro soltanto nelle tenebre”. morte Amava Ruskin e le sue montagne ne®vose 11. Tra i libri di Ruskin, forse Proust amò soprattutto i Pittori moderni, il suo capolavoro, dedicato alla pittura di Turner. Chi ha mai letto una critica d’arte così geniale e che assomiglia a tutto tranne che alla critica d’arte? Nessuno sapeva leggere un testo come lui: cedendo a esso con una così estatica morbidezza, insediandolo nella profondità del cuore e dell’immaginazione […]. Come il vero commentatore, egli prendeva una o due righe del testo altrui: le scrutava allo specchio, lo percorreva con l’occhio, lo dilatava, faceva nascere onde, echi e assonanze intorno a esso, fino a mutarlo nella sostanza intima del proprio pensiero, - ma restando sempre appeso al testo altrui, come il pipistrello al soffitto. Letture 12. Intanto Proust aveva cominciato a leggere Le pietre di Venezia […]. La Venezia di Ruskin non era più quella di Turner, radiosa e nebbiosa, e non era nemmeno quella di James: a tratti, era già quella del Baron Corvo. Ruskin amava i colori di Venezia […]. In quel libro troppo folto, Proust amò certamente le parti dedicate alla decorazione. Come lui, Ruskin prediligeva le creazioni anonime delle quali gli artigiani gotici […] avevano cosparso gli edifici – tutti i capitelli, queste sculture fantastiche di palme e di gigli, d’uva e di melograni, di uccelli posati in volo tra i rami, avvolti in un intreccio di fiori e di piume. A fine aprile o al principio di maggio del 1900, Proust e la madre partirono per Venezia La Venezia di Proust non aveva nulla in comune con la Venezia spettrale e moribonda di Ruskin. […]. Il luogo di Venezia che forse lo impressionò più profondamente, fu la Piazzetta, dove le due colonne di granito grigio e rosa portavano sui loro capitelli greci, l’una il Leone di San Marco, l’altra San Teodoro che calpesta col piede il coccodrillo. Venezia Re Lear che stringeva tra le braccia il cadavere di Cordelia. Edipo si era forato gli occhi con la spilla d’oro di Giocasta, per non vedere. Proust, che viveva al n. 102 di boulevard Haussmann e soffriva d’asma. 13. Il Contre Sainte-Beuve restò sempre per Proust, sino alla fine della sua vita, una miniera di materiale e di invenzioni. Alcuni dei più grandi miti della Recherche – come la razza maledetta, la stirpe dei Guermantes, Venezia – sono nati qui, dal gioco di una penna che vagava alla ricerca di sé stessa. Proust componeva ad abbozzi, a tocchi successivi, riprendendo sempre da capo, dieci, dodici, quindici volte, talvolta senza utilizzare la versione anteriore: come un pittore che dipinge, quasi contemporaneamente su dieci tele diverse. Sviluppando il tentativo degli articoli sul ”Figaro”, era diventato il sovrano della variazione e della divagazione: scrivendo a onde, a riprese, a richiami, perdendo e ritrovando il filo, via via che una nuova associazione di idee attraversava la sua mente. Come nelle conversazioni di Coleridge, che partivano dal nulla per abbracciare il mondo, una vegetazione lussureggiante fioriva sopra un tronco esile e lieve. Il libro non possedeva ancora l’architettura, la continuità, l’immensa fluidità della Recherche. Non è il caso di rimpiangerle. Possiamo sostare qualche giorno in questo libro delizioso, nato proprio davanti alla Recherche come un padiglione rococò, dove ci soffermiamo a prendere il gelato e ad ascoltare musica, prima di intraprendere la visita interminabile alla cattedrale incompiuta. Vi sono pagine di una felicità, di una sapienza e di una grazia musicale, di un delirio estatico e di una brillantezza, che non dimenticheremo mai. Malgrado tutto, Proust era ancora come la statua di Memnone. Un raggio di sole bastava a farlo cantare. ’Sono affascinato dagli aneddoti. Gli aneddoti, nella loro assoluta superficalità, rivelano qualcosa di profondissimo”. Marcel Plantevignes è stato per Proust quello che Gustav Janouch è stato per Kafka. 14. Vecchio, fallito (almeno nella letteratura) Plantevignes pubblicò un immenso libro di ricordi, Avec Marcel Proust. Come Gustav Janouch aveva mentito, così lui mentì, inventò, colorì, chiacchierò, attribuendosi una parte molto più importante di quella reale nella vita di Proust, che era stato l’unico faro della sua esistenza. Immaginò di essere stato il suo confidente e il suo ispiratore. amicizia 15. Il cameriere Nicolas si muoveva come un’ombra monastica tra i tappeti, gli arazzi e le opere complete di Montesquiou , ammucchiate a terra. 15. Proust gli propose di fargli da segretario, ricopiando la Recherche: gli offrì un buon stipendio, gli regalò una macchina da scrivere; e l’ospitò in qualcuna delle camere polverose dell’appartamento di boulevard Haussmann, insieme ad Anna, l’amante-moglie. 15. Cèleste Albaret, che nell’agosto 1914 aveva assunto definitivamente come domestica, in luogo di Céline Cottin. Anche per lei, come per Agostinelli, Proust costruì un carcere: le impose i suoi orari impossibili, le sue esigenze maniache, il suo ordine meticoloso, le sue impazienze. Era geloso dei sentimenti che Céleste nutriva per gli altri. Ma, questa volta, il prigioniero non fuggì. Céleste si innamorò con tutto il cuore del suo padrone; e sebbene così bizzarra, leggera e capricciosa, si lasciò avvolgere completamente da quella tirannia da Mille e una notte, che sembrava tanto soave ed era la più insinuante, oppressiva e tremenda delle tirannie. Lui la chiamava la sua ”amica di sempre”. Céleste commentava, con perfetta verità: ”C’erano degli istanti in cui mi sentivo come sua madre, e degli altri, come sua figlia. Collaboratori 16. Nutriva una specia di idolatria per il quartetto in la minore, opera 132 di Beethoven, e per il famoso terzo movimento, Heiliger Dankgesang Genesenden an die Gottheit, in cui vedeva un simbolo della sua morte e resurrezione. Morte, resurrezione, musica Il Senso del passato di Henry James. Swann: questo cigno inglese al quale è stata aggiunta una enne, come se si potesse aggiungere un’ala a un vero cigno: questo nome ”bianco”, diceva Proust, che va pronunciato dolcissimamente. Personaggi Citati dice che l’entusiasmo è il primo segno del talento.