Maurizio Stefanini, 24/04/2010, 24 aprile 2010
TIRIAMOCI UNA DIGA SOPRA
Da Sting a Pandora. ”If blood will flow when flesh and steel are one / Drying in the colour of the evening sun / Tomorrow’s rain will wash the stains away / But something in our minds will always stay”. ”Fragile” in inglese, ”Frágil” in portoghese, ”Fragilidad” in spagnolo: Sting questa canzone la riprodusse addirittura in tre lingue diverse, quando a fine anni Ottanta lanciò la famosa campagna al fianco del capo indigeno kayapá Raoni, per la difesa dell’Amazzonia. Quello che all’uso della sua gente aveva le labbra allargate da un gigantesco disco di legno, e che quando poi lo portò davanti a Giovanni Paolo II raccontano che dovette trattenerlo, per impedirgli di saltare addosso al Papa che avrebbe accennato ad andarsene quando gli aveva rivolto un teologico ultimatum: ”Il mio Dio dice al tuo che i suoi missionari dovrebbero andarsene dalla terra degli indios”. Solo che la furia di quel cacicco e l’indignazione di Sting erano rivolte contro un progetto idroelettrico: quello per le sei dighe da realizzare lungo il corso dello Xingu, nello stato del Pará. Mentre quella canzone che accompagnò tutta quella campagna era a favore di un progetto idroelettrico: per lo meno indirettamente, visto che era dedicata a Benjamin Ernest ”Ben” Linder, un ventottenne ingegnere cooperante in Nicaragua che era stato ucciso dai ribelli antisandinisti e sponsorizzati dalla Cia Contras, mentre lavorava alla realizzazione di una diga. ”Se il sangue scorrerà quando carne e acciaio si incontreranno / seccandosi al colore del sole della sera / la pioggia di domani laverà via le macchie / ma qualcosa rimarrà per sempre nelle nostre menti”.
Domanda: la differenza è che quella in Brasile era una diga grande e quella in Nicaragua una diga piccola? Oppure la differenza era che quella del Brasile era una diga ”di destra” e quella del Nicaragua una diga ”di sinistra”? Già. Ma cosa c’è di più ecologico del castoro? E cosa c’è di più odiato dagli ambientalisti delle dighe? Sting se non altro alla prima domanda ha dato una risposta che va a onore del suo senso della coerenza: è tornato in campo assieme a Raoni, anche ora che la diga sullo Xingu si è messo in testa di realizzarla il governo di sinistra dell’ex sindacalista Luiz Inácio Lula da Silva. E sullo Xingu è arrivato anche James Cameron, fresco della gloria ecologista conquistata con la metafora fantascientifica di ”Avatar”. ”Il serpente uccide lentamente, è così che il mondo occidentale avanza lentamente dentro la foresta impossessandosi di tutto”, ha detto il regista a una folla di indios venuti ad ascoltarlo: anch’essi armati con frecce e lance come gli alieni di Avatar, anche se tinti in arancione piuttosto che in verde. ”E’ qui la vera Avatar, è qui la vera Pandora, scriverò una lettera a Lula per chiedergli di fermarsi”.
Ancora Lula. Proprio il fondatore di quel Partito dei lavoratori (Pt) allora in prima fila nella mobilitazione che aveva costretto il presidente dell’epoca, José Sarney, a ritirare quel progetto, elaborato fin dalla metà degli anni Settanta dai regimi militari e poi ereditato dai governi della transizione alla democrazia. E’ vero che quello di adesso, assicurano i promotori, sarà il primo impianto idroelettrico gigante ”ecologicamente impeccabile” della storia. Tant’è che è stata già lanciata l’etichetta di ”diga verde”: quella di Belo Monte, che sarà in servizio dal 2015, e la cui realizzazione costerà 11 miliardi di dollari. Le dighe previste sono infatti state ridotte: da sei a una sola. La superficie inondata passa da 1.200 chilometri quadrati a 516. E le 29 turbine, i due sbarramenti, il lago di ritenuta alimentato dallo Xingu attraverso due canali di derivazione saranno tutti a fior d’acqua, per rendere l’impatto minimo. Dopo che il 16 aprile il Tribunale regionale federale della prima regione ha respinto l’estremo ricorso, il 20 aprile è stato ufficialmente assegnato l’appalto a un consorzio tra nove società, con in testa la pubblica Companhia Hidro Elétrica do São Francisco. I vincitori dovranno rispettare ben quaranta ”clausole ambientali e socio-economiche”: un fardello che il nuovo ministro dell’Ambiente Carlos Minc ha stimato equivalente a 800 milioni di dollari, ”la licenza ambientale più esigente della storia”. Vi sono comprese due zone di preservazione delle terre indigene, un piano di risanamento ambientale e un programma per la costruzione di scuole e ambulatori. Si tratterà anche di indennizzare 12 mila famiglie rurali che dovranno traslocare o saranno comunque danneggiate dalla diga. E la promessa è di creare 18 mila impieghi nella diga e 80 mila nell’indotto.
Ma se negli anni Ottanta un’immagine simbolo fu quella del cacicco Tuira che brandiva minaccioso un machete in faccia a un ingegnere, nel 2008 il coordinatore del progetto in un tentativo di dialogo con gli indios ha ricevuto non minacce, ma una coltellata vera e propria. Malgrado i risentimenti di Raoni contro il Vaticano, è stato il vescovo di Xingu Erwin Kräutler tra i più decisi a denunciare ”il caos” provocato dall’arrivo nel cuore dell’Amazzonia di almeno 100 mila nuovi abitanti. Con notevole concordia ecumenica, per protesta contro la ”diga verde” si è dimessa nel 2008 il predecessore di Carlos Minc all’Ambiente: quella Marina Silva che era stata compagna di lotta del famoso Chico Mendes, e che da nota pentecostale era stata accusata dalla chiesa cattolica di favorire sfacciatamente i missionari protestanti. Anzi, si è dimessa non solo dal governo, ma anche dal partito, per presentarsi alle prossime presidenziali come Verde. Di più: è stata lei a far venire Cameron in Amazzonia.
Diventato da forza di lotta forza di governo, però, il Pt si è impegnato in un piano ambizioso per assicurare al Brasile l’autosufficienza energetica. Con la recente scoperta di immensi giacimenti petroliferi off-shore nell’Atlantico del sud, con la strategia del bioetanolo, con il programma nucleare, anche la diga di Belo Monte ne è una componente essenziale. Tra l’altro, artefice di questo programma energetico quando era ministro delle Miniera e energia è stata proprio Dilma Roussef: la ex guerrigliera che è poi diventata numero due di Lula come ministro della Casa civile, e adesso è candidata del Pt alle presidenziali. Dal 2017 il Brasile avrà bisogno di quattromila megawatt supplementari per sostenere una crescita economica del cinque per cento all’anno, e già adesso dall’idroelettrico arriva l’85 per cento dell’elettricità consumata. Una gran parte da quell’altra colossale diga di Itaipu che, con 14 mila megawatt di potenza, è la seconda al mondo, davanti agli 11.200 megawatt che porterebbero Belo Monte al terzo posto. Itaipu, in guarani ”Suono di pietra”, è presso la spettacolare cascata di Iguazú, ”Acqua grande”: quella su cui nel film ”Mission” si vede Robert De Niro che cerca di arrampicarvisi sopra, con appesa alla schiena un’armatura.
Ma Itaipu è al confine col Paraguay, dove contro di essa ci sono state annose polemiche fin dalla sua costruzione: tra 1971 e 1984, ai tempi della dittatura di Stroessner. Addirittura, un leader dell’opposizione parlò di una clausola segreta, secondo cui in caso di guerra i brasiliani avrebbero avuto diritto a utilizzare l’immenso bacino per inondare tutto il Nord argentino. A ogni modo, se l’uso militare di Itaipu è una presumibile leggenda, la recriminazione dei paraguayani per il prezzo scandalosamente basso con cui i brasiliani pagano quell’elettricità è più fondato. Il vescovo-presidente Lugo ha dunque elevato a priorità del suo governo una rinegoziazione, e Lula ha risposto riorganizzandosi sullo Xingu.
Naturalmente, tutto è più facile se si fa come in Cina: paese già modello sessantottino di molti personaggi poi diventati guru dell’ecologismo, e che non ha fatto troppi complimenti per realizzare tra il 1994 e il 2006 quella diga delle Tre gole che con 18 mila megawatt è al primo posto mondiale del settore. A pieno regime dal 2001, questa ”Grande muraglia del XXI secolo” è uno sbarramento largo 1,6 km e alto 180 metri, che crea per 640 km lungo il Fiume azzurro un bacino idrico profondo alcune centinaia di metri. La sua funzione non è solo quella di produrre tanta corrente come 18 centrali nucleari, ma anche di consentire alle navi fino a 10 mila tonnellate di navigare direttamente verso l’interno della Cina per sei mesi all’anno, e di mettere fine a quel rischio di piene che negli ultimi cento anni ha provocato oltre un milione di morti. Ma a parte i rischi dovuti al materiale scadente che la corrotta burocrazia cinese ha messo nell’opera e l’eventualità di un massiccio inquinamento dell’intero corso d’acqua, mentre Belo Monte e Itaipu hanno riguardato aree a basso impatto di popolazione anche se di alto pregio ecologico, con le Tre gole è finita sott’acqua una delle zone più fertili di un paese dove la terra coltivabile in rapporto alla popolazione non è che abbondi. E dove per di più vivevano due milioni di persone che hanno dovuto essere risistemate, e si trovavano 1.300 siti archeologici di valore inestimabile. Per questi, non si è neanche provato a fare come in Egitto al tempo della diga di Assuan, quando fu spostato di 65 metri più in alto e di 300 metri più indietro il gigantesco doppio tempio di Abu Simbel. Dall’estero sulle Tre gole si sono riversate critiche in quantità: dal rischio di estinzione di specie uniche, come è in effetti accaduto nel 2006 per il delfino d’acqua dolce lipote; fino al rallentamento della velocità di rotazione della terra per effetto di quella grande massa d’acqua, che due scienziati della Nasa hanno stimato in 60 miliardesimi di secondo. Ma guai a chi ha provato queste osservazioni a ripeterle in Cina! Il giornalista Dai Qing, ad esempio, nel 1989 finì in galera per dieci mesi.
A proposito di miti terzomondisti, negli anni Sessanta assieme a Mao ci fu anche Nasser, che dopo aver avuto l’appoggio degli americani contro inglesi e francesi sulla nazionalizzazione del Canale di Suez ruppe con loro quando questi non vollero finanziargli la già citata diga di Assuan. ”Dono del Nilo”, diceva dell’Egitto Erodoto. Mentre il 97 per cento del territorio è deserto inabitabile, 78 milioni di persone si ammucchiano sul restante tre per cento: una stretta striscia di terra nera e fertile lungo il corso del fiume. Non più di 60 mila chilometri quadrati coltivabili su oltre dieci milioni. Il problema è complicato dal flusso irregolare durante l’anno, con più dell’80 per cento delle acque che arriva tra agosto e ottobre, quando il Nilo azzurro è in piena. Gli antichi egizi pensavano che fosse il dio Hapi a versare le acque dalla sua brocca senza fondo. E una statua ai Musei Vaticani lo raffigura appunto con sedici bambini, tutti alti un cubito. Significa che se il livello della piena raggiungeva solo i sedici cubiti (sette metri), la terra non sarebbe stata fertilizzata e il popolo avrebbe sofferto la fame. Questa fame è stata evitata, negli anni Ottanta, grazie alla regolazione delle acque permessa dalla diga di Assuan. Con la diga, però, la portata del fiume è diminuita in maniera impressionante. Il limo, che nei secoli era stato così utile all’Egitto, ora che l’inondazione annuale non si verifica più ha smesso di depositarsi. E, dopo millenni di arretramento, il rosso del deserto ha così ripreso a guadagnare sulla nera terra dei campi coltivati.
Tra le icone dell’ecologismo c’è poi Narmada: un piano per 135 dighe medie e tremila piccole lungo quel fiume, in nome del quale sono state fatte grandi mobilitazioni internazionali e al quale sono state perfino intitolate cooperative di commercio equo e solidale. Equivalente indiano delle Tre gole, nel differente contesto pluralista della ”più grande democrazia del mondo” lo sgombero di un milione di persone è stato però nel corso degli anni bloccato da ricorsi a catena: anche se la Corte suprema di Nuova Delhi li ha respinti tutti. Gli esperti di strategia lavorano in compenso da decenni attorno al quel Great Anatolian Project vagheggiato dalla Turchia in Kurdistan per imbrigliare le acque di Tigri ed Eufrate, e che suscita ovviamente le ire di Siria e Iraq. Di recente si è iniziato a parlare di una generazione di nuove grandi dighe da realizzare in Africa, per promuoverne le sviluppo: la Gibe III in Etiopia, con capitale della cooperazione allo sviluppo italiana, è anch’essa duramente contestata dagli ecologisti. E’ vero che ormai, scottata dalle contestazioni, quasi ogni volta che sente la parola diga la Banca mondiale mette mano alla pistola (nel senso che taglia i finanziamenti).
Buriana anche negli Stati Uniti, dove l’Amministrazione Obama ha appena deciso di cambiare lo status dello sperlano del delta da specie ”threatened” a ”endangered”. Sembra lana caprina: da ”minacciata” a ”in pericolo”. Ma la conseguenza per questo pesciolino argentato di 5-7 centimetri, alla base della dieta di salmoni e branzini, riguarda il funzionamento della canalizzazione del delta Sacramento-San Joaquin da cui dipende l’approvigionamento idrico della Central Valley californiana. Le conseguenze del blocco, imposto da una lobby ecologista, erano state drastiche: dal meno 80 al meno 95 per cento in meno i raccolti; meno 40 per cento l’occupazione. E già i servizi assistenziali stavano distribuendo alle famiglie cibarie. ”Congress Created Dust Bowl”, era stato uno slogan della relativa protesta. ”E’ stato il Congresso a creare questa nuova Dust Bowl”, il ”catino di polvere” come venne chiamata la catena di tempeste di sabbia che tra il 1931 e il 1939 si abbatté sulle grandi praterie, costringendo centinaia di migliaia di contadini ad abbandonare il Texas, l’Oklahoma e l’Arkansas per cercare una nuova occasione di vita in California. Lo scenario di tante canzoni di Woody Guthrie, lui stesso originario dell’Oklahoma; e anche di ”Furore”, romanzo di John Steinbeck e film di John Ford su una famiglia impegnata in questa migrazione biblica dall’Oklahoma alla California. Molti degli agricoltori della Central Valley sono discendenti di quei fuggiaschi.