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 2010  aprile 27 Martedì calendario

FIAT INDUSTRIAL, PER VOCEARANCIO


Tutti si aspettavano lo scorporo dell’auto. E invece, con il nuovo piano industriale presentato lo scorso 21 aprile, Sergio Marchionne, amministratore delegato di Fiat, ha presentato lo scorporo dall’auto. Cioè ha preso le principali attività ”non auto” di Fiat e ha deciso di separarle dal resto del gruppo.
Il risultato sarà (il futuro è d’obbligo, perché il piano di separazione non è ancora stato attuato, ma dovrebbe essere completato per la fine dell’anno) una Fiat sdoppiata: da una parte la ”vecchia” Fiat spa, dall’altra la nuova Fiat Industrial.
In Fiat Spa resteranno tutti i marchi automobilistici di Fiat. Fiat, appunto, poi Alfa Romeo, Lancia, Maserati e Abarth, quindi Ferrari (controllata all’85%). Ai marchi auto si aggiunge la costruzione dei motori per le macchine (cioè il grosso di Fiat Powetrain Technologies), i componenti realizzati da Magneti Marelli (elettronica), i robot della Comau e l’attività di Teskid (gruppo siderurgico in cui la casa torinese è all’84,8%).
Fiat Industrial sarà invece un gruppo che avrà due polmoni: i trattori e le macchine agricole di Case New Holland (Cnh) e i veicoli commerciali di Iveco. Con i rispettivi motori, realizzati sempre dalla Powertrain, nella divisione Industrial and Marine.
Il bilancio 2009 del gruppo può dare un’idea del peso di questa Fiat sdoppiata. Il gruppo nel 2009 ha avuto un fatturato complessivo di 50,1 miliardi di euro. Di questi il 20% (10,1 miliardi) è arrivato da Case New Holland, mentre il 14,2% (7,2 miliardi) sono stati prodotti da Iveco. A livello di ricavi, quindi, Fiat Industrial vale 17,3 miliardi, il 34% di Fiat. Mentre alla Spa resta l’altro 66%, con un giro d’affari di 33 miliardi di euro in un anno difficile come è stato il 2009.
Se si vanno a guardare altri risultati economici il peso dell’altra Fiat cresce. Considerati gli 1,1 di utili gestione ordinaria avuti da Fiat nel 2009, i 337 milioni garantiti da Cnh e i 105 milioni messi a segno da Iveco, messi assieme, rappresentano il 40% del totale. Se invece si guarda agli utili operativi, Fiat ha chiuso lo scorso anno con un risultato di 359 milioni di euro. Di questi ben 251 milioni vengono dalla sola Cnh, mentre Iveco pesa in negativo, con i suoi 90 milioni di euro di perdita. Per quanto riguarda i dipendenti, infine, l’intera Fiat ne ha 190mila, e di questi 28mila sono alla Cnh, 25mila alla Iveco. Fiat Industrial allora si ”porterebbe via” circa il 28% dei lavoratori del Lingotto.
Tutto sommato si può dire così che la nuova Fiat Industrial è un terzo di tutta Fiat group. Difatti anche le stime degli analisti prevedono per le future azioni un rapporto ”7 a 3”: in pratica al momento dello scorporo, se un titolo Fiat varrà 10 euro (oggi è poco sopra questo livello) l’azionista si troverà automaticamente ad avere in mano due titoli differenti, uno di Fiat spa, che varrà 7 euro, e uno di Fiat Industrial, che varrà 3 euro. Da quel momento i due titoli (che verranno assegnati a tutti gli azionisti in proporzione alle azioni che hanno già in mano) separeranno i loro percorsi.
Marchionne prevede che Fiat spa crescerà più rapidamente rispetto a Fiat Industrial. Il manager del Lingotto, presentando le stime per i prossimi quattro anni, ha indicato per la Fiat dell’auto ricavi raddoppiati da qui al 2014 (da 32 a 64 miliardi di euro) e un margine operativo lordo in crescita dai 2,9 miliardi dello scorso anno a 6,9 miliardi a fine piano. Nel frattempo l’altra Fiat avrà un fatturato che aumenterà della metà (da 19 a 29 miliardi) e un margine lordo più contenuto, anche se con un ritmo di aumento maggiore (da 1,4 a 4,1 miliardi). Mentre a livello di investimenti, su Fiat Industrial la scommessa è più leggera: 7,3 miliardi totali in cinque anni, contro i 19,7 ”promessi” a Fiat auto.
La scommessa è minore anche perché la sfida è meno intrigante. Difatti è solo Fiat spa che dovrà gestire le nozze con Chrysler, capaci, secondo Marchionne, di generare un gruppo da 6 milioni di vetture all’anno, che saprà proporsi con autorevolezza sui mercati internazionali (sfidando i ”big” Toyota, Volkswagen, General Motors) e anche giocare un ruolo di protagonista nella partita globale delle alleanze a quattro ruote.
Ma a livello di alleanze, sembra essere proprio Fiat Industrial ad avere qualcosa di interessante da insegnare alla capogruppo. Delle tre aziende che ne fanno parte, infatti, ce n’è una che è il prodotto di un secolo e mezzo di fusioni, alleanze, aggregazioni industriali.
 Case New Holland, spesso chiamata con la sola sigla Cnh e quasi sconosciuta alla stragrande maggioranza degli italiani (agricoltori esclusi) finché, nel 2007, la famiglia Agnelli non ha pensato di mettere il logo giallo della New Holland sulle maglie della Juventus, versando alla squadra, per la sponsorizzazione, circa una decina di milioni di euro all’anno (dal luglio 2010, però, i bianconeri avranno un nuovo sponsor sulle maglie, un’azienda esterna al gruppo Fiat).
’La New Holland fa trattori”, hanno capito gli italiani imparando a riconoscere quel marchio. In realtà dietro a Cnh c’è qualcosa di più: la Case New Holland è il secondo maggiore gruppo al mondo di macchinari agricoli (dopo l’americana Deere & Company), e il terzo di macchinari per le costruzioni, dopo l’americana Caterpillar e la giapponese Komatsu.
Guidata dal 65enne Harold Boyanovsky – da 35 anni nelle aziende che si sono unite in Cnh, un salario complessivo di 1.233.618 dollari nel 2009 – Cnh è una società che ha la sede legale nel World Trade Center di Amsterdam ma che con l’Olanda ha ben poco a che fare, visto che per storia e tradizione è profondamente ancorata negli States, o più precisamente a Burr Ridge, Illinois, dove ha il quartier generale.
Il fatturato di Cnh viene soprattutto dai macchinari agricoli (il 63%). I macchinari per le costruzioni rappresentano il 31% delle entrate, i servizi finanziari un altro 6%. L’azienda è presente in 160 nazioni con 11mila venditori, e produce in 39 fabbriche sparse tra Europa, Nord America, America Latina, Cina, India, Uzbekistan.
La storia di Cnh inizia con Cyrus Hall McCormick, contadino della Virgina che nel 1834 inventò la prima mietitrice meccanica. La macchina ideata da McCormick era in grado di tagliare frumento per 40 acri in un solo giorno, quando un contadino, col lavoro manuale, poteva arrivare al massimo a un quinto di quel lavoro. In cerca di fortuna, McCormick andò a vendere la sua mietitrice a Chicago, dove con l’aiuto di William Ogden, sindaco della città che gli prestò 25mila dollari, avviò la McCormick, Ogden & CO, nel 1847.
Negli stessi anni il newyorchese Jerome Increase Case, nel Wisconsin, fondò la Racine Threshing Machine Works, che per prima si mise a produrre trebbiatrici col motore a vapore. L’azienda, presto ribattezzata J.I. Case, agli inizi del novecento si allargò anche al settore delle macchine per costruzione. E sempre agli inizi del secolo McCormick inglobò altre 4 aziende minori fondando l’International Harvester, quella che nel 1923 mise in circolazione il Farmall, lo storico trattorino rosso che ha imposto la forma del trattore per gli anni a venire.
Nel 1895 nasceva poi in Pennsylvania la New Holland di Abe Zimmerman. Specializzata nelle trebbiatrici, dopo la guerra fu comprata da un altro gruppo, Sperry, e divenne Sperry New Holland. Quindi nel 1964 la nuova azienda ne acquistò un’altra, la belga Clayes, leader europea nel mercato delle mietitrebbia. Il prodotto di queste fusioni successive fu acquistato in blocco dalla Ford, nel 1985. E a sua volta la casa americana vendette l’80% dell’azienda a Fiat, nel 1991.
Oggi il marchio McCormick esiste ancora. Appartiene ad Agro, holding italiana delle macchine agricole.
Sempre nel 1985 la Case e la International Harvester, rimasti gruppi leader nel settore dei macchinari agricoli (con la Case molto forte anche nell’edilizia) si unirono nella Case Ih.
Fiat non era certo nuova nel mondo dei trattori. Aveva avviato proprio una Fiat Trattori nel 1918, e il Fiat 702 negli anni ”20 aveva vintol’International Ploughing Contest a Senlis (France). Il Lingotto aveva rilevato in Italia le Officine Meccaniche (mantenendo il marchio Om per alcuni dei suoi trattori), negli Stati Uniti la Hesston, leader nel settore della fienagione in America, poi la Braud, fortissimanella produzione di vendemmiatrici e infine l’italiana Agrifull, specialista nei trattori di piccole dimensioni.
A fare la fortuna di Fiat Trattori era stata l’intuizione del ”cingolato”: un trattore con i cingoli al posto delle ruote consentiva ai contadini delle zone più piovose (come l’Emilia, dove Fiat Trattori era basata) di potere avanzare anche su terreni bagnati e fangosi.
Tra l’altro Fiat fin dagli anni Trenta aveva applicato le sue conoscenze nei macchinari agricoli anche a quelli per la movimentazione. E nel 1974 il Lingotto si unì all’americana Allis-Chalmers dando vita alla Fiat-Allis per fabbricare una linea di cingolati prodotti in Brasile, Stati Uniti e Italia, terne a ruote (Stati Uniti e Inghilterra), scavatrici (Italia e Brasile), livellatrici e ruspe (Stati Uniti).
Con la fusione tra New Holland e Case Ih, organizzata da Fiat, nasce, nel 1999, Cnh (nella quale confluiscono Fiat Trattori e Fiatallis) e che ingloba anche la Steyr, leader di mercato dei trattori in Austria, e la Kobelko, che vende scavatori in Nord America.
 un trattore New Holland, esemplare unico regalato da Marchionne nel 2007, a trainare e posizionare la pedana che ospita il Papa nel corso delle Udienze Generali del mercoledì in Piazza San Pietro. Esemplare unico, completamente bianco e decorato con lo Stemma Papale, il trattore New Holland è un modello T7050. La pedana pesa 17 tonnellate.
 una storia di aggregazioni anche quella dell’altra fetta di Fiat Industrial, Iveco. un gruppo relativamente giovane: fu messo in piedi nel 1975 da Bruno Beccaria, meccanico e dirigente in Fiat che riuscì a fondere le cinque società operanti in realtà lontane tra loro, in Italia, Francia e Germania; Fiat Veicoli Industriali (basata a Torino), OM (Brescia), Lancia Veicoli Speciali (Bolzano), la francese Unic (Trappes) e la tedesca Magirus (Ulm).
Il nome Iveco sta per Industrial VEhicles Corporation. Il primo modello Iveco fu il furgone Daily, nel 1978.
Oggi Iveco ha 49 fabbriche, 15 centri di ricerca sviluppo, 840 concessionari, 31.000 dipendenti ed è presente in 19 paesi. Il 40% dei motori realizzati equipaggiano veicoli Iveco, il 60% viene venduto con il marchio OEM Fiat Powertrain Technologies ed equipaggia veicoli di altre case oppure ha impieghi industriali, marini, agricoli e viene utilizzato per la generazione di elettricità
Oltre a furgoni e camion, Iveco costruisce autobus e veicoli industriali con il marchio Irisbus. Un marchio nato nel 1999 dalla joint venture realizzata assieme a Renault (con le società Heuliez e Karosa). Ma l’esperienza assieme ai francesi si è conclusa rapidamente: nel 2001 Renault ha ceduto ad Iveco il saldo della sua partecipazione in Irisbus.
Iveco realizza anche veicoli da cantiere, mezzi militari (usati anche dagli eserciti di Germania, Gran Bretagna, Belgio, Svizzera, Spagna, Portogallo, Norvegia, Pakistan, Egitto) e prodotti dall’Iveco Defence Vehicles di Bolzano. Tra i più famosi il Centauro, il Puma e l’Ariete. Mentre i nostri Vigili del fuoco usano i mezzi prodotti dalla Iveco Magirus.
Iveco all’estero è presente in due joint venture: una in Cina, con Nac, chiamata Naveco, un’altra in Turchia, con la Koç, con un gruppo chiamato Otoyol.
L’obiettivo del gruppo – guidato dall’amministratore delegato novarese Paolo Monferino – è andare vicino al raddoppio dei ricavi per il 2014 (a 12,1 miliardi di euro) e tornare ai volumi del 2008 in un mercato «normalizzato» con una quota in Europa occidentale, pari al 16% (14% nel 2009) nei veicoli commerciali leggeri, al 26% (24,2% nel 2009) nei veicoli di media portata e all’11,5% (9,3% nel 2009) in quelli pesanti.