Mario Ajello, Il Messaggero 26/4/2010, 26 aprile 2010
PACATO, ANTIFASCISTA E PLURALE: IL "% APRILE-BIS DI SILVIO
Il 25 aprile bis del Cavaliere, dopo quello celebrato un anno fa ad Onna fra le macerie del terremoto abruzzese in cui spiccava il fazzoletto da partigiano che avvolgeva il collo di Berlusconi, ha come simbolo una statuetta raffigurante una fanciulla ammantata. Si vede questa figurina di marmo, del 127 dopo Cristo, poggiata nello studio del premier, mentre egli parla nella video-cassetta del suo discorso sulla festa della Liberazione come Festa della Libertà. Il significato iconografico-politico che dovrebbe trasmettere questa delicata silhouette d’arte romana è quello della serenità. E infatti, non c’è nulla di contundente, e una piena continuità con l’affermazione berlusconiana dell’altro giorno («Io non litigo con nessuno») e con l’armonia ritrovata con il presidente Napolitano, nel tono e nel contenuto delle parole del Cavaliere. Che segnano il ritorno - definitivo o episodico? - del Berlusconi al suo format più promettente e che, a fasi alterne, egli rispolvera incontrando i favori di tutti quelli che hanno una concezione non combat del confronto politico.
Riecco, insomma, lo statista dall’eloquio conciso (soltanto due minuti e quaranta secondi di discorso); dall’aplomb istituzionale; dall’Io che viene sostituito dal «tutti» e dal «tutti insieme» in una concezione plurale del gioco politico che stride con le risse in corso; dalla ricerca, finora sempre evocata e sempre svanita, della «condivisione» non soltanto di una storia e di un destino nazionale ma anche di quelle riforme da farsi nello spirito unitario dei padri costituenti e per «andare oltre quel grande compromesso» sancito dalla Carta del ”48 da vivificare senza strappi.
Rispetto al suo primo 25 aprile, questo bis del Cavaliere è meno rivolto alla rievocazione del passato, alla pacificazione con la memoria dei «ragazzi di Salò», al ricordo dei martiri e degli eroi, alla ricostruzione dei tanti filoni politico-culturali di cui si compose la Resistenza e a tutte le altre questioni storiche su cui dal 1994 Berlusconi, convinto che la festa della Liberazione fosse una «festa di parte», non s’era mai pronunciato. Stavolta, il premier è più interessato a guardare avanti. Ovvero, vede il 25 aprile come l’origine della nostra democrazia che comunque deve andare avanti senza cristallizzarsi nei miti intoccabili, come quello della Costituzione, e sulla scorta di quel coraggio dell’innovazione che proprio i padri costituenti seppero avere. Un discorso ”napolitaniano”, cioè perfettamente in linea con l’approccio tutt’altro che convenzionale, e molto dinamico, che il Capo dello Stato usa nei confronti della fase di passaggio dal fascismo alla democrazia e della nascita della Repubblica e della Costituzione.
Nel neo-patriottismo costituzionale di Berlusconi, c’è di fatto una rivalutazione del ruolo del Parlamento, perchè se i padri costituenti è lì che trovarono il «compromesso» alto e nobile, anche i nuovi costituenti non si vede dove possano trovarlo. Visto che il metodo delle bozze alla Calderoli, cucinate al volo e da solisti, si sono rivelate infruttuose e antipatiche anche agli occhi del premier che ora parla di «dialogo».
Altro punto cruciale, su cui Berlusconi mai come stavolta è voluto essere assai chiaro: non la Costituzione tutta è da riformare ma soltanto e, specificatamente, la sua seconda parte. Una precisazione che in altre occasioni era mancata e che serve a tranquillizzare quanti non sono disposti, in nome dell’innovazione necessaria, a stravolgere il Dna della Repubblica italiana e i suoi principi fondamentali - fra cui la libertà tanto cara al premier - che sono ancora vivi nel tessuto della nazione. L’anti-fascismo è uno di questi. Berlusconi ha sempre dato l’impressione, ma stavolta l’ha ribaltata, di dare poco peso all’anti-fascismo quale fattore costitutivo delle istituzioni repubblicane. E di volere sostituire a quel mito un anti-mito: ovvero un non-fascismo e un non-anti-fascismo come nuove identità più moderne e meno figlie del secolo dell’ideologie, anzi della «malafede ideologica», come la chiamava quel grande intellettuale liberale di Nicola Chiaromonte. Ieri, però, questa tendenza berlusconiana - e Napolitano avrà gradito assai questo passaggio - non ha trovato conferme. Anzi. L’«anti-fascismo» viene espressamente citato e messo sullo stesso piano di nobiltà della parola «popolo». Che sulle labbra di Berlusconi ha sempre qualcosa di mistico e quasi di carnale, e comunque di opposto alla parola «partito». Ma in questo caso è implicito - nell’elogio delle forze politiche che stipularono la Costituzione e nel desiderio che le nuove forze politiche sappiano «scrivere insieme» le nuove regole della democrazia - uno stop che Berlusconi dà a se stesso, in merito al rapporto diretto fra leader e popolo che lui ha sempre considerato un toccasana.
Le sorprese di questo discorso dunque non sono poche. Ma una c’era forse da aspettarsela. Berlusconi che si propone come uomo del dialogo irrompe nel campo di Fini e gli toglie spazio. Berlusconi che insiste sull’anti-fascismo lo fa anche per competere, sul suo stesso terreno, con l’ex leader di An che ha costruito molto del suo credito trasversale su posizioni come quella a proposito del «fascismo come male assoluto». Ancora: ”napolitaniano” quanto Napolitano, il premier scippa a Fini anche il ruolo d’interlocutore privilegiato con il Colle. Ma a parte questi particolari da politica politicante, quel che conta davvero è che questo spirito del 25 aprile bis non s’interrompa già a partire dal giorno 26.