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 2010  aprile 26 Lunedì calendario

MINACCE E 44 MAGNUM LA STRAGE DI RAMBO

Gli amici di Omar siedono su un muretto, all’ombra di una grande betulla che li ripara dal sole e dalla prima afa di stagione. «Erano anni che martirizzava quella poveraccia della moglie» dice il primo, che lavorava con lui sui camion. «Ogni tanto andava a sparare nel prato qui dietro» aggiunge il secondo, che lo aiutava a sollevare pesi nella palestra di Goito. «Girava con la pistola in tasca, prima o poi l’avrebbe usata» conclude il terzo, un vicino di casa onnisciente.
Alle loro spalle, distante una decina di metri in linea d’aria, un telo bianco ricopre il cadavere di Maria Bianchera. Il corpo è steso sul cemento, tra un ombrellone di tela verde e una sedia di plastica bianca. Dal telo spunta una ciabatta di velluto blu con la suola in gomma. Omar ha lasciato la macchina dall’altra parte della strada. Si è avvicinato in silenzio alla casa di Maria. Ha sparato attraverso la finestra dell’anticamera. Le ha portato via mezza faccia. La donna si è trascinata fino sull’aia, è caduta. Gli agenti della Scientifica spiegano che lui le è salito sopra a cavalcioni, e le ha scaricato il fucile nella schiena. «Lo sapevamo che l’avrebbe fatto – dice il primo del coro’ questa è una strage annunciata e di Stato, perché non lasci il porto d’armi a uno così».
Infine non rimarrà che questo, il consueto coro di quelli che sapevano, che l’avevano detto. il corollario ormai imprescindibile di ogni macello di provincia. Claudio Frentini, un pensionato che vive tre numeri civici più in là della casa di Daniela, la moglie, racconta che Omar la aspettava sul marciapiede di fronte per insultarla, gridarle «che era una puttana, una ladra». Dal giardino accanto, il suo amico Silvano Poggi dice che Omar mostrava la 44 Magnum a tutti, d’altronde in paese lo chiamavano Rambo e non solo per la complessione fisica ottenuta a colpi di anabolizzanti.
C’è davvero qualcosa di stonato, in questo coro greco che comincia la sua recita sempre, invariabilmente dopo che il peggio è accaduto. Mai prima, mai. Tiziano Gardoni, il cugino di Daniela, è l’unico che può dire di aver fatto qualcosa. «Era preoccupata, e non da ieri. Se lo trovava sempre sotto casa, certe volte le entrava nel giardinetto e si appostava dietro alla porta. La spaventava, le urlava cose orrende. Mi risulta che lei sia anche andata dai carabinieri, non so se abbia sporto denuncia per molestie o come si dice, stalking». L’anno scorso, Tiziano aveva installato una porta blindata e un piccolo allarme a cellule fotoelettriche, per farla stare tranquilla, almeno a casa sua. Prezzi modici, perché Daniela non se la passava bene. Operaia in una azienda che produce occhiali, era in cassa integrazione. Ogni tanto, per tirare su qualche soldo, serviva ai tavoli de La Pesa, un ristorante di Castellaro. Tutte le cameriere la descrivono come «spaventata dal comportamento del marito, quando usciva aveva paura del buio».
A sentire come lo raccontano i suoi compaesani, Omar Bianchera era una bomba con il timer innescato. Viveva al Piccard, accanto alla locanda omonima. Una zona di vigne e campi coltivati a kiwi tra Monzambano e Volta Mantovana, che deve il suo nome a Jacques Piccard, che negli anni Cinquanta atterrò lì in mongolfiera. La rovina del suo matrimonio era andata di pari passo con quella economica. Dopo la morte del padre Mario, la concessionaria di veicoli industriali era fallita in poco tempo. Nella grande casa costruita accanto alla locanda era rimasto solo lui. Omar aveva cominciato a fare il camionista. Negli ultimi anni il suo lavoro era diventato sempre più saltuario, per scelta.
«Parlava solo quando tuonava» dicono di lui al bar Latte&Rhum di piazza XX Settembre, dove si fermava le rare volte che andava trovare la mamma e una sorella alle prese con una vita difficile. Passava il tempo a spaccare legna nel cortile, gli investigatori hanno trovato enormi cataste abbandonate nel capannone. Picchiava con la scure sul ceppo, e intanto lo sentivano gridare insulti da lontano. La signora Maria si era lamentata per i suoi comportamenti sempre più minacciosi. Venerdì scorso era andata dal dentista, cugino di Omar. «Lo vedo sempre più strano’ gli aveva detto ”, cosa sta succedendo?». Alla procura di Mantova non risultano denunce penali contro Bianchera, che era invece sepolto dalle cause civili, a cominciare da quella con la moglie e con i Platter.
A Omar piaceva sparare, questa è l’unica certezza. La compatibilità di questo amore per le armi con un disagio psicologico sempre più evidente sarà il tema dei prossimi giorni. «Lo sapevano tutti che era un pazzo» dice la signora Maria Gandossi mentre commenta con una sua amica brasiliana il cancello sventrato dalla Focus di Daniela che cercava di salvarsi. «Quelli come lui dovrebbero essere fermati» ripetono gli avventori del bar Roma, mentre sul maxischermo scorrono le immagini di Juventus-Bari. «Non è possibile che Omar girasse armato e nessuno faceva nulla» dice uno al banco. «Pensa se ammazzava anche i bambini del tedesco» replica un altro al tavolo. Già, i bambini della famiglia Platter, due e 6 anni, che sono arrivati in ospedale imbrattati del sangue del loro papà. All’unisono: «Una tragedia che si doveva evitare». A un certo punto la discussione si interrompe. Ha segnato Iaquinta.
Marco Imarisio