varie, 26 aprile 2010
UN BUSINESS CHIAMATO MESSI, PER VOCE ARANCIO
Ultima classifica degli sportivi più pagati del mondo pubblicata (a dicembre) dal settimanale economico statunitense Forbes: al primo posto Tiger Woods (golf, 67 milioni di euro), seguito da David Beckam (calcio, 42 milioni), Phil Mickelson (golf, 35), Valentino Rossi (motociclismo, 32), LeBron James (basket, 28), Roger Federer (tennis, 27), Alex Rodriguez (baseball, 26), Lewis Hamilton (formula 1, 25), Kimi Raikkonen (formula 1, 24), Shaquille O’Neal (basket, 23). Fermo il portoghese Cristiano Ronaldo a 17 milioni, nessun altro calciatore nella top ten.
L’ultima classifica pubblicata (a marzo) dal settimanale francese France Football (quello che assegna il Pallone d’oro) ha sancito la fine del dominio di David Beckham al vertice della classifica dei calciatori più pagati del mondo: dopo nove anni ha dovuto cedere il primo posto all’argentino Lionel Andrés Messi, 33 milioni di euro contro i 31 dell’inglese. Cristiano Ronaldo occupa il terzo posto con 18,6 milioni, poi il brasiliano Kakà e il francese Thierry Henry. A questo punto Messi può mirare al trono di Tiger Woods, cui i recenti problemi coniugali hanno fatto perdere qualche sponsor.
Messi è nato il 24 giugno del 1987 a Rosario, porto fluviale argentino da tempo in declino. Grande speranza della nazionale sudamericana guidata da Diego Armando Maradona, se le cose fossero andate diversamente ai prossimi mondiali avrebbe potuto indossare la maglia azzurra: il suo antenato Angelo Messi, contadino seminalfabeta nato a Recanati nel 1866, attraversò l’oceano nel 1893 insieme alla moglie Maria. Da lui discende Jorge, operaio della fabbrica metallurgica Acindar, padre del vincitore dell’ultimo Pallone d’oro e dell’ultimo Fifa World Player e trascinatore del Barcellona al vertice del calcio mondiale.
Primi calci nel Grandoli a 5 anni (contro avversari di 11), dall’età di 7 anni nel Newell’s Old Boys (la squadra locale che vanta tra le glorie del passato l’ex bomber della Fiorentina Gabriel Omar Batistuta), da bambino Messi fu a un passo dall’appendere le scarpe al chiodo: nel 2000 il professor Schwarstein dell’istituto San Pablo di Rosario gli diagnosticò un deficit dell’ormone Gh, quello che prodotto dall’ipofisi su sollecitazione dell’ipotalamo presiede allo sviluppo del fegato, delle ossa, delle cartilagini e dei muscoli: «Deve curarsi. Lasci perdere il fútbol».
Sposato con la spagnola Celia, altri tre figli, Jorge Messi non guadagnava abbastanza per pagare i 900 dollari al mese necessari per curare Lionel: decise allora di chiedere aiuto ai dirigenti del Newell’s, che restarono in silenzio. Poiché non andò meglio neanche col River Plate, prestigiosissima squadra di Buenos Aires, papà Messi, convinto (a ragione) che il paese fosse tra l’altro sull’orlo della bancarotta, decise di portare la famiglia a Lleida, in Catalogna, dove vivevano alcuni cugini.
In Spagna i parenti di Messi riuscirono a organizzare un provino col Barcellona. Bastarono pochi minuti perché Carlos Rexach, ex gloria locale passato ad allenare le giovanili, si convincesse che con quel ragazzino non era il caso di badare a spese: «Fece cinque gol con una facilità sorprendente. Gli feci firmare un accordo simbolico sopra un tovagliolino di carta, cinque minuti dopo averlo osservato». L’accordo prevedeva un posto a La Masia (l’accademia del Barça), il pagamento delle cure, un impiego per il padre.
In Argentina circola una diversa versione dell’espatrio di Messi. Nel dicembre 2007 il sociologo dello sport Sergio Levinsky la raccontò al ”Manifesto”: «Il ratto di Messi è una storia abbastanza controversa. I genitori raccontano che a Rosario non se li filava nessuno ma non è proprio così. Tanto è vero che c’è in corso un processo intentato da due dirigenti del Newell’s Old Boys che sostengono di aver pagato eccome quelle cure. Il Barcellona fu avvertito dai suoi informatori che c’era un piccoletto fenomenale che si poteva portare via con due soldi, offrì un lavoro al papà del ragazzo e si garantì il futuro».
Comunque sia andata, la prima stagione di Messi nelle giovanili del Barcellona si concluse con 37 gol in 30 partite. Ha raccontato il coetaneo Gerard Piqué, ancora oggi suo compagno di squadra: «Era così piccolo e silenzioso che pensammo in molti: che cosa ci fa qui? Cinque minuti dopo, andati sul campo, lo capimmo». Esordio non ufficiale con la prima squadra, contro il Porto, il 16 novembre 2003, debutto in gara ufficiale contro l’Espanyol, il 16 ottobre 2004, il mondo si accorse di lui nell’estate del 2005, quando trascinò l’Argentina al titolo mondiale under 20 come già aveva fatto nel 1977 Maradona.
Mancino naturale, dotato di un tiro secco e preciso, accelerazioni fulminanti e una eccezionale visione di gioco, la ”pulce” (Pulga) ormai alta un metro e 69 faceva già gola ai più grandi club del mondo, scoraggiati da una clausola di rescissione valida fino al 2010 fissata in 150 milioni di euro: «Ho firmato qui a lungo perché ho un debito con chi ha investito su di me quando nessuno mi voleva», ripeteva ai giornalisti estasiati dalle sue prestazioni (in particolare uno strepitoso gol da fuori area con cui in semifinale eliminò il Brasile).
Nell’agosto 2005 Fabio Capello, allora allenatore della Juventus campione d’Italia in carica, intervistato al Camp Nou dai giornalisti spagnoli disse che se avesse potuto prendere un giocatore del Barcellona (che alla fine di quella stagione avrebbe vinto la Champions League) non avrebbe scelto il Pallone d’Oro in pectore Ronaldinho ma Messi, che in un match valido per il trofeo Gamper aveva fatto impazzire Fabio Cannavaro (alla fine di quella stagione campione del mondo e Pallone d’Oro): «Non ricordo un giocatore della sua età indossare con tanta disinvoltura una maglia impegnativa come quella del Barcellona».
« l’unico giocatore in grado di stuzzicare la mia fantasia come un tempo» (ancora nell’estate 2005, Massimo Moratti, presidente dell’Inter a quei tempi incapace di vincere).
Poiché il Barcellona non poteva ingaggiare altri extracomunitari, nelle prime due stagioni Messi giocò come ”dilettante”. Ruolo da non protagonista nel successo europeo del 2006, la pulce esplose all’inizio della stagione 2008/2009, quando si liberò dell’ombra di Ronaldinho, passato al Milan. I compagni di squadra avevano ormai in lui la massima fiducia, come sottolineò il francese Thierry Henry: « eccezionale: se decide di andare in porta, semplicemente va in porta. Non c’è nulla che tu possa fare per fermarlo, se non tirargli un calcione. E gioca con la stessa voglia di quando si è sui campetti da bambini. Ho giocato anche con Ronaldinho, ma Messi è meglio».
La stagione 2008/2009 lo ha visto grande protagonista con 23 gol in campionato e 9 in Champions League, compreso quello di testa (!) nella finale all’Olimpico di Roma contro il Manchester United campione in carica guidato da Cristiano Ronaldo e dall’inglese Wayne Rooney, gli unici che al momento possono contendergli il titolo di miglior calciatore del mondo. A fine stagione è arrivata la consacrazione con Pallone d’Oro e Fifa World Player. Il 18 settembre ha firmato il rinnovo del contratto che lo lega al Barcellona fino al 2016: ingaggio di 12,5 milioni netti all’anno, stavolta la clausola rescissoria è stata fissata in 250 milioni.
Dal 2006 testimonial dell’Adidas, con gli ultimi accordi di sponsorizzazione Messi è riuscito a strappare a Beckham il titolo di Paperon de’ Paperoni del pallone. Se il Barcellona decidesse di metterlo in vendita, il suo cartellino costerebbe almeno 124 milioni di euro (stima della società di consulting Frontier Economics), contro i 93 milioni pagati la scorsa estate dal Real Madrid per strappare Cristiano Ronaldo al Manchester United. Il Pallone d’Oro ha aumentato del 20-30% il suo valore pubblicitario portando i suoi guadagni oltre la soglia dei 40 milioni di euro a stagione. Per raggiungere Woods serve almeno un’altra ventina di milioni. Possibile? Claudio Pasqualin, principe dei procuratori italiani: «Molto dipende da lui, dalla voglia di sfruttare la sua immagine fino in fondo».
La strategia commerciale di Messi si gioca adesso su tre campi: la Spagna, l’Argentina, il resto del mondo. Secondo uno studio dell’Università della Navarra la Pulce è ormai il calciatore più esposto del pianeta ai mezzi di comunicazione, insidiato dal solo Cristiano Ronaldo. Testimonial di 25 marche (bibite, hamburger, cellulari, carte di credito, vestiti, elettrodomestici, videogiochi, lamette da barba, dolci, compagnie aeree, birre ecc.), vanta tra i clienti firme internazionali come Pepsi, Gatorade, Danone.
Per scalare la classifica Forbes fino a prendere il posto di Woods pare indispensabile un successo da protagonista ai prossimi mondiali. Nel 2006, a 19 anni, giocò solo 122 minuti divisi in tre partite segnando un gol. Nel quarto di finale perso ai rigori contro la Germania fu lasciato in panchina, con l’allenatore José Pekerman che gli preferì Tevez, Crespo e Cruz. Esordio contro l’Ungheria come Maradona (fu espulso dopo 132”), nonostante l’oro alle Olimpiadi di Pechino (2008) fino ad ora con la nazionale maggiore non ha fornito molte prove all’altezza della sua fama, frenato dal ruvido trattamento riservatogli nel torneo di qualificazione sudamericano da difensori cui i locali arbitri concedono qualche libertà di troppo.
Dopo un eventuale successo mondiale, per scavalcare Woods resterebbe da abbattere un ultimo ostacolo: residente con la famiglia fuori Barcellona, una fidanzata pressoché sconosciuta (la connazionale Antonella Roccuzzo, studentessa di dietologia), paradossalmente Messi potrebbe pagare la mancanza di vezzi da star che spiega la freddezza di alcuni sponsor nei suoi confronti. Quando si è trattato di cercare un nuovo modello per Emporio Armani Underwear e Armani Jeans al posto dell’ormai ultratrentenne David Beckham, la scelta è caduta sul gossipatissimo Cristiano Ronaldo: « per la sua spontaneità, l’energia e il suo carattere che l’ho voluto», ha spiegato lo stilista. Battuto sul campo e in banca, per contrastare Messi il portoghese potrebbe presto essere costretto ad aggiornare una celebre battuta di George Best, suo predecessore al Manchester United: «Se non fossi stato così bello non avreste mai sentito parlare di Pelé».