varie, 26 aprile 2010
ACCORDO PUTIN-BERLUSCONI SUL NUCLEARE, LA SITUAZIONE IN ITALIA
• IL NUCLEARE
Il nucleare contribuisce alla produzione del 16% dell’elettricità mondiale e del 34% dell’elettricità europea. Vi sono centrali nucleari in 15 Paesi dell’Ue con percentuali, rispetto alla quantità di elettricità consumata, che vanno dal 78% della Francia al 3,5% dei Paesi Bassi. Su scala mondiale i reattori funzionanti sono 437, quelli in costruzione 30, quelli già progettati 74, e quelli proposti 162. La Francia ha deciso di rinnovare le proprie centrali e di costruire reattori dell’ultima generazione. La Gran Bretagna ha annunciato nelle settimane scorse un piano analogo. Gli Stati Uniti (dove il nucleare assicura il 20% dell’energia elettrica prodotta nel Paese) offrono sussidi fiscali per aumentare il numero delle centrali esistenti. La Finlandia sta costruendo una nuova centrale. La Germania e la Svezia hanno deciso di abbandonare l’energia nucleare, ma la prima lo ha fatto con un programma deciso all’epoca del governo rosso-verde di Schröder che i cristiano-democratici vorrebbero rivedere. I Paesi Bassi avevano preso una decisione analoga, ma hanno cambiato idea. Il caso più interessante è quello della Cina dove le 11 centrali funzionanti producono l’1,9% dell’elettricità. Ma ve ne sono 4 in costruzione, 23 in corso di progettazione e 54 allo studio. In Italia, come noto, ogni piano nucleare è stato sepolto dal referendum del novembre 1987. Ma consumiamo elettricità prodotta con il nucleare francese, come lei ha ricordato; ed esiste ormai paradossalmente, da quando l’Enel ha comperato un reattore slovacco, un nucleare italiano all’estero (Sergio Romano, Corriere della Sera 29/6/2007).
• I COSTI DELL’ELETTRICIT IN ITALIA
In Italia i costi industriali dell’elettricità sono tra i più alti al mondo: ogni 1.000 chilowattora le aziende spendono 140 euro, molto più di Giappone (97 euro), Irlanda (80), Danimarca (77,2) Regno Unito (69,8), Spagna (67,1), Germania (61,9), Usa (44,9), Francia (40,1) e Norvegia (35). Un record negativo frutto dello squilibrato mix di fonti energetiche: non c’è il nucleare, le fonti rinnovabili crescono lentamente mentre gas e petrolio alimentano i due terzi della produzione (Alberto Fiorillo, il Venerdì 5/10/2007).
• IL NUCLEARE IN ITALIA PRIMA DEL REFERENDUM
Nel 1966 l’Italia era il terzo produttore del mondo di energia nucleare con 3,9 miliardi di chilowattora. Erano gli anni di Felice Ippolito, padre della fissione «made in Italy» che ha sviluppato i progetti delle centrali di Garigliano e di Latina e che poi fu abbandonato dalla classe politica italiana. L’incidente al reattore americano (1979) di Three Mile Island non ferma la corsa all’atomo e nel 1981 il ministro dell’Industria Filippo Maria Pandolfi (quinto governo Fanfani) presenta un nuovo piano energetico che prevede la costruzione entro il decennio delle centrali di Caorso e di Montalto di Castro e di altri due siti, uno in Puglia (Salento), l’altro a Trino Vercellese (Piemonte). «Tutto si ferma all’una e mezzo del mattino del 26 aprile del 1986 con l’esplosione della centrale di Chernobyl». Poi il referendum del 1987 passato con il 71,9% e del nucleare non se ne parla più sino al ritorno del terzo governo Berlusconi (Roberto Bagnoli, Corriere della sera 10/7/2009).
• IL REFERENDUM DEL 1987 SPIEGATO DA SERGIO ROMANO
Con il referendum del 1987 gli italiani non poterono dire no al nucleare. Non era quella, infatti, la domanda che trovarono sulla loro scheda. I quesiti erano tre. Volevano abrogare la legge che attribuiva al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) il potere di determinare le aree dove insediare le centrali elettronucleari, nel caso non lo facessero le Regioni? Volevano abrogare la legge che autorizzava l’Enel a versare contributi a Regioni e Comuni in proporzione all’energia prodotta sul loro territorio con centrali nucleari o a carbone? Volevano abrogare la legge che consentiva all’Enel di «promuovere la costruzione» di impianti elettronucleari «con società o enti stranieri» o anche «assumere partecipazioni che abbiano come oggetto la realizzazione e l’esercizio di impianti elettronucleari» all’estero? Gli elettori dissero sì, a grande maggioranza, e la loro risposta ebbe l’effetto di cancellare quelle norme. Ma il governo avrebbe potuto costruire centrali con altre regole, diverse da quelle abrogate, e avrebbe dovuto, a giudizio di molti osservatori, completare la costruzione degli impianti in corso d’opera. Avevamo investito molto denaro e creato le condizioni per la nascita di imprese che avrebbero dato un notevole contributo al nostro progresso tecnologico. Ma la classe politica preferì cavalcare pigramente e pavidamente le paure di Cernobyl, smantellare il lavoro già fatto, e buttare via spensieratamente, insieme a parecchio denaro, una somma difficilmente quantificabile di esperienze scientifiche. Naturalmente il prezzo di quella sconsiderata decisione venne pagato dai contribuenti soprattutto con le bollette dell’Enel. L’8 novembre 1987 fu il giorno in cui un’alleanza tra la demagogia e la paura mise in ginocchio contemporaneamente l’economia, la scienza e la politica del Paese. Quanto dura la validità legale di un referendum? Per quanto tempo siamo tenuti a rispettarne le conclusioni? Mi sembra di comprendere che giuristi e costituzionalisti hanno su questa materia pareri diversi. Mi limito a osservare che ogni consultazione referendaria riflette le tendenze e le condizioni prevalenti in una precisa circostanza storica. Nel 1987 votammo dopo la caduta del prezzo del petrolio e all’ombra del disastro di Cernobyl. La situazione oggi è alquanto diversa. Conosciamo meglio le potenzialità e i limiti delle energie alternative. Sappiamo quanto sia pericoloso dipendere da fornitori stranieri. Siamo circondati da centrali nucleari, spesso costruite con nuove tecnologie. Importiamo energia nucleare a buon prezzo dai Paesi vicini per una quantità pari al 20% del consumo nazionale. Viviamo in un mondo in cui il nucleare è all’ordine del giorno anche per coloro che, come la Gran Bretagna, se n’erano allontanati (i laburisti hanno recentemente varato un programma per la costruzione di nuove centrali). E infine, come è stato ricordato da un altro lettore in una lettera molto documentata, l’Enel non è più una industria pubblica. una società per azioni a cui non possiamo legare le ali impedendole di muoversi sui mercati internazionali con la stessa libertà con cui si muovono i suoi concorrenti. Sino a quando dovremmo continuare a rispettare le ambigue decisioni del 1987? Se gli oppositori del nucleare lo vorranno potranno sempre, in futuro, proporre altri referendum. Ma non possono trincerarsi dietro quello di 22 anni fa (Sergio Romano, Corriere della Sera 02/03/2009).
• IL NUCLEARE IN ITALIA DOPO IL REFERENDUM
In Italia dodici anni fa un referendum bandì il nucleare. Oggi sul nostro territorio ci sono quattro centrali dismesse e oltre 23 mila metri cubi di scorie radioattive. In attesa di decidere come sistemarle (una certa quantità mantiene la radioattività per trecento anni, il resto per millenni) sono state inscatolate in enormi piscine blindate a Casaccia (vicino Roma) e Trisaia (Basilicata) e in container di calcestruzzo a Saluggia (Vercelli). L’Italia ha mantenuto in funzione una rete di rilevamento costata 6 miliardi di lire, che potrebbe essere utile in caso di nubi radioattive provenienti, ad esempio, dalle centrali dei paesi dell’Est, le più insicure (Francesco Grignetti, La Stampa 01/10/1999; Antonio Cianciullo, la Repubblica 01/10/1999).
Le 20 centrali atomiche francesi producono l’80 per cento dell’energia elettrica interna e contribuiscono alla bilancia commerciale con l’esportazione di parte dell’energia nei Paesi limitrofi, in particolare in Italia. Nel nostro Paese l’Enel spenderà 1.000 miliardi per chiudere definitivamente l’unica centrale nucleare, quella di Caorso, bloccata dal referendum popolare del 1987. Oltre all’Italia, anche Austria, Olanda e Danimarca hanno da tempo rinunciato al nucleare (Enrico Molinari, La Stampa 25/10/1998).
L’Enel ha acquisito il 66% della maggiore impresa di generazione della Slovacchia, che ha portato in dote 1.760 MegaWatt di nucleare operativo e 880 in via di realizzazione. Inoltre, con Endesa in Spagna l’Enel si troverà a gestire altri 5 mila MW di atomo. E in Francia il gruppo punta al 12,5% del progetto Epr, che sul piano industriale vuol dire una centrale da costruire più altre cinque in opzione, mentre in termini tecnologici significa accedere alla terza generazione nucleare, con impianti che producono poche scorie e che i tecnici dicono a prova di incidente. Anche la centrale finlandese è Epr, e la prospettiva per l’Enel è di acquisire competenze da esportare in tutto il mondo; magari da «esportare» anche in Italia.
L’Ansaldo (Finmeccanica) che costruì le 5 centrali italiane, da anni le sta malinconicamente smantellando in cooperazione con la Sogin, società a cui l’Enel ha conferito la cura di questo cimitero degli elefanti atomici. Ma Ansaldo ha continuato anche a lavorare in Francia e Romania, coopera allo sviluppo di un reattore dell’americana Westinghouse e partecipa al progetto europeo di ricerca Elsy; il gruppo ha costituito una società autonoma, Ansaldo Nucleare, guidata da Giuseppe Zampini con 180 tecnici, ed è pronto a costruire impianti anche in Italia, se la politica lo decide (Luigi Grassia, La Stampa 8/9/2007).
• PROBLEMI PER LA REALIZZAZIONE
Al di là della questione sicurezza (i reattori sarebbero di terza generazione, come quello in via di realizzazione in Finlandia e in Francia), il primo problema è quello dei tempi. Dieci anni è quanto è stato previsto per la centrale in costruzione in Finlandia (l’unica, a oggi, in Occidente), ma, per l’Italia, appare un obiettivo particolarmente "sfidante". Le carte della Edison tracciano una tabella che prevede un anno di dibattito generale, un anno per scegliere il sito, due per avere tutte le autorizzazioni, due anni per preparare il sito, cinque per costruire la centrale. E’ una tabella dubbia anche nella sua parte finale: la costruzione del reattore finlandese, partita nel 2005, è già in ritardo di due anni. Ma, soprattutto, nella sua parte iniziale. Le stesse carte della Edison ricordano che, nonostante la legge "sblocca centrali" del 2002, l’autorizzazione, per esempio, della centrale a gas di Presenzano, in Calabria, avviata nel 2004 è ferma, quattro anni dopo, in attesa della Valutazione di Impatto Ambientale.
Il secondo problema è quello, largamente irrisolto anche a livello mondiale, delle scorie altamente radioattive. La Edison valuta che cinque-sei reattori, nell’arco di vita di 60 anni, producano 21 mila metri cubi di residui, pericolosi ancora per secoli. Bisognerebbe individuare una loro localizzazione (il dibattito sul sito di Scanzano Jonico è ancora aperto) o concordare una loro esportazione in siti geologicamente sicuri, come dovrebbe essere, secondo le dichiarazioni ufficiali, quello che la Finlandia sta approntando per le proprie centrali.
Il terzo problema è quello dei costi. Al contrario di quanto avviene per una centrale a gas, in una centrale nucleare il combustibile costa poco, ma costruire la centrale costa molto. In altre parole, conta quanto capitale bisogna investire e a che tasso di interesse lo si è trovato sul mercato. Questo significa che il costo di un kw nucleare e il prezzo a cui venderlo tendono ad essere rigidi: se arrivassero nuove fonti di energia o il prezzo del petrolio crollasse, l’energia nucleare potrebbe finire fuori mercato. Sono tutt’e due ipotesi, oggi, piuttosto remote. Tuttavia, l’entità dell’investimento è un parametro cruciale. Quanto costa il piano nucleare che la Edison, peraltro, vorrebbe condividere con altri partner? Realizzare le centrali costerebbe fra i 20 e i 40 miliardi di euro, a seconda che si realizzino cinque o dieci centrali, ovvero si installino 10 o 20 mila megawatt di potenza. I tecnici della Edison arrivano a questa valutazione, calcolando un costo di costruzione di 2 mila euro a kw installato, ovvero 4 miliardi di euro per ogni centrale da 2 mila megawatt. E’ la valutazione corrente nel mondo dell’industria nucleare e la stessa utilizzata in Finlandia (dove, peraltro, il ritardo di due anni nella costruzione ha già alzato di quasi il 25 per cento il costo inizialmente previsto). Tuttavia, secondo alcuni, è ottimistica. Moody’s, l’agenzia di rating che, probabilmente, svolgerebbe un ruolo cruciale, nel momento in cui i futuri protagonisti del nucleare italiano si rivolgessero al mercato per trovare i capitali necessari a realizzare le centrali, è favorevole all’opzione nucleare, ma sposta parecchio più in su la valutazione: fra i 5 e i 6 mila dollari - cioè 3.200-3.800 euro, al cambio attuale - per kw installato. L’Italia nucleare costerebbe fra i 30 e i 70 miliardi di euro, a seconda del numero di centrali (Maurizio Ricci La Repubblica 17 marzo 2008).
Il World Energy Council ha calcolato che per far ripartire il nucleare in Italia bisognerà investire almeno 40 miliardi di euro. Per produrre 12 mila Mwh (il 25% del nostro fabbisogno) ci vogliono otto centrali da 1.600 Mwh l’una. Ogni centrale costa 5 miliardi. Il costo di produzione di un Mwh viaggia oggi tra i 35 e i 55 euro. Alessandro Clerici, presidente onorario del Wec: «Una cifra che si potrà ammortizzare in 25-30 anni». Una centrale non vive più di 60 anni. Andrea Gilardoni, della Bocconi: «Per la costruzione di una centrale bastano cinque anni, l’iter autorizzativo ne può durare anche 7» (Sofia Fraschini, Milano Finanza 31/5/2008).
• IL NUCLEARE IN ITALIA OGGI
Il primo passo ufficiale per il ritorno del nucleare in Italia è stato compiuto il 22 dicembre 2009. Il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo del ministero dello Sviluppo economico che fissa le regole per localizzare i siti dove costruire i nuovi impianti e il deposito delle scorie, e per autorizzare le centrali a produrre [...]. Saranno direttamente gli operatori candidati a costruire le centrali, come l’Enel in tandem con Edf, a proporre i siti, che dovranno ottenere la certificazione da parte dell’Agenzia. Il decreto prevede comunque un forte coinvolgimento degli enti locali e territoriali [...]. Per combattere la sindrome Nimby (not in my backyard) sono stati comunque studiati anche incentivi a beneficio delle imprese locali e dei cittadini delle aree che ospiteranno le centrali, fino a un raggio di 20 km. Tra le misure c’è un contributo una tantum in fase di costruzione dell’impianto, stimato in circa 30 milioni di euro per reattore (divisi in cinque tranche annuali), il 60% dei quali andrà a imprese e cittadini in forma di sgravi fiscali (riduzione della Tarsu, delle addizionali Irpef e Irpeg e dell’Ici), mentre il restante 40% finirà nelle casse del Comune ospite e, in misura minore, di quelli confinanti. Inoltre, l’amministrazione comunale riceverà un’Ici di tutto rispetto, circa 13 milioni di euro annui. Ma la novità più interessante del decreto è lo sconto in bolletta che scatterà all’entrata in esercizio dell’impianto: circa 40 centesimi in meno a megawatt, che si traducono in un risparmio potenziale di sette milioni di euro per i cittadini e le imprese delle aree dove sorgeranno i reattori. Quanto alle scorie, il testo individua un parco tecnologico, dove verranno collocati il deposito nazionale per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, attribuito a Sogin, e un centro studi e sperimentazione [...]. Secondo indiscrezioni, i tecnici inviati da Edf avrebbero già effettuato sopralluoghi su almeno tre dei nove siti selezionati insieme ai colleghi dell’Enel: Trino Vercellese (Vercelli), Montalto di Castro (Viterbo) e Borgo Sabotino (Latina). Dei tre, uno in particolare avrebbe suscitato l’interesse dei francesi, che lo riterrebbero così idoneo da pensare di installarci non uno, ma ben due reattori Epr, la coppia testa di serie da avviare alla produzione entro il 2020: si tratta di Montalto di Castro (Angela Zoppo, MilanoFinanza 23/12/2009).
Il piano del governo è chiaro ed è stato illustrato diverse volte dal ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola: quattro gruppi elettronucleari, da 1.600 Mw che Enel sarebbe pronta a costruire con i colleghi francesi di Edf, con i quali già realizza impianti all’estero. Lo stesso Conti ha già messo una data in calendario: la prima pietra della prima centrale nel 2013, quando Enel avrà terminato i lavori alla centrale slovacca di Mochovce, via al primo impianto nel 2020, con l’obiettivo di arrivare a produrre 13 mila Mw - il 25% della domanda energetica nazionale - entro il 2030 [...] I vincoli per costruire una centrale sono molti e codificati rigidamente: non lasciano molto spazio per decidere in un paese montuoso e popolato densamente come l’Italia. Serve la vicinanza di grandi riserve d’acqua, necessaria per il raffreddamento dei reattori. indispensabile una certa distanza dai grandi centri abitati, la zona deve essere a rischio sismico pari quasi a zero e infine deve essere a portata della rete di distribuzione dell’energia elettrica (Marco Sodano, la Stampa 9/12/2009).
In gioco, solo per la prima fase del ritorno italiano all’atomo, ci sono quattro gruppi nucleari da 1.600 megawatt ciascuno, da costruire con la tecnologia francese di terza generazione Epr (European pressurized water reactor). Si procederà sotto l’ombrello del megaconsorzio impostato dal colosso francese Edf e l’italianissima Enel. E spetterà proprio all’Enel il ruolo guida sia nella composizione che nella gestione delle singole società che realizzeranno i quattro impianti, da accorpare in un paio o forse tre centrali. Obiettivo: "prima pietra" entro fine legislatura, per avviare la prima centrale entro dieci anni, promette il Governo nonostante gli intralci del percorso normativo. Giro d’affari complessivo: tra i 16 e i 18 miliardi di euro, tra i 4 e i 4,5 per ogni singolo reattore e relative opere [...]. Grandi e piccoli protagonisti, per una sfida che peraltro rappresenta solo la metà del gioco in Italia e una piccola parte del nuovo gioco mondiale. I quattro reattori Epr impostati da Enel e Edf rappresentano infatti il 50% del nostro programma nucleare. Che traguarda l’obiettivo di 13mila megawatt complessivi di potenza installata, per coprire entro il prossimo ventennio un quarto del nostro fabbisogno di elettricità (Federico Rendina, Il Sole-24 Ore 19/12/2009).
• TECNOLOGIE A CONFRONTO
Le centrali di terza generazione promettono di risolvere gran parte dei problemi che hanno bloccato lo sviluppo delle centrali dalla metà degli anni ”80 ad oggi. Più sicure, più efficienti, più potenti e più longeve. Le nuove centrali incorporano il concetto di "sicurezza passiva": la fissione nucleare, se lasciata incontrollata, tende a spegnersi piuttosto che far crescere la quantità di energia prodotta. Materiali avanzati e meccanismi di controllo fanno sì che un reattore possa funzionare per 60 anni (contro i 40 attuali) usando meno uranio. Il primo reattore di nuovo tipo è stato costruito dalla General Electric (Abwr) in Giappone alla fine degli anni ”90, ma i modelli di punta attuali sono quelli della francese Areva (l’Epr) e dall’americana ToshibaWestinghouse (Ap 1000). I due gruppi sono protagonisti di una guerra commerciale globale per accaparrarsi il maggior numero di commesse. Finora Epr e Ap1000 si sono divisi i mercati più ricchi: la Cina, gli Stati Uniti, l’Inghilterra. Un reattore Epr è più grande con 1600 Mw di potenza contro i 1000 Mw del concorrente Westinghouse, ma necessita di maggiori quantità di acqua e più spazio per essere costruito. Maggiore anche il costo unitario (44,5 miliardi di euro contro i 3 miliardi). Nessuno dei due modelli ha ancora prodotto un solo Kwh, il primo Ap1000 dovrebbe entrare in funzione in Cina nel 2013, mentre i due Epr in costruzione, a Flamanville in Francia e Olkiluoto in Finlandia, stanno incontrando consistenti ritardi e aumento dei costi. La crisi economica ha portato una inversione di tendenza. I governi hanno preferito ai costosi e futuristici reattori di terza generazione progetti più economici: gli Emirati Arabi hanno affidato la loro prima centrale alla coreana Kepco, mentre Germania e Spagna hanno scelto di concedere un allungamento delle licenze agli impianti già in funzione (Luca Iezzi, la Repubblica Affari&finanza 19/4/2010).