Giorgio Dell’Arti, La Stampa 24/4/2010, pagina 88, 24 aprile 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 13 - IL CONTE TRISTE A GRINZANE
Non era disonorevole abbandonare la divisa del re?
Il Paese non era in guerra. E Cavour era tanto giovane. Scrisse prima al padre. «La polizia mi spia, i compagni mi guardano con sospetto… Con le mie opinioni non posso continuare a servire… Potrei magari occuparmi d’agricoltura, credo di aver talento per l’amministrazione… Purché non mi si lasci con le mani in mano, a contemplarmi l’ombelico. Ho bisogno di buttarmi anima e corpo in qualcosa…».
La famiglia era d’accordo?
Sì. Però era appena morto Carlo Felice e non sarebbe stato cortese verso il nuovo re chiedere subito di lasciare il servizio.
Il nuovo re era Carlo Alberto?
Sì, Carlo Alberto. Salì al trono il 27 aprile 1831.
Quanto bisognò aspettare per le dimissioni?
Fino a novembre. Cavour si fece aiutare da Adele e Gustavo. Scrisse: «M’hanno fatto passare per un clubista, per un anarchico. Ero invece solo un giovane impegnato, che giudicava l’attualità con imprudente franchezza». Dopo essere stati sospettati di tradimento «si può continuare a servire? Si può tornare in mezzo ai camerati?». Anche la vista gli si era fatta più debole, aveva inaugurato gli occhialetti ovali. Il 12 novembre il ministero elargì «l’implorata dispensa da ogni Militare Servizio, con la concessione dell’uniforme stabilita dal totale dell’Esercito», non avendo Sua Maestà «stimato di conservargli la Divisa del Corpo cui appartiene».
Cavour fu lieto d’esser tornato allo stato civile?
Cavour era disperato. Era il secondo fallimento della sua vita. Fallito come cortigiano, fallito come militare. Provò a suicidarsi.
Un colpo di pistola?
Buttandosi giù dal bastione del Monte dei Cappuccini. L’episodio non è sicuro. Lo avrebbe trattenuto un fra’ Valeriano, al secolo Alessandro Mosso.
A casa lo seppero?
Credo di no. A casa pensarono che per fargli passare la malinconia bisognava impegnarlo in qualcosa. La zia Vittoria aveva questa proprietà a Grinzane, 180 ettari, di massima coltivati a grano, col castello comprato a metà col signor marchese padre. Il signor marchese padre si diede da fare per far nominare il figlio sindaco.
Per «signor marchese padre» intende Michele, il padre di Cavour?
Sì. Il sindaco veniva scelto al ministero in una rosa di nomi che veniva proposta dall’intendente del posto. Nel nostro caso, l’intendente di Alba, conte Ignazio Somis. Somis aveva una rosa di sette nomi e Michele fece in modo che la scelta cadesse sul nome del conte di Cavour.
La gaffe del gambero era stata dimenticata?
Il marchese Michele era ormai in intimità col re. Aveva accettato di far da testa di legno nell’affare della duchessa di Berry. La duchessa di Berry voleva sollevare la Vandea e rovesciare Luigi Filippo, in modo da mettere in trono il proprio figlio. Carlo Alberto le mise a disposizione un battello, facendo figurare come donatore il marchese Michele. In caso di complicazioni diplomatiche... Più tardi Carlo Alberto nominò il marchese Michele sindaco di Torino e vicario di polizia.
Chi diventò prima sindaco, il padre o il figlio?
Il figlio. Non era una gran soddisfazione. Grinzane aveva 350 abitanti. un posto nelle Langhe, a sei chilometri da Alba. Cavour teneva consiglio comunale in camera da letto. Il caso politico più spinoso fu quello della bella salinera, la tabaccaia. Due tizi, per disputarsela, mettevano in pericolo l’ordine pubblico.
L’incarico a Grinzane riuscì comunque a tirar su il morale del conte?
Per niente. Il 2 ottobre 1832, riferendosi al suo «nouvel état d’humilité», scrisse all’amica Giulia di Barolo: «Da giovani ci si illude come niente che un giorno saremo belli, forti, grandi, famosi. Rida pure di me, madame, c’è stato un tempo in cui tutto mi sembrava possibile, mi pareva ovvio che un bel mattino mi sarei svegliato primo ministro del Regno d’Italia…».
Ha scritto veramente questo?
Sì. naturalmente un brano molto celebre. Maria Avetta, che curò quel volume delle lettere, annotò: «La marchesa di Barolo visse abbastanza per assistere all’avverarsi di questa illusione». Sento dietro queste parole un piccolo palpito. Nel ’32 la marchesa di Barolo aveva 47 anni.
In che cosa consisteva, alla fine, il lavoro di Grinzane?
Amministratori che rubavano e che andavano sostituiti. La zia Vittoria che era pronta a comprare cinque carri di vino a 300 franchi. Si dovevano piantar salici in un terreno che stava sotto il bosco di Valdissera, in modo da aver poi senza spese i vinchi per i tini. I resoconti… Era così preso da queste minuzie che un certo giorno aprì senza pensarci un biglietto che gli avevano portato. Lesse: «Vi vedrò un momento prima di partire da Torino? Non incontrarvi mi costerebbe tanto. Forse non ci sarà un’altra occasione. Dopo quello che è successo, non bisognerà che io vi parli ancora una volta? Una volta non è poi troppo… Dio mio, non so neanch’io quello che scrivo. Mettete questo scarabocchio insieme agli altri. Addio, spero di vedervi. Sono all’hotel Foeder».
Nina?
Nina.