Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 25 Domenica calendario

I MIEI TORI DIVENTANO MASCOTTE GLOBALI

Nella casa-laboratorio di Church Street a Downtown Manhattan lo scultore Arturo Di Modica, ragusano d’origine e newyorkese d’adozione, vive circondato da opere che realizza e immagina senza sosta. Quella più nota è il Toro di bronzo che nella notte del 15 dicembre 1989 posò a sorpresa di fronte alla Borsa di New York diventandone poi il simbolo più popolare. E ora ha terminato una replica destinata all’Esposizione di Shanghai.
Come è nato il Toro cinese?
«Circa un anno fa i rappresentanti del comune di Wan Pu sono venuti nel laboratorio che ho a Vittoria, vicino Ragusa in Sicilia, volevano un Toro identico a quello di Wall Street ma gli ho spiegato che proprio identico non era possibile, perché oramai quello è coperto da diritti che sono stati acquistati».
E allora come avete fatto?
«Ho realizzato per Shanghai il Toro fratello di quello di Wall Street».
Cosa intende per «fratello»?
«Quello che sarà esposto a Shanghai ha le stesse misure, peso uguale e posizione identica ma ha la gamba destra indietro e quella sinistra fuori, mentre in quello di New York è l’esatto contrario. Inoltre ha la testa un poco più bassa».
Anche il colore è diverso...
«Certo, a New York è marrone mentre quello di Shanghai è rosso. Il colore della Cina».
Dove lo ha realizzato?
«In una fonderia del Wyoming».
Perché in Wyoming?
«I costi sono più bassi, i cinesi volevano risparmiare. Ho realizzato sei esemplari identici, proprio come per il Toro di Wall Street, una prova d’artista e cinque sculture: uno è già a Shanghai e fra poco lo esporranno, gli altri andranno in musei».
 andato in Cina?
«Sì, mi ci hanno portato quelli di Wan Pu. Mi hanno fatto vedere il luogo dove metteranno il Toro, è una piazza molto grande, un posto bellissimo».
Come si è trovato a lavorare con i cinesi?
«E’ gente molto seria. Ora sto realizzando un altro progetto a Hong Kong. Una grande porta di bronzo a tre ante, la terminerò entro sei mesi».
A cosa pensava quando lavorava al Toro di Shanghai nel laboratorio del Wyoming?
«Che il mio Toro è diventato la mascotte del mondo».
E come se lo spiega?
«Con il fatto che porta fortuna. Lo immaginai nel 1987 quando i mercati vennero travolti dalla crisi finanziaria e dal momento in cui lo realizzai a mie spese e lo lasciai di fronte a Wall Street gli indici non hanno fatto altro che salire...».
In verità negli ultimi due anni le cose non sono poi andare troppo bene...
«Anche io ho perso molti soldi a causa del crollo. Il Toro si è preso un periodo di riposo, era stanco. Ma ora se fate bene attenzione si è rimesso in moto».
Il suo Toro che oggi si trova a Bowling Green è fra i luoghi di New York più visitati in assoluto. Lei ci passa mai?
«A volte ci vado. Ci sono sempre delle persone attorno. Gli toccano le corna e i testicoli convinti che gli porti fortuna. E’ la gente che lo considera un simbolo di buon augurio, di ricchezza. Spesso si tratta di asiatici, ma non solo. E’ un Toro che vogliono un po’ tutti».
Dopo il «fratello cinese» che cosa vorrebbe realizzare?
«Altri tori-fratelli. Penso ad esempio a quelli inglesi, per posizionarli nella City. Al momento è solo un progetto, o forse un sogno, conto sul fatto che un giorno si avvererà».
E il Toro di Bombay?
«Quello è solo una copia, gli indiani se lo sono fatti da soli, io non c’entro nulla. Al momento esistono solo due gruppi originali, ognuno di sei tori, uno newyorkese e l’altro cinese».