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 2010  aprile 25 Domenica calendario

IL COLONIALISTA CHE SCRISSE UN BEST SELLER

Max Havelaar venne pubblicato in Olanda nel 1860 e fece furore. In Germania diventò il libro del giorno, anche in Inghilterra ebbe una celebrità in ambito liberal. E pure oggi resta vagamente nelle menti degli stranieri come il classico olandese. Dico vagamente, perché molte persone colte non ne sanno proprio niente.
Bernard Shaw, per esempio, mi ha confessato di non averne mai sentito parlare. Il che è strano, se si considera la stima in cui era stato tenuto da coloro che potremmo chiamare pre-socialisti, in America e in Inghilterra, sessant’anni fa. Ma quando il libro venne edito fu festeggiato come un’opera con uno scopo e la mente anglosassone adora celebrare questo genere di volumi. Ovviamente a ragione, ma adora altrettanto dimenticare ogni libro del genere. Che noia, quanta insistenza. Quindi abbiamo dimenticato con la nostra consueta precisione tutto di Max Havelaar e del suo au-tore, Multatuli. Anche quello pseudonimo (dal latino: «molto sopportai»), a noi risulta irritante, quando risultava seduttivo per i nostri antenati. Non ci piacciono i personaggi nobili ma poveri, che sanno di avere molto sofferto. Che presuntuosi.
In superficie, Max Havelaar è un manifesto
o un pamphlet nella stessa linea de La capanna dello zio Tom.
Invece della ”pietà per i poveri schiavi neri”, qui abbiamo quella per i ”poveri giavanesi oppressi”, con lo stesso appello urgente a una legge, perché il governo intervenga. Be’, il potere ha fatto qualcosa e il libro è passato di moda. Si dice che anche il governo olandese sia intervenuto a Giava, per i poveri giavanesi,grazie all’impatto del libro di Multatuli. Al punto che Max Havelaar è diventato obsoleto. Fin qui tutto bene. Se, scrivendo romanzi- manifesto, si riesce a forzare i governi a migliorare le cose, allora scriviamoli e basta. Se il governo, comunque, sta al gioco e fa la sua parte, allora il romanzo-manifesto è servito al suo scopo, e scende dal podio come un oratore politico che abbia vinto la sua causa.
Sta nella natura delle cose e proprio per questo al giorno d’oggi molti olandesi colti si spazientiscono quando sentono dei tedeschi o degli inglesi colti parlare di Max Havelaar come del classico olandese. Sarebbe lo stesso per gli americani se sentissero usare queste parole per La capanna dello zio Tom . Questo libro è fuori moda nel mondo anglosassone e Max Havelaar in quello olandese. (...) Non ho provato a rileggere La capanna dello
zio Tom da quando ero un bambino e piansi.
Ci riproverò, quando ne trovo una copia. Ma temo non funzionerà e sono sicuro che non piangerò.
Perché non è lo stesso con
Max Havelaar ? Perché via via che il lavoro procede diventa una grandiosa confusione. I recensori di oggi lo farebbero a pezzi e lo getterebbero nel cestino! Ma i critici, come il clero, sentono di dover giustificare Dio all’uomo e quando pensano di non riuscirci, quando il libro o l’Onnipotente sembrano ingiustificabili, agli occhi delle persone comuni, allora passano al cestino. Ovvio che sia un errore della critica moderna considerare il pubblico, l’uomo della strada, come il vero Dio, che deve essere servito e incensato da ogni libro che compare; anche se si trattasse della Bibbia. Per me invece, il critico, come un buon sacrestano dovrebbe piuttosto tirarci colpi sulle nocche per reclamare la nostra attenzione a messa. Il recensore, avendo catalogato
Max Havelaar come vecchio, lo picchia sulla testa se osa fare capolino e dice: sta giù! Riverisci la tremenda modernità del santo pubblico! Io invece dico: nemmeno per idea! La cosa che il pubblico una volta amò in questo libro, il manifesto, è ora passato di moda. Ma ce n’è così poco, a dire il vero, e quello che c’è, l’autore lo ha presentato in modo così comico, che il lettore può anche ghignare.
Una prova di astuto giornalismo da parte di Multatuli (come faceva anche Dostoevskij) quella di dare al suo libro il valore di un manifesto. Quello che lo scrittore voleva davvero era compiere il suo libro. Voleva essere letto. Voleva essere ascoltato. Voglio essere letto!, proclama ossessivo nelle ultime pagine. Eppure lui per primo deveaver riso sotto i baffi mentre lo scriveva. Ma il pubblico se l’è bevuta e ci è cascato. L’autore era l’appassionato missionario che parlava a favore dei poveri giavanesi! Perché sapeva che ai missionari si dava, e si dà, ascolto. E i giavanesi erano una buona esca a cui fare abboccare il pesce. Che sarebbe poi il pubblico; e che pesca ha fatto! Travestito da missionario, così ha fatto in Max Havelaar . Il libro, infatti, non è un manifesto, ma una satira. Multatuli non è affatto un prete, ma un umorista.
Nella tradizione di Jean-Paul Richter c’è la stessa amara, quasi folle, repulsione per l’umanità che c’era in Jean Paul, poi in Multatuli e nell’ultimo Mark Twain. Dostoevskij era quasi uguale, ma in lui il missionario aveva ingoiato il cane rabbioso dell’avversione, con effetti da ventriloquo.
Max Havelaar non è un manifesto o un pamphlet,
è una satira. La satira sulla borghesia olandese, in Drogstoppel, è radicale. Il mercante di caffè è ridotto al suo finale in niente, puro humour.Proprio come laliquidazione del ricco uomo d’affari in America e Inghilterra oggi, proprio lo stesso, in fondo e il colpo è mortale. Allo stesso modo la parte giavanese del libroè una satira, diretta ed esplicita, dell’amministrazione coloniale e del governo. Multatuli non cade mai nel pozzo senza fondo della sua repulsione, come capitò a Dostoevskij, fino al punto di diventare un missionario dalla bocca di miele, mentre dal ventre si intuiva il ringhio della derisione e della demenza. Al suo peggio, Multatuli è tediosamente sentimentale, battendo sul tasto della pietà, quando è invece ispirato dall’odio. Forse si inganna, ma mai per molto. La sua simpatia per i giavanesi è davvero genuina, in lui c’era un uomo le cui viscere erano mosse a compassione. Mentre invece un grande genio nervoso come Dostoevskij non provò mai un momento di simpatia fisica nella sua vita.