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 2010  aprile 26 Lunedì calendario

I CAPITALI IN FUGA DA ATENE

Ci mancavano gli ispettori del Fondo Monetario Internazionale.
Il primo ministro greco George Papandreou ha un bel cercare di sopire e quietare, ma qualunque cittadino ellenico sa benissimo che chiedere l’aiuto del Fmi è come invitare in casa propria un affermato jettatore portadisgrazie. Ecco così che una popolazione già stanca depressa e scioccata da un cataclisma finanziario di cui nessuno ha ben capito la genesi e di cui nessuno si aspettava le catastrofiche proporzioni, si aspetta che prima o poi arrivi il peggio. Anche perché le ricette «made in Fmi» gira che ti rigira sono note: licenziamenti nel settore pubblico, altri giri di vite sulle pensioni e il magro Stato sociale, aumenti delle imposte, e tutte le più spaventose e temibili «riforme strutturali».
C’è chi reagisce con la paura, e chi – come vedremo – imboscando i capitali in tutta fretta, come stanno facendo i molti greci ricchi o solo benestanti, che approfittano dei weekend per andare a Londra ad acquistare case per metterle al sicuro da tagli e controlli fiscali che per ora non esistono. In questa calda giornata di primavera, la sterminata capitale appare semideserta e sonnolenta. Domani, martedì, è prevista l’ennesima manifestazione di protesta del sindacato dei dipendenti pubblici, l’Adedy. Presumibilmente il corteo sarà condito da scontri e tafferugli a cura della nutrita pattuglia di militanti dei movimenti. Sia l’Adedy che la meno battagliera organizzazione del settore privato Gsee sono di ispirazione socialista; ma hanno già proclamato scioperi generali, e proprio ieri hanno di nuovo messo in guardia il governo Papandreou contro misure che potrebbero causare una «esplosione sociale». Per adesso, di questa esplosione non si avverte traccia, nemmeno sotterranea: lo stato d’animo che prevale tra la gente normale è lo shock. E la paura per un futuro che non promette nulla di buono.
Anche perché la crisi e i tagli hanno cominciato già a mordere, e proprio tra i dipendenti dello sterminato settore pubblico e le loro famiglie. La signora Evangelia Papoulis la racconta così. «Mio marito Kostas è insegnante di tecnica in un liceo, io lavoro come free lance in una società che gestisce progetti di formazione con i fondi europei. Mio marito aveva uno stipendio di 1.300-1.400 euro, e con il taglio di alcuni bonus e della tredicesima quest’anno perderà circa 2.000 euro. La mia azienda invece è bloccata: si è ridotto l’orario di lavoro e le remunerazioni del 20%, ma io ci ho rimesso di più. A fine anno prenderò 15.000 anziché 30.000 euro». Incassi dimezzati, per Evangelia. Significa dover stare attenti a tutto: «Pensare bene – dice – prima di andare al ristorante o al cinema, se fare acquisti, se mandare i nostri figli a fare attività nel doposcuola. E non voglio pensare al rischio che Kostas possa perdere il posto».
Per adesso la vasta maggioranza dei greci si ispira alla politica della famiglia Papoulis, che pure fa parte di una classe media che di norma non ha problemi: occhio a come si spende ogni giorno e taglio degli «sprechi». Per fortuna quasi tutti hanno la casa di proprietà, e quasi tutti gli abitanti di Atene e Salonicco hanno una casina anche modesta in campagna o al villaggio di origine delle loro famiglie (Evangelia, nel Peloponneso). In vacanza insomma ci si andrà; magari, tagliando sulla durata del soggiorno. Discorso diverso è per i tantissimi giovani superprecari e magari superlaureati della cosiddetta «Generazione 700 euro». Per loro questo Paese non offre alcuna prospettiva.
E discorso diverso è quello che riguarda i ricchi. Se ne sono accorti i media britannici: da qualche settimana c’è un costante flusso di cittadini greci che sbarcano a Londra per fare shopping di case ville e immobili. Tutta gente che paga in contanti, dicono gli operatori del «real estate», che comprano senza battere ciglio e nemmeno trattare proprietà da un milione e mezzo di sterline nei quartieri eleganti di Regent’s Park, Mayfair e Marylebone. A volte senza nemmeno visitarle. E che puntino a imboscare capitali lo si capisce anche dal fatto che tanti intestano le nuove case ai loro figlioli. E così, i capitali dell’élite ellenica migrano per evitare di contribuire al salvataggio dell’economia della Grecia: soltanto nei mesi di gennaio e febbraio sono partiti fuori dall’Ellade dagli 8 ai 10 miliardi di euro, secondo i dati della Banca centrale di Grecia. In direzione Svizzera, Lussemburgo e soprattutto verso la discretissima Cipro. Soldi di professionisti, avvocati, medici, grandi commercianti, ma anche di opulenti armatori, da sempre refrattari al fisco: le compagnie navali (tutte di proprietà di singoli facoltosi individui) non pagano imposte d’impresa, e nella maggior parte dei casi hanno sede legale e fiscale fuori dalla Grecia. In tutto il Paese ci sono solo sei contribuenti che hanno dichiarato più di un milione di euro. Sei.