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 2010  aprile 25 Domenica calendario

QUANTE IDEE SERVITE IN SCATOLA

Tutto inizia sotto le rose di un magnifico giardino che circondava il castello del barone Von Pernau, pioniere della moderna ornitologia, a Rosenau, vicino a Coburg, nel cuore del diciottesimo secolo. Il proprietario del castello amava una fanciulla che viveva poco distante. La fanciulla non lo prendeva affatto sul serio, nonostante ricevesse ogni sera una serenata proprio sotto la sua finestra.L’uomo decise così di ritirarsi e progettare qualcosa di eccezionale, qualcosa che avrebbe convinto la ragazza. Viveva nel lussureggiante giardino intorno alla tenuta una comunità di uccelli conosciuti col nome scientifico di Pyrrhula pyrrhula,
e col nome comune di ciuffolotti: volatili passeriformi noti per la varietà e la ricchezza delle melodie che producono per onorare la natura e la specie. Il barone sapeva che se adeguatamente ammaestrati, i ciuffolotti imparano a riprodurre coralmente una certa melodia. Così passò settimane a ripetere con la propria chitarra la canzone con cui sperava di incantare l’oggetto amoroso.Quando fu felice del risultato la invitò per una passeggiata nel suo giardino e lì i due cominciarono a sentire tutti i passeri fischiettare all’unisono, e senza sosta, la melodia che il barone le aveva dedicato tante volte. Le difese della fanciulla, naturalmente, crollarono, e s’innamorò del barone.
Nel 1995, questa storia, vera o leggendaria che sia, ha fornito a Carsten Höller, il grande artista belga, l’ispirazione a per un’opera intitolata Loverfinches («bullfinch » è il nome inglese del passero), che consiste negli sforzi che Höller ha compiuto per insegnare ad alcuni di questi volatili una sequenza di note riconoscibile e ripetibile, riprenderli con una camera e mostrarli in gallerie.
Nel 1965, due secoli dopo il romantico barone e trent’anni prima di Carsten Höller, sui campi da sci di Aspen, Colorado, nel cuore degli Stati Uniti, nel pieno degli
années pop , Phyllis Johnson, una giornalista di «Women’s Wear Daily», concepisce l’idea di una rivista contenuta in una scatola, interamente disegnata da artisti di vaglia e improntata alla più giocosa multimedialità. Ogni "box" avrebbe ospitato un flexidisc con una registrazione, un nastro video, libretti e sortite editoriali di ogni genere.
La varietà di temi e campi del sapere era impressionante fin dai primi numeri, dall’architettura alla pratica sportiva, dalla narrativa alla musica. «Aspen», se guardato dallo spioncino dell’oggi appare come un vertice dell’ambizione intellettuale del XX secolo: l’elenco dei collaboratori, degli artisti e degli autori che hanno plasmato i dieci numeri di «Aspen» è quasi doloroso: Marshall McLuhan, cui è dedicato un intero volume, Andy Warhol, Robert Rauschenberg, Merce Cunningham, John Cage, Yoko Ono, Dan Graham, Samuel Beckett, Edgar Varèse, John Lennon, Alain Robbe-Grillet. Capolavori della letteratura e della critica hanno fatto la propria apparizione qui.
Susan Sontag ha pubblicato alcuni dei saggi che l’hanno resa famosa; J.G. Ballard ha anticipato un capitolo dell’inquietante installazione narrativa che il mondo avrebbe conosciuto come
Crash, e da cui Cronenberg avrebbe tratto un grande film.
Da qualche tempo uno straordinario sito di archivi delle pratiche artistiche moderne e contemporanee, Ubuweb (www. ubuweb.com) ha concluso la digitalizzazione di tutti i materiali contenuti nelle dieci scatole magiche: i film sono diventati file visivi, le registrazioni file audio, le pagine sono state inquadrate nella giusta cornice anastatica. Gli indici sono chiari, l’architrave storica della rivista è sistemata e trasmessa ai posteri. una festa dell’intelletto, della produzione di conoscenza in pubblico. L’unico esemplare di«Aspen»su cui sono riuscito a mettere le mani è il numero due. Scatola bianca, un magnifico libretto sciistico che avrebbe fatto invidia a Carlo Mollino, un disco di Alexander Scriabin, la recensione "narrativa" di una casa che non sfigurerebbe oggi in riviste avantpop come apartamento, un minuscolo quinterno sulla gioventù degli anni sessanta. una strana esperienza, binaria e insieme asimmetrica, scorrere sullo schermo di Ubuweb il corrispettivo digitale di ciascun contributo, mentre le dita sfiorano questi manufatti un po’ sbiaditi dal tempo, gli angoli umiliati e corrosi,l’opaco chimico delle fotografie d’epoca (oggi la percezione delle immagini è cromaticamente squillante, come se la luce fosse amplificata verso la plastica). I numeri di «Aspen» sono cornucopie fragili ed entusiasmanti: se li agiti, puoi sentire gli oggetti contenuti sbattere come ingredienti di un’avventura dalla fine imprevedibile.
Cosa può insegnare oggi una parabola come quella di «Aspen», viene da domandarsi? «Aspen» è stato soprattutto un meraviglioso ping-pong complanare di ricerche negli ambiti delle scienze, dell’avanzamento tecnologico, dell’indagine sociale e culturale, delle idee e dei linguaggi artistici, messo in piedi da una giornalista di una rivista femminile sotto l’egidadi una stazione sciistica invernale. importante, oggi più che allora, che gli intellettuali, i poeti, i narratori, gli editori e gli avventurieri dei media si mettano con pazienza ad imparare ciò che succede nell’ambito delle arti e del pensiero che le anima, per rianimarlo ancora insieme, e insieme scremare le sciocchezze da ciò che è rilevante, a costruire un codice di comprensione reciproca. Ed è altrettanto urgente che succeda lo stesso al contrario, che si ritorni a vedere nel dialogo tra le arti le scienze e la letteratura la chance di un’istigazione continua e di un continuo apprendimento. Forse il corrispettivo attuale del «magazine in a box» (idea che risuona la
Boite Vert di Duchamp, una scatola piena di sorprese, e che ha certamente influenzato operazioni di confezioni inventive come quelle della rivista letteraria «Mc Sweeney’s », www.mcsweeneys.net) non è né la carta né il digitale, ma l’esperienza istantanea, completa e tridimensionale. Forse la prossima «Aspen» sarà cantata nell’aria, dal vivo, e rimbalzata su piattaforme di ogni tipo immaginabile e inimmaginabile. Comunque sia, le «Aspen» di oggi e domani si baseranno su un mutuo insegnamento, e sulla mutua meraviglia di conoscere dove stanno gli altri. Artisti, scrittori, editori saranno al contempo il barone, gli uccellini, le melodie, il giardino, il processo di curiosità disperata che sottende ogni ammaestramento e l’effetto che tutto ciò genera per il breve momento in cui esiste.
I volatili di Carsten Höller sono scappati via all’improvviso, lasciando l’opera incompiuta, al seguito di una folata di vento, ma lui giura tuttora di averne avvistato uno, posato su una fronda gentile, zufolare la sua melodia prima di tornare nella natura, grazioso ripetitore di un frammento di cultura.