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 2010  aprile 25 Domenica calendario

IL PATTO DI STABILIT TAGLIA IL 30% DEGLI INVESTIMENTI

La spesa di cassa per investimenti del comune di Bologna è scesa nel 2009 del 52% rispetto all’anno prima,e un altro 16%perderà quest’anno. A Torino la riduzione dei pagamenti in conto capitale è stata del 17% nel 2009, e sarà di un altro 22%quest’anno.A Milano il taglio dal 2008 al 2010 sarà del 35%, a Brescia del 3%, a Napoli del 39%, a Bari del 30%. E poi: -10% in due anni a Venezia, -32% a Perugia,-38% a Palermo.
Sono alcuni dei risultati dell’inchiesta condotta dal settimanale «Edilizia e Territorio» (Il Sole 24 Ore) sui bilanci di 12 grandi comuni, che dimostrano con la forza dei numeri come le regole restrittive del patto di stabilità interno stiano frenando, anno dopo anno, la spesa effettiva per investimenti ( in gran parte lavori pubblici) degli enti locali. Complessivamente nei 12 grandi enti analizzati (si veda la tabella) i pagamenti di cassa per spese in conto capitale sono passati in due anni da 2.329 milioni (2008) a 1.610 milioni (previsione 2010), un taglio del 31% (manca purtroppo il dato di Roma, per mancanza di collaborazione da parte del comune).
Il saldo entrate-uscite ai fini del patto di stabilità deve essere calcolato in ”competenza mista”, cioè considerando per la parte corrente accertamenti e impegni, e per la parte in conto capitale incassi e pagamenti. La manovra correttiva dei conti pubblici dettata da Tremonti nel luglio 2008 per il triennio 2009-2011 ha imposto ai comuni di migliorarei saldi del bilancio ai fini del patto del 165% rispetto al 2007, pari in valore assoluto a 1,3 miliardi di euro nel 2009, 1,1 miliardi nel 2010 e altri 2 miliardi nel 2011. In tutto 4,4 miliardi, su un totale di spese dei comuni che valeva nel 2008 67,3 miliardi (dati Anci). Una correzione – spiega l’ultimo rapporto sulla finanza locale di Ifel-Anci – che è avvenuto in gran parte comprimendo la spesa in conto capitale (gli investimenti).
Ma anche in assenza di manovra correttiva le regole del patto rendono quasi impossibile ai comuni aumentare gli investimenti, anche se hanno le risorse per farlo. Difficile è in particolare finanziare le nuove opere con mutuo (è la forma ordinaria utilizzata dai comuni), perché le risorse da prestito non figurano tra le entrate ai fini del patto, dunque pesano solo i pagamenti e peggiorano il saldo. Anche se dunque i comuni hanno pochi debiti (un rapporto interessi/spesa corrente molto inferiore al tetto di legge del 15%) faticano ad avviare nuove opere a debito. Nell’inchiesta di Edilizia e Territorio-Il Sole 24 Ore emergono ad esempio i casi di Bari (2,3% il peso degli interessi), Cagliari (1,4%), Genova (6,7%), Venezia (2,3%).
Neppure l’avanzo può essere utilizzato: anche se l’anno prima il comune ha pagato meno di quanto ”incassato”, questo tesoretto non può essere contabilizzato ai fini del patto, dunque speso (è il caso di Torino).
Difficoltà anche per alienazioni ed entrate straordinarie. Normalmente sono incluse come entrata ai fini del patto, ma per l’effetto di norme di legge inserite e abrogate tra 2008 e 2009, se i comuni hanno deciso di escluderle dal patto nel 2009 (era una facoltà valida solo per i bilanci approvati entro il 10 marzo 2009, interessante per chi aveva alti introiti straordinari nel 2007, anno di riferimento della manovra Tremonti) dovranno escluderle anche nel 2010 e 2011, precludendosi una possibilità di finanziare nuove opere.
Non mancano tuttavia casi in cui le difficoltà di spesa derivano anche da responsabilità dell’ente locale. Caso emblematico quello di Napoli, dove è vero che il comune ha debiti non pagati per lavori da un miliardo di euro e paga le imprese a 30 mesi a causa dei tetti del patto, ma anche se potesse pagare ha in cassa solo 200 milioni, perché mediamente riesce a incassare solo la metà delle imposte locali accertate.
Il trend di discesa degli investimenti in opere pubbliche è confermato, come si diceva, anche dai dati sui bandi di lavori pubblici ( raccolti dal Cresme).L’importo messo a gara nel 2009, 6,322 miliardi di euro, è stato del 19,5% inferiore rispetto al 2008, il 34% in meno del 2006. La crisi dei lavori pubblici è stata soprattutto nei 14 grandi comuni, che hanno perso in tre anni (2006-2009) il 50% del valore dei bandi, contro il-31% degli altri comuni. Il calo dei bandi dei ”piccoli”è tutto sommato il ritorno ai valori del 2002, dopo una parabola d’ascesa, mentre per le 14 città metropolitane il valore 2009 è quasi la metà (648 milioni su 1.216) del valore 2002.