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 2010  aprile 25 Domenica calendario

«SE ESCE DAL PDL, SI FA IL PARTITO DEL SUD»

Ha fatto bene Gianfranco Fini, durante l’ultima direzione nazionale del Pdl, a sollevare la questione della democrazia interna al partito. Ma è lì che deve condurre la sua battaglia, all’interno, «senza provocare terremoti dagli effetti irreparabili ». Raffaele Lombardo si schiera con il presidente della Camera, suo alleato in Sicilia. E solleva la questione dell’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di un solo uomo che evita di nominare: Silvio Berlusconi.
«Questo è un sistema politico – dice – fatto di partiti personali in cui il sistema elettorale affida a un solo uomo la guida e il governo di una coalizione di deputati i quali non hanno libertà di scelta perché devono al capo la loro permanenza in parlamento. Immaginatevise si fosse affermato il bipartitismo, che fu osteggiato in maniera ultimativa dalla Lega: oggi avremmo due partiti, uno dei quali vincerebbe tutto. Se a questo aggiungiamo la tentazione di una svolta presidenzialista, le televisioni e quant’altro, credo che si arriverebbe a una concentrazione inquietante. Il fatto che Fini abbia rimesso in discussione questo sistema penso sia positivo. Mi auguro non seguano terremoti dagli effetti irreparabili.
Quindi lei sta con Gianfranco Fini.
Mi limito a constatare che c’è un uomo con una sua storia che ha partecipato alla creazione del maggiore partito italiano, il quale rivendica una dignitosa posizione distinta. Non è il caso di gridare allo scandalo e di minacciare di cacciarlo. Poi c’è la riforma della giustizia, su cui Fini ha sempre espresso severe critiche. Ma non è solo lui a pensarla in un certo modo. Io stesso sono contrario ad abolire le intercettazioni per i reati di mafia e l’ho detto anche all’assemblea regionale lo scorso 13 aprile.
E c’è anche una questione meridionale.
Fini, nel centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, pone l’accento su un problema serio. La nostra è un’unità asimmetrica. Anzi, è una disunità a tutti gli effetti. Ci sono una maggioranza e un governo che, in virtù del ruolo della Lega, sono a trazione continentale e nordica. Così il Mezzogiorno è destinano a soccombere. E per tre quarti è già morto. L’aver sollevato questo argomento credo giovi a risvegliare attenzioni sopite nel governo, a favore di un riequilibrio dei rapporti tra Nord e Sud.
La frattura Fini-Berlusconi avvicina la nascita del partito del Sud?
Io ho dato vita a un movimento che ha radici siciliane perché altrove, nel Sud, manca ancora quella coscienza autonomistica che ci deriva dall’essere una regione a statuto speciale. Se, piuttosto che arrivare alla resa dei conti con elezioni anticipate, questi segnali e questi stimoli albergassero produttivamente nel partito di maggioranza relativa, per il paese sarebbe un bene. Se questo dovesse tradursi in nuovi partiti, torno a confermare l’indispensabilità di un partito del Sud. Ma il riequilibrio potrebbe avvenire nella stessa coalizione di governo su un tema che Fini ha sollevato riferendosi alla situazione politica della nostra regione. Sto parlando dell’ostilità furibonda che il Pdl lealista, ma sleale verso i siciliani, ha dichiarato a un processo di riforme radicali che stiamo realizzando in modo trasversale alle forze politica, con chi vuole starci. Mi auguro che il controcanto di Fini faccia riflettere chi invece si accontenta di soluzioni giocate soltanto sui rapporti di forza e tendenti a massacrare chi, come me e il presidente della Camera, non la pensa nel modo oggi dominante.
Ma qui, più che un clima di riflessione, c’è aria da resa dei conti.
Questa forzatura eccessiva l’ho vista sia nelle espressioni del presidente del Consiglio, oltre che nelle sue parole, sia negli ex colonnelli finiani divenuti fedelissimi di Berlusconi. Credo che in Fini debba confermarsi la volontà di portare avanti un dibattito interno, seppure circondato da pochi uomini. Non credo che voglia un nuovo partito o una corrente. Semplicemente, ha voglia di dire la sua e di far valere le sue opinioni, in maniera trasparente, civile e costruttiva.
Non teme che Gianfranco Miccichè, altro suo alleato nel governo regionale, possa essere risucchiato nel Pdl?
La scelta di Miccichè, compresa la nascita più volte evocata di un partito del Sud, si basa sul fatto che il mio governo ha portato avanti concretamente riforme coraggiose e non si capisce perché una parte del Pdl debba osteggiarlo, se non per ragioni di conservazione di un assetto che s’è rivelato rovinoso per la Sicilia.
Non teme dunque scossoni per la sua giunta?
C’è la determinazione delPd, in un rapporto di collaborazione alla luce del sole, e anche di altri uomini in modo trasversale alle appartenenze politiche a sostenere nel parlamento siciliano le riforme proposte dal mio governo. Per contro al Senato pende come una spada di Damocle il disegno di legge Gasparri- Vizzini, palesemente illegittimo, in cui è previsto che per far cadere il presidente della regione siciliana, eletto direttamente dal popolo, e per eleggerne uno nuovo in corso di legislatura basti il voto della maggioranza dei deputati eletti nelle liste coalizzate con lui. Ma in questi mesi, dacché abbiamo varato le riforme, ho registrato in aula ampi consensi, qualche volta persino l’unanimità e solo una decina appena di voti contrari. Significa che la maggior parte dei deputati collabora con il governo regionale al di là degli steccati piantati in modo artificioso dal Pdl lealista.