TOM WOLFE, la Repubblica 26/4/2010, 26 aprile 2010
VI RACCONTO MARK TWAIN IL PADRE DI OGNI SCRITTORE
Al terzo posto si è classificata Margaret Mitchell. Il suo Via col vento ha conquistato a livello internazionale un pubblico enorme, che ne ha decretato la fama praticamente unanime – coronata nel 1937 con l´assegnazione del Premio Pulitzer e dal riconoscimento supremo: una furiosa lite scoppiata all´interno della ristretta cerchia di esperti di letteratura "alta", incerti se poter definire la sua opera quel miracolo tanto atteso del "Grande romanzo americano".
In seconda posizione troviamo Harriet Beecher Stowe. Con la Capanna dello zio Tom, pubblicato nel 1852, ha regalato a tutto il mondo fremiti di suspense, facendo rabbrividire i lettori con il racconto della schiavitù in America. Se la signora Stowe non avesse acceso la miccia, ebbe a dire Lincoln, non ci sarebbe mai stata una Guerra civile.
Per quanto riguarda il primo classificato, ci troviamo di fronte a una di quelle coincidenze quanto meno sconcertanti che si verificano esclusivamente in quell´arcana dimensione che Jung chiamò "sincronicità".
entaseienne arrivò in città e se ne fece costruire una ancora più grande, a circa un isolato di distanza. E da quella casa, praticamente dalla porta accanto, egli la superò, strappandole il titolo di scrittore americano più famoso di tutti i tempi. Un titolo che detiene a tutt´oggi, a quattro giorni dal centenario della sua morte, avvenuta il 21 aprile del 1910. Stiamo parlando di Mark Twain.
I grandi della letteratura americana di epoche successive, come Hemingway, Faulkner, Sinclair Lewis e John Steinbeck (tutti vincitori del Premio Nobel), non goderono che di una minima parte dell´enorme fama che Twain - e, detto per inciso, la signora Stowe - riscossero in ogni parte del mondo. A partire dal 1865, quando diede alle stampe La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras, un racconto umoristico ambientato nel mondo delle miniere californiane, il nome di Mark Twain - considerato una sorta di "Huckleberry Omero" - si è diffuso ovunque.
Gli americani erano visti dal resto del mondo come un manipolo di barbari che avevano avuto la buona sorte di ritrovarsi in una terra ricca di giacimenti di materiali preziosi, terreni fertili, inesauribili foreste e fiumi navigabili - ma tanto rozzi quanto ricchi, e capaci di esprimersi solo attraverso mugolii inespressivi. Emerso dal mondo sotterraneo delle miniere e delle sale-caldaie, Mark Twain - improbabile giovinastro - fece qualcosa di sensazionale: trasformò la cantilena uggiolante dei rustici abitanti della sua terra in letteratura!
L´Inghilterra rimase sbigottita. L´Europa rimase sbigottita. Tutto il mondo rimase sbigottito: persino l´India. Si dice che, di ritorno da quel Paese, Twain - gli occhi sbarrati, la bocca spalancata e l´animo rapito da un senso di autocompiacimento del tutto genuino - abbia detto a un amico: "In India conoscono solo tre cose dell´America: Wall Street, la Statua della Libertà, e Mark Twain!".
E questo ci riporta a Harriet Beecher Stowe, e ad Hartford.
Che Mark Twain abbia faticato anche un solo giorno in tutta la sua vita è cosa dubbia. Agli inizi, quando viveva a Hannibal, in Missouri, era un giovane spilungone dalla testa grande, il collo corto, le spalle cadenti e nemmeno un muscolo in tutto il corpo. Suo padre, un avvocato, era uomo estremamente raffinato; un funzionario pubblico e molto impegnato nella comunità, che tutti chiamavano "Giudice Clemens".
vero che dopo la morte del padre, avvenuta quando Twain aveva undici anni, il giovane ebbe occasione di bere un caffé nella regione mineraria del Nevada. Ma non se la passava certo malissimo, malgrado il lavoro e l´arguzia rappresentassero le sue uniche risorse. Il fratello maggiore, Orion, lavorava come segretario ed era il sostituto governatore del Territorio del Nevada.
Certo, per qualche tempo Twain lavorò come comandante di un traghetto a vapore. Ma principalmente si guadagnava da vivere come giornalista di The Alta California e altre testate, oltre che come comico. Da un lato si interessava al Selvaggio West - argomento che era il suo cavallo di battaglia - ma contemporaneamente teneva lo sguardo puntato sulla costa orientale degli Usa, a tremila miglia di distanza, dove sorgevano le più importanti case editrici.
La famosa rana saltatrice della contea di Calaveras apparve per la prima volta il 18 novembre del 1865, e non su The Alta California bensì su un settimanale di New York: The Saturday Press - e fu in seguito pubblicato in tutto il Paese. Twain non era certo l´unico buontempone che si dedicava contemporaneamente al giornalismo umoristico e alla comicità da palcoscenico: prima di lui Josh Billings, Petroleum V. Nasby e Artemus Ward (il più noto del gruppo) avevano fatto altrettanto. Sul palco, Twain interpretava il personaggio di "Wily ol´ philosopher Roughneck" (il vecchio, astuto filosofo attaccabrighe) del Selvaggio West, e il suo successo ben presto offuscò quello di Ward. Le esibizioni di Twain amplificarono e ri-amplificarono la sua fama di scrittore, in un modo che oggi - in un´era di intrattenimento elettronico, di radio, cinema, televisione, internet, cd, dvd, iPhone, iPod, iPad - appare inimmaginabile.
A cinque anni dalla pubblicazione della Rana saltatrice, Twain si stabilì a Nook Farm: un esclusivo sobborgo rurale popolato da altre celebrità e situato ad ovest di Hartford. Si trattava di un luogo esclusivo perché i lotti di terreno venivano venduti solo a nobili di attestata origine. Nook Farm divenne la Bel-Air degli scribacchini, la Bengodi dei godzillionari dell´Età dell´oro e dei politici di alto profilo. un mondo che Justin Kaplan ha descritto minuziosamente nel suo Mr. Clemens and Mark Twain.
Su questi terreni dorati si costruivano ville su ville: quella della signora Stowe e di suo marito Calvin, quella del senatore Francis Gillette - famoso abolizionista, quella dell´ex governatore del Connecticut, nonché direttore del Curator Joseph Hawley, e quella dello scrittore Charles Dudley Warner. Ma la lista non finisce qui, e le case spuntavano come funghi. Ma Twain, con un palazzo in stile vittoriano le cui numerose torrette apparivano esagerate persino per l´Età dell´oro, superò tutti. All´entrata della villa, un cocchiere e un lacchè vegliavano a tutte le ore, sempre a disposizione. L´interno del palazzo, con il suo arredamento raffinato e sei persone di servizio, era persino più opulento. Twain aveva acquistato un letto dal costo spropositato, proveniente da palazzo veneziano. Sulla testiera erano incisi a basso rilievo cupidi, ninfe e serafini - gli angeli a sei ali che custodiscono il trono di Dio. Un´opera che lo scrittore trovava talmente sublime, diceva, da aver disposto il proprio cuscino ai piedi del letto e dormire al contrario, in modo che ogni giorno, al suo risveglio, i suoi occhi potessero godere di questa cena paradisiaca, nonché conferma del proprio successo materiale.
La vita a Nook Farm era un incessante turbinio di cene e inviti reciproci, a cui partecipava qualunque persona in vista che si trovasse a passare da quelle parti: da William Dean Howells a Henry Morton Stanley, divenuto celebre per il suo: "Il dottor Livingstone, suppongo". Nel 1891, il denaro (per non parlare del tempo) che la sua dimora gli costarono, finirono per portare Twain alla bancarotta, proprio come nella prima metà del secolo la Abbotsford House, una simile follia, aveva mandato in rovina Sir Walter Scott.
Pensate, però: venti anni! Per venti anni, Mark Twain condusse davvero, e in prima persona, la vita di quel mitico personaggio che ogni scrittore americano, eccetto uno (è inutile che mandiate lettere infuriate al direttore del giornale) sogna di diventare: uno spendaccione della costa orientale degli Usa.
© 2010 The New York Times - la Repubblica
(Traduzione di Marzia Porta)