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 2010  aprile 25 Domenica calendario

VERUSCHKA - BERLINO

Le scolaresche sfilano davanti a Checkpoint Charlie incuranti della pioggerellina fitta che funesta la gita. Le maestre spiegano: «Era un punto di passaggio tra i due settori nel Muro. In funzione dal 1945 al 1990, collegava Mitte, il quartiere occupato dai sovietici, con Kreuzberg, quello occupato dagli americani. Da qui si vede il tetto dell´Hotel Adlon, un covo di spie tra le due guerre». Veruschka emerge dalla scala mobile del metrò col passo dinoccolato dell´eterna ragazza fuori misura (1,85), basco di lana e scarponi. L´eleganza, se è innata, resta anche quando si smette di fare la top model, anche a settantun anni (che compirà il 14 maggio). Negli anni Sessanta il fotografo Richard Avedon, folgorato dal suo carisma, disse: « la donna più bella del mondo». E l´attore David Hemmings, con lei nella scena-cult del film Blow-Up di Antonioni (1966): «Si muove come nessun altro su questa terra».
Più fotogenica di Madonna, Carla Bruni e Kate Moss messe insieme, fu per dieci anni diva da copertina - Vogue e Harper´s Bazaar, ma anche Interview e Life - musa di grandi fotografi (Ugo Mulas, Franco Rubartelli, Avedon, Irving Penn), idolo di hair stylist (Ara Gallant) e fashion editor (Diana Vreeland), tentazione irresistibile di artisti geniali (Dalì la scelse per le sue Shaving Cream Sculptures; Carmelo Bene la volle in Salomé), divina, enigmatica creatura in bilico tra glamour e controcultura. Ha lo stesso accento e la stessa voce baritonale di Nico, la bionda teutonica dei Velvet Underground di Andy Warhol, quando al telefono chiede perentoria (in italiano): «Lei lavora per un quotidiano di sinistra, vero? Perché io non parlo con giornalisti di destra».
Rassicurata, opta per un quick lunch da "Sale e Tabacchi", un ristorante italiano di Kochstrasse con vista su Checkpoint Charlie. «Piacere, Vera Lehndorff», si presenta, «Non rilascio mai interviste, anche perché sto preparando un´autobiografia che uscirà nel 2011», aggiunge. «Non riesco neanche ad immaginare lo sforzo che dovrò fare per promuovere il libro, partecipare ai talk show e incontrare la stampa internazionale, dopo tanti anni che vivo lontana dal mondo della moda e dello show business». L´ultima volta si era fatta vedere a Venezia nel 2005, quando Paul Morrissey e Bernd Böhm presentarono alla mostra il documentario Veruschka, di cui aveva scritto personalmente la sceneggiatura. «Ero appena tornata da New York a Berlino», racconta, «una città che per me è insieme piacevole e spaventosa. Sto anche preparando un film ispirato alla mia città. qui che mio padre fu giustiziato. Non è stato facile affrontare i fantasmi del passato».
Tra gli Usa e la Germania corre la stessa distanza che c´è tra Vera e Veruschka. La verità, quando era una fotomodella, non la conosceva nessuno. Nessuno sapeva il suo vero nome, né che era figlia di Heinrich Graf von Lehndorff-Steinort (1909-1944), membro della resistenza tedesca che partecipò al fallito complotto del 20 luglio contro Hitler al Wolfsschanze, denominato Operazione Valkiria. Vera non aveva neanche cinque anni quando fu impiccato nella prigione di Plötzensee. Il giorno dopo, la famiglia - Vera, sua madre Gottliebe von Kalnein (1913-1993) e le tre sorelle - fu internata in un campo di lavoro della Gestapo. «Ogni giorno ci dicevano: domani vi ammazzeremo». Nessuno, allora, sapeva neppure dove si trovasse Königsberg, il paese dove è nata, in quella Prussia che alla fine del conflitto fu spartita tra Russia e Polonia e da allora si chiama Kaliningrad. Agli americani raccontò che era un´espatriata sovietica di nobili origini, s´inventò un nome esotico. Quelli, in piena guerra fredda, abboccarono. Al resto pensarono la sua magnetica bellezza e l´unica cosa su cui non aveva mentito, le origini aristocratiche. Così nacque Veruschka, la più originale, fantasiosa e creativa top model del Novecento.
«Ci sono dei momenti in cui per un caso fortuito e fortunato diventi una star», minimizza, mentre sorseggia l´ennesimo cappuccino. «Così accadde quando partecipai a Blow-Up, e prima ancora quando arrivai a New York e m´inventai Veruschka. Mi dicevo: se vuoi andare avanti nel mondo della moda, devi trovare un modo di esprimere qualcosa che li lasci stupefatti, non la solita modella-stampella, una di quelle a cui nessuno chiederebbe mai un´opinione, neanche sull´abito che indossa. In quel periodo non c´erano top model russe o dell´est europeo in circolazione, così nascosi i miei drammi dietro quella donna enigmatica in bilico tra est e ovest. Non fu solo una questione di bellezza, di forme, di misure».
Fu la diva di un decennio folgorante, ma alle sue condizioni: protagonista sempre, mai fashion victim. «Avedon era fantastico, il più grande di tutti, si consigliava con me, accettava le mie idee. Irving Penn era completamente diverso, molto professionale, ma distaccato, freddo. Ma non ricordo di aver visto in giro degli iceberg come Anna Wintour (l´attuale direttrice di Vogue America, ndr)», dice. Un passato come il suo è impossibile da cancellare, camuffare sotto fard e toupet, mimetizzare con quel body painting di cui pure è stata protagonista, trasformandosi di volta in volta in zebra, aracnide, rettile, animale preistorico.
«Solo dopo i trent´anni ho cominciato a elaborare il mio dolore», riflette. «Prima, almeno fino alla seconda metà degli anni Cinquanta, in Germania eravamo considerati dei criminali. La mia maestra una volta disse: "Abbiamo in classe la figlia di un traditore, di un assassino". Io mi guardai intorno, chiedendomi a chi si riferisse. E lei: "Guarda carina che sto parlando di te". Così cominciai a tempestare di domande mia madre: "Ma papà era un traditore?". "Ma che dici piccola? Era un eroe. Però non parlarne con nessuno, non tirare mai in ballo tuo padre quando sei con gli altri". Povera donna, dopo la guerra, sopravvissuta al campo, era rimasta sola, isolata. Non ebbe scelta: l´unica soluzione era il silenzio. Non se ne parlò più neanche in casa, se non occasionalmente. Diventò il nostro segreto. Ancora oggi non tutti sanno che mio padre - che non ha neppure una tomba perché il corpo non fu mai restituito alla famiglia - era impegnato nella resistenza».
Conversa amabilmente con i camerieri di "Sale e Tabacchi". L´Italia fu la prima tappa della sua vita nomade e per un periodo la sua seconda casa. «Cos´ha fatto Berlusconi alla mia Italia?», esclama. «I giovani sembrano anestetizzati, da cosa? da questa televisione che giorno per giorno, goccia dopo goccia, gli ha fatto il lavaggio del cervello. Una dittatura mediatica terrificante». Poi sprofonda di nuovo nei ricordi: «Dopo quello che accadde alla mia famiglia... a ripensarci ora… per anni sono vissuta sott´acqua... non so neanche come ne sono venuta fuori, come sono sopravvissuta. Forse perché ho fatto finta che nulla fosse accaduto. Mi chiedevo: come troverò un modo di vivere in questo mondo? quale sarà la mia patria? dove vivrò? Il mio terrore era sempre quello di venire dimenticata in un angolo. Il primo posto dove sbarcai fu Firenze, pensando di diventare disegnatrice di tessuti. Erano i primi anni Sessanta e lì incontrai Ugo Mulas. Più tardi, a Roma, ebbi una relazione con Franco Rubartelli e quella particina in Blow-Up, che per la verità fu girata a Londra. Adoravo Antonioni, ma non sapevo che fosse in studio a guardarmi quel giorno. Stavo realizzando un servizio fotografico con David Montgomery (il fotografo di Elisabetta e della Regina madre, di Jimi Hendrix e dei Rolling Stones, ndr), quando scorsi controluce la silhouette di un uomo. Il regista cercava ispirazione per la scena che doveva girare con David Hemmings. Alla fine della session ci presentarono. Mi sentii talmente onorata dell´offerta che non osai ribattere quando mi offrirono mille dollari, una cifra ridicola per una top model (che all´epoca ne guadagnava diecimila al giorno, ndr). E ancora non riesco a capacitarmi del perché quei pochi minuti in cui non proferivo parola mi abbiano dato tanta popolarità».
Vive a Berlino est, fa una vita isolata. A volte per evitare seccature risponde al telefono fingendo di essere la segretaria: «Mi dispiace ma la signora non vede nessuno». Sta a casa con i suoi gatti e non di rado si occupa degli animali dei vicini. «Abito in una zona ancora considerata povera, dove tutto costa meno e anche affittare un appartamento è più conveniente che in qualsiasi altra parte d´Europa. Qui si è creata una società cosmopolita che ama questa metropoli in continua trasformazione, dove ognuno riesce a organizzarsi la vita come se vivesse in un open space».
La seconda vita dell´enigmatica top model è raccontata nei libri Veruschka: Transfigurations del 1986 (con prefazione di Susan Sontag), in cui le immagini esaltano le sue capacità trasformistiche grazie all´arte del body painting; nel monumentale, retrospettivo Veruschka, pubblicato due anni fa da Assouline; e nel progetto Veruschka Self-Portrait, realizzato tra il 1992 e il 1996 con il fotografo Andreas Hubertus Ilse, sfociato in una mostra itinerante. « l´agonia del glamour, immagini molto malinconiche, alcune anche autobiografiche, come quelle ambientate a New York», spiega Vera, «una città che ho amato molto ma che era diventata insopportabile. Finita l´epoca della pop art, della straripante creatività di Warhol, è ora un posto dove conta solo il denaro. Sono fuggita perché avevo bisogno di recuperare un rapporto con la mia città. Io e Berlino faccia a faccia».
Prima di essere inghiottita dalla scala mobile del metrò, ha un´ultima raccomandazione: «Non si perda il concerto che Blixa Bargeld e Alva Noto stanno portando in giro per l´Europa. Sono amici miei. Geniali». La compagna Vera è ancora avanti.