SARA BENNEWITZ, la Repubblica Affari&finanza 26/4/2010, 26 aprile 2010
ECCO I PIANI DI EXOR PER CRESCERE DOPO LO SCORPORO IN CASA FIAT LA PROSSIMA SFIDA CHE IL MERCATO E PARTE DELLA FAMIGLIA CHIEDONO A ELKAN DI AFFRONTARE QUELLA DI SCIOGLIERE L’ACCOMANDITA, REALIZZANDO COS IL PROGETTO DELLO ZIO UMBERTO
Scorporare l’auto dal resto delle attività del Lingotto era uno dei sogni di Umberto Agnelli. Proprio lo zio di John Elkann nel 2003 aveva dato il via a una trafila di operazioni, come il riassetto tra le partecipazioni di Ifi e Ifil, che ora l’erede di Gianni Agnelli sta completando: prima con il matrimonio tra le due holding da cui è nata Exor e ora con la separazione delle attività industriali del Lingotto da quelle dell’auto. Nel riassetto annunciato in settimana da Sergio Marchionne, la famiglia fondatrice del colosso industriale ha ribadito il suo impegno in Fiat Auto, tanto che John Elkann ha assunto la presidenza del gruppo che oltre alla Fiat controllerà Ferrrari, Maserati, Comau, Teksid, Magneti Marelli, la Stampa e il 10% di Rcs. Così a 34 anni l’erede dell’avvocato somma la presidenza di Fiat Auto, a quella di Exor e dell’accomandita di famiglia, apprestandosi a ricoprire anche il delicato ruolo finora affidato a Gianluigi Gabetti.
La divisione in due delle attività del Lingotto dovrebbe far emergere il valore nascosto in un conglomerato, spesso poco apprezzato dalla Borsa per la sua bassa diversificazione e per una governance non sempre cristallina. E così, in vista di un recupero di valore di Fiat che secondo gli analisti potrebbe arrivare a valere fino a 16 euro per azione contro i 10,5 attuali anche la controllante Exor dovrebbe apprezzarsi. Tanto più che, tra le holding quotate a Piazza Affari, quella degli Agnelli è la più sottovalutata rispetto ai suoi asset: vale il 48% in meno del giardinetto di partecipazioni che possiede. Un dettaglio su tutti: la finanziaria che fa capo alla Giovanni Agnelli & C capitalizza 3 miliardi, meno del suo 30,45% in Fiat (3,8 miliardi) a cui andrebbe aggiunto anche il 15% detenuto nel colosso della certificazione elvetico Sgs (1,2 miliardi).
Uno dei motivi che penalizzano Exor in Borsa è il fatto di essere poco diversificata, dato che quasi il 60% delle sue attività è concentrato sul Lingotto. E così, con l’aumentare del peso di Fiat, crescerà anche la dipendenza di Exor dal suo principale asset. Pertanto per la holding guidata da Carlo Sant’Albano sarà più cruciale che mai investire in nuove attività per arginare la sua dipendenza dal Lingotto. Inoltre Exor ha a disposizione un miliardo tra obbligazioni e linee di credito da investire nello sviluppo. A questo proposito dopo aver rilevato in settimana una quota dell’immobiliare Alcamantar, Exor sta esaminando il dossier Kbc. La società belga specializzata nell’asset management, secondo indiscrezioni è stata valutata circa 1,5 miliardi, un prezzo che a prima vista sembrerebbe interessante ed è pari al 3,1% delle masse gestite (47 miliardi) da Kbc.
Nella storia delle holding degli Agnelli, gli investimenti fatti dal gruppo non hanno comunque creato rendimenti a doppia cifra. Secondo Exane, nell’ultimo decennio il ritorno sull’investimento medio (Irr) di IfiIfilExor è del 7%. Peraltro l’operazione più redditizia della dinasty torinese è stata l’investimento in Telecom Italia, comprata nel ”97 ai tempi della privatizzazione e conferita due anni dopo all’Opa dell’Olivetti di Roberto Colaninno. Con la quota di Telecom il gruppo ha realizzato una plusvalenza del 40%, il triplo rispetto a quanto incassato con operazioni comunque fortunate come Rinascente e Intesa Sanpaolo. Ora che Exor comincia a recuperare la fiducia del mercato sostenendo il piano di riassetto di Fiat voluto da Marchionne, dovrà anche dimostrare di saper creare valore con i nuovi investimenti, dato che l’unica partecipazione importante rilevata dalla nuova gestione, ovvero quella nel gruppo di servizi immobiliari americano Cushman & Wakefield, non ha ancora dato i risultati sperati.
Inoltre non solo alcuni rami della famiglia torinese, ma anche molti interlocutori finanziari, si domandano che senso abbia, dopo il riassetto della Fiat e la nascita di Exor, mantenere non solo nove titoli quotati tra ordinarie risparmio e privilegio, ma anche la struttura dell’accomandita che lega insieme circa 140 soci discendenti dal fondatore Giovanni Agnelli, nonno dell’Avvocato. Peraltro la Giovanni Agnelli & C. così com’è nella sua attuale composizione, era nata tredici anni fa per volontà del nonno di John Elkann che in occasione dell’Opa sulla vecchia Exor aveva riunito insieme i due rami della famiglia NasiAgnelli. Allora però l’accomandita controllava il 100% delle Ifi ordinarie, ora trasformate in Exor ordinarie e quotate sul mercato. Sciogliere l’accomandita e dare direttamente ai soci azioni Exor (da far poi confluire in un patto di sindacato), parrebbe infatti una soluzione più in linea con i tempi. Non a caso, tempo fa, la famiglia aveva chiesto un parere a un esperto indipendente per valutare l’opportunità di tenere in piedi o meno la Giovanni Agnelli & C. Allora il presidente Gabetti su mandato degli Agnelli si era rivolto a Guido Rossi, che dopo una lunga disamina, aveva elaborato un parere da cui emergevano data la grande ramificazione della famiglia più pregi che difetti nel mantenere lo status quo. Adesso però che John Elkann ha aumentato dal 30 al 33% la quota della Dicembre nell’accomandita, e alla luce del fatto che Exor è controllata saldamente al 59% e ha in corso un massiccio piano di buy back, ecco che il futuro assetto del gruppo appare meno a rischio di incursioni ostili. La presa degli eredi dell’Avvocato è più salda, John sarà l’unico membro della famiglia a presiedere tutta la filiera di aziende che dalla Giovanni Agnelli & c porta all’auto. La prossima sfida che il mercato e una parte della sua stessa famiglia chiedono al delfino di casa Agnelli di affrontare è quella di sciogliere l’accomandita, realizzando così anche l’altro grande sogno dello zio Umberto.