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 2010  aprile 26 Lunedì calendario

COLANINNO: QUI LA FRONTIERA GLOBALE

La Piaggio è un gruppo con una grande storia alle spalle e un presente molto dinamico, nel quale la carta più importante che in questa fase si sta giocando è l’internazionalizzazione. Con un orizzonte ormai definito: l’Asia. A guidarla è Roberto Colaninno che, con la sua Immsi ne ha acquisito sei anni fa il pacchetto di controllo e quindi l’ha ristrutturata e rilanciata.
Negli ultimi anni avete investito massicciamente in Cina, Vietnam, India. Con quali risultati?
«Ottimi, al di là delle nostre più rosee aspettative. Dopo meno di tre anni abbiamo già ripagato il capitale investito in Vietnam e stiamo gestendo lo straordinario sviluppo dei prodotti del gruppo Piaggio in India». Perché la vostra scelta è caduta sull’Asia?
«Perché oltre al dinamismo c’è la dimensione dei mercati: nel mercato cinese ogni anno vengono venduti 17 milioni di due ruote, in Vietnam 3 milioni, nel sud est asiatico escluso il Vietnam altri 9 milioni, in India 8 milioni. Lo sa qual è il mercato europeo delle due ruote? Glielo dico io, 1,7 milioni di veicoli l’anno. La regione per insediarsi da quelle parti è in questi numeri».
Se i numeri sono questi, e non solo per le due ruote, e se il ritorno sul capitale investito e i ritmi di crescita sono così elevati, perché in Asia le imprese italiane sono così poco presenti?
«La prima ragione è che l’Italia ha sempre avuto la vocazione a esportare prodotti realizzati all’interno. Non siamo un paese orientato ad avere una presenza multinazionale. La nostra economia è fatta di consumi interni e di export in particolare verso l’Europa e, in Europa, soprattutto verso Francia e Germania. Un modello siffatto non aveva bisogno di strutture organizzative, commerciali e finanziarie particolarmente complesse».
Per esportare tuttavia ci vogliono i prodotti.
«Quelli per fortuna non sono mancati. La stessa strategia orientata all’export ha generato la spinta alla progettazione di prodotti straordinari che hanno sempre avuto successo sui mercati internazionali, dalla moda alla meccanica, alla gioielleria, solo per fare alcuni esempi».
Bene allora, andiamo avanti con l’export.
«Non basta più, perché negli ultimi dieci anni il mondo è cambiato, con i paesi emergenti dell’Asia, dell’America Latina, del Golfo Persico che sono diventati potenze industriali e grandi mercati, e nel giro di 5 o 6 anni lo diventeranno anche alcuni paesi africani. Il tempo corre: quando nacque il G7 alla fine degli ”70, i paesi del club rappresentavano l’80 per cento del pil mondiale, oggi non è più così, e dopo questa crisi, che ha accelerato lo spostamento della crescita verso l’est e il sud del mondo, lo sarà ancora meno».
E allora cosa fare per non rimanere tagliati fuori?
«Noi abbiamo una miriade di imprese piccole, capaci di fare cose straordinarie e dedite all’export, che ora sono alle prese con la crisi finanziaria. Ebbene dovranno, dovremo, perché siamo tutti nella stessa barca, affrontare anche il cambiamento. Il mestiere dell’imprenditore nasce da una visione di sviluppo e quindi una delle sue componenti è l’ottimismo, e io infatti sono ottimista, perché abbiamo buone frecce per il nostro arco».
Quali?
«Trovo giusto che si sia arrivati ad una apertura del mondo con mercati globali ai quali partecipano miliardi di persone che prima ne erano escluse. Oggi ci sono almeno 4 miliardi di esseri umani che vogliono migliorare la qualità della loro esistenza e per fortuna intendono farlo attraverso una competizione pacifica. Quindi c’è da lavorare per i prossimi 300 anni. Non vedo una carenza di domanda, vedo una domanda diversa, che si articola su mercati nuovi, con una dinamica tecnologica che non si era mai vista prima».
Ma com’è che le imprese di altri paesi in questo nuovo mondo sono riuscite a costruirsi la loro posizione e noi ancora siamo indietro?
«I tedeschi e i francesi si presentano compatti, arriva il governo affiancato da grandi complessi industriali e finanziari mostrandosi in grado di creare quelle infrastrutture organizzative necessarie a partecipare ai progetti di sviluppo di quei paesi».
E noi?
«Noi ci difendiamo con la leadership dei nostri prodotti. In Cina e in India hanno grande successo marchi come Perfetti e Ferrero, le Generali stanno crescendo bene, ci siamo noi della Piaggio. E altri ovviamente, ma non facciamo massa».
La sfida allora qual è, delocalizzare?
«Noi non abbiamo delocalizzato, siamo andati a produrre per mercati che non avremmo mai potuto raggiungere producendo in Italia o in Europa. La sfida è organizzativa, le imprese devono dotarsi di una cultura che consenta loro di affrontare un mercato globale, e in molti casi questo nuovo assetto comporta anche strutture produttive articolate e sempre strutture commerciali complesse. Dietro tutto ciò ci vuole ovviamente una finanza adeguata, il che vuol dire anche aziende adeguatamente patrimonializzate».
Con una organizzazione adeguata potremmo farcela?
«In Asia, in America Latina, in Africa, possiamo esserci quando vogliamo, ci accolgono a braccia aperte. Le faccio l’esempio del Vietnam, che considera l’Italia un paese fraterno e che è pronto ad accoglierci con tutto il calore possibile. E il Vietnam oltre ad essere un paese importante in se è una testa di ponte per l’intero sud est asiatico, ovvero 800 milioni di abitanti, e per l’Asia intera. Noi con 40 milioni di dollari investiti, siamo il maggiore investitore italiano in quel paese e con grande soddisfazione: abbiamo cominciato nel 2007 ed ora siamo già pronti a raddoppiare».
Cosa producete?
«La Vespa, che ha un grande successo».
In Cina com’è andata?
«Siamo partiti nel 2005 da zero, oggi fatturiamo circa 100 milioni di dollari con una previsione di crescita del 15 per cento l’anno. Abbiamo recuperato un vecchio stabilimento Piaggio a Foshan City, nella regione del Guangdong, e insieme al gruppo Zongshen, che ha come noi il 45 per cento della joint venture, e alla Municipalità di Foshan (che ha il restante 10 per cento) abbiamo lanciato l’operazione e nel 2009 abbiamo già prodotto 208 mila veicoli con un fatturato netto di 60 milioni di euro. Poi ci abbiamo anche aggiunto qualcos’altro: insieme alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa abbiamo fatto un accordo con l’Università di Chongqing per la ricerca e per lo scambio di studenti, un programma che sta avendo grande successo».
E il futuro?
«Quando si parla di progetti la voglia di fare, l’entusiasmo, la curiosità, insomma, tutto ciò che ti appassiona ti porta lontano. Questo è il bello di fare impresa. Allora nuovi motori diesel e la nuova Vespa in India, il nuovo Porter, la nuova famiglia Guzzi, l’Aprilia che vola, l’elettrico, l’evoluzione dell’Ape, il design della futura Vespa che coniugherà le origini con l’imprevedibilità del futuro, ancora e ancora».