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 2010  aprile 25 Domenica calendario

PITTORE, JAZZISTA E VIGNAIUOLO

Ecco Piero Dorazio, a metà scala, che si arrampica su una grande botte. Eccolo mentre apre una bottiglia di grappa sotto il portico del convento e, poi, in una posa curiosa: mostra una grande tela, ancora intonsa, in giardino, davanti ad una fitta vegetazione, mentre nevica.
E, poi, riflesso sulla piscina; seduto, con un cappellaccio sulla testa che lo fa rassomigliare a un cowboy, mentre fuma una sigaretta, o gioca col cane che gli saltella intorno; nell’enorme studio, seduto nell’angolo creato da due dipinti; mentre mischia i colori in un barattolo o pulisce la spatola; mentre ripassa il pennello sui particolari d’un quadro; nella vigna, che intrufola le mani sotto i pampini delle viti per accarezzare un grappolo.
D’un tratto, l’artista scompare. Le foto inquadrano cavalletti, tele e pennelli, una enorme stufa; quadri ammonticchiati; tavoli da lavoro, scaffali con statuette lignee stilizzate, provenienti dall’America Latina e dall’Africa; file di bottiglioni, in cantina, depositati per terra.
Biografia, per immagini, di un grande pittore. Autore, Aurelio Amendola, per un trentennio amico e fotografo di Piero Dorazio (1927-2005) che, su migliaia di scatti, ne ha scelto una sessantina che testimoniano l’osmosi, durata un trentennio, fra Dorazio, Todi e l’Umbria, con particolare riferimento alla casa-studio a Canonica di Todi, un vecchio convento del – 200, semiabbandonato e semidiroccato, fondato da papa Onorio III, posto su una collina che domina la valle del Tevere.
Il pittore ha cominciato a restaurarlo nel ”93. Tre anni di lavori, seguiti personalmente da lui, che, nel frattempo, la sera si ritirava a dormire in una delle celle dei Camaldolesi.
Distribuite fra palazzo del Popolo e palazzo Viviano degli Atti, le immagini di Amendola sono il primo omaggio ufficiale di Todi all’artista, per la ricorrenza dei cinque anni dalla morte. Titolo della mostra, che si apre stamane, Piero Dorazio a Todi: l’arte, la vita (catalogo Skira, con scritti di Massimo Mattioli, Enrico Castellani, Beverly Pepper, Federico Sardella e Marisa Volpi).
A parte un paio di fotografie in cui Dorazio posa (come quella sotto la neve), tutte le altre sono istantanee. «Io giravo per lo studio e scattavo – ricorda Amendola ”. Lui fumava, era al telefono, urlava con gli assistenti, leggeva un telegramma. Dipingeva, dipingeva e ancora dipingeva; e io scattavo».
Ogni foto, tanti particolari. E ogni particolare, una storia. Gli altoparlanti alle pareti, per esempio. Dorazio era solito dipingere ascoltando jazz. Duke Ellington, ma anche Charlie Parker, Thelonius Monk, Chales Mingus, Miles Davis, John Coltrane, Bill Evans.
«Sia la musica che la pittura moderna – spiegava Dorazio in L’occhio ascolta (1986) – non rappresentano nient’altro che gli elementi di cui sono fatte: colori, linee, superfici e spazi, materie, suoni, timbri, movimento nel tempo, luci e ombre, chiaro e scuro, forte e adagio, orizzontale, verticale, diagonale, caldo e freddo, alto e basso. Musica e pittura si rivolgono ai sensi piuttosto che alla ragione».
E nessuna musica meglio del jazz si confaceva al suo tipo di pittura, era capace di suscitare in lui emozioni così profonde, di stimolare la sua immaginazione. Si guardino i suoi quadri: sembra che i colori suggeriscano note rauche, come quelle che Bubber Miley riusciva a strappare alla sua tromba, cui aveva messo la sordina.
Sebastiano Grasso