Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 25/04/2010, 25 aprile 2010
GRANDI CRISI, GRANDE «BUCO»
Tutti presi dal racconto dalla Grande Crisi e delle sue cause, i giornalisti finanziari non hanno ancora spiegato perché i giornali non ne abbiano avvertito la pur lunga gestazione, specialmente negli Usa e nel Regno Unito dove erano seduti sull’orlo del vulcano. A ben vedere, si è trattato, come si dice in gergo, di un colossale «buco»: le informazioni di base erano sotto gli occhi di tutti, ma nessuno se ne è accorto. Possiamo pure scrivere solo adesso dello scandalo Goldman Sachs, perché è stato scoperto grazie alle investigazioni della Sec, ma le violazioni dell’etica degli affari erano l’escrescenza straordinaria dell’ordinaria banalità del male, rappresentato dall’economia del debito; l’indice dei prezzi immobiliari è da sempre notorio, esattamente come il debito pubblico e quello di imprese, famiglie e banche, entrambi rilevati ogni tre mesi dalla Federal Reserve.
Certo, Nouriel Roubini l’aveva detto che un debito tanto grande non era sostenibile. The Economist aveva scritto del rischio di una bolla immobiliare, ma Roubini, ai tempi, non faceva opinione e il settimanale inglese ha sparato un colpo solo. Ben diversa era stata l’insistenza dei media occidentali sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Perché dunque i media – gli anglosassoni, ma non solo quelli – hanno dato per buona la notizia falsa che giustificava la guerra contro l’Iraq e non hanno indagato e valorizzato le notizie vere sull’economia, che pure venivano da fonti ufficiali? Giovedì ne abbiamo parlato al Festival internazionale del giornalismo a Perugia con Alessandra Galloni ( Wall Street Journal), Betty Wong ( Reuters), e Adrian Michaels ( Telegraph). La mia tesi è stata questa: il giornalismo finanziario non ha visto perché non voleva vedere; l’avesse fatto, avrebbe dovuto rompere con il capitalismo finanziario dominante del quale si sentiva parte condividendone, in scala ridotta, i vantaggi. Una tesi naturalmente contestabile.
Michaels, per esempio, mi ha elegantemente ricordato che non si scrive per il proprio piacere o per educare il lettore, ma per dare le informazioni richieste dal pubblico, in questo caso dagli investitori internazionali, che non volevano prediche ma bilanci trimestrali. Adrian è stato onesto nel rappresentare il giornalismo che vive in un solo tempo, il presente, e in un solo luogo, la City o Wall Street; e che ora contribuisce alla riforma perché ora il bubbone è scoppiato. Ma basta?
A Perugia si può visitare il Nobile Collegio del Cambio, una sala del XV secolo dove si incontravano i cambiavalute. Il Perugino vi ha affrescate le figure di duemila anni di storia, arte religione, filosofia. Affari e radici, denaro e sapere. Ripensandoci, mi correggo: non abbiamo visto perché non volevamo vedere, non tutti almeno, ma perché avevamo dimenticato la cultura e la storia che ci avrebbero suggerito le domande fuori dal coro: quando e chi avrebbe ripagato il debito; se il capitalismo finanziario sia utile o dannoso, e per chi; se sia giusto o ingiusto in generale.
Massimo Mucchetti