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 2010  aprile 25 Domenica calendario

IL MISTERIOSO PARVUS MERCANTE DELLA RIVOLUZIONE

Mi piacerebbe conoscere l’effettivo ruolo svolto dal capitalista Aleksandr Parvus nella storia rivoluzionaria russa e la sua opinione su questo personaggio.
Pietro Massaro massaro.pietro@libero.it
Caro Massaro, una precisazione anzitutto. La persona su cui lei vorrebbe avere maggiori informazioni si chiama Aleksandr Gelfand. Parvus è lo pseudonimo adottato per un articolo apparso nella rivista Neue Zeit alla fine del 1894 con cui Gelfand attaccò duramente la corrente del partito socialista tedesco che era disposta ad approvare il bilancio dello Stato bavarese. L’articolo s’intitolava «Né uomini né soldi», uno slogan che fu usato più tardi dai socialisti massimalisti contro la partecipazione dei loro Paesi alla Grande guerra. Nella sua lunga carriera di giornalista socialista Gelfand usò altri pseudonimi, ma Parvus gli rimase incollato addosso per sempre.
Sulla vita e le opere di Aleksandr Israel Gelfand esistono almeno due libri. Il primo, apparso in Germania nel 1964 e in Inghilterra nel 1965, è opera di uno storico inglese e di uno storico tedesco (Z. A. B. Zeman eW. B. Scharlau) e s’intitola «The Merchant of Revolution» (il mercante della rivoluzione). Il secondo è apparso presso Garzanti nel 1988 con il titolo «Il grande Parvus» ed è opera di uno slavista italiano, Pietro Zveteremich, che fu anche traduttore del «Dottor Zhivago» di Boris Pasternak.
Sono entrambi interessanti, ma nessuno dei due riesce a svelare tutti gli angoli bui di una esistenza che fu al tempo stesso straordinariamente brillante e indecifrabilmente tenebrosa. Sappiamo che Gelfand nacque nel 1867 a Berezino, nella provincia di Minsk, all’estremo limite settentrionale del grande «recinto» che la Russia zarista aveva assegnato agli ebrei dopo l’ultima spartizione della Polonia. Sappiamo che la famiglia si trasferì ad Odessa e che Aleksandr crebbe leggendo voracemente testi socialisti e rivoluzionari. A diciannove anni, nel 1886, lasciò la Russia per la Germania, mecca del socialismo europeo, e divenne presto noto per gli articoli polemici e vivaci con cui partecipò, tra l’altro, al grande dibattito sulle teorie «revisioniste» di Eduard Bernstein. Rientrò in Russia per partecipare alla rivoluzione del 1905, venne imprigionato nella fortezza di Pietroburgo, fu esiliato in Siberia con Trotsky, ma riuscì a fuggire e a rientrare in Germania.
Nel 1914, alla vigilia della Grande guerra, decise improvvisamente di abbandonare Berlino e di trasferirsi a Istanbul. lì probabilmente che Gelfand, già noto per la sua abilità uomo d’affari, ammassò, con metodi di cui non sappiamo quasi nulla, una grande fortuna. Ed è lì che, dopo lo scoppio del conflitto, maturò in lui il disegno strategico per cui sarebbe passato alla storia. Giunse alla conclusione che soltanto la Germania avrebbe distrutto l’impero zarista e che il miglior modo per accelerarne il collasso era quello di iniettare nelle vene del moribondo il morbo della rivoluzione. Convinse lo stato maggiore tedesco a facilitare il ritorno di Lenin a Pietrogrado e si trasferì a Stoccolma per assistere al passaggio del treno nella primavera del 1917. Su quella vicenda, nota anche grazie a documenti del governo tedesco dell’epoca, esiste un buon film di Damiano Damiani («Il treno di Lenin») girato nel 1988 per la Rai, in cui appare, se ricordo bene, una figura alta, corpulenta, massiccia. Gelfand.
I suoi rapporti con Lenin si guastarono rapidamente e Parvus divenne da quel momento la bestia nera dei bolscevichi. Passò gli ultimi anni della sua vita a Berlino in una sontuosa villa costruita nella più piccola delle isole del Wannsee, in una delle più ricche zone residenziali della città. Quando morì, nel 1924, i suoi amici sperarono di trovare tra le sue carte il mistero della sua vita e della sua colossale fortuna. Non trovarono nulla. Verosimilmente aveva cancellato, prima di morire, ogni traccia della sua carriera di rivoluzionario capitalista.
Sergio Romano