Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 24/04/2010, 24 aprile 2010
DAI PAPARAZZI DI FELLINI AI FOTOGRAFI «PER CASO»
Sono diventati cattivi, violenti. Li arrestano. Non ha senso chiamarli ancora «paparazzi». Quelli veri sono rimasti, per sempre, dentro un film: La dolce vita. Immagini in bianco e nero. Federico Fellini. Via Veneto. Dove tutto cominciò, in una sera d’estate del 1957.
Walter Chiari stava per sedersi con Ava Gardner a un tavolo del Café de’ Paris. Ma, all’improvviso, sembrò ripensarci. Si voltò e, con un balzo, s’avventò su un omino fermo nella penombra, accanto alla saracinesca chiusa di un negozio: Tazio Secchiaroli, il paparazzo più bravo e temuto. La Gardner urlò: «Oh, my God!». A un cameriere cadde un vassoio con due bicchieri di Negroni. Il traffico rallentò. Walter Chiari, prima di mettersi a fare l’attore, era stato campione di pugilato.
«Già, Tazio si prese proprio uno spavento...», ricorda con ironia Umberto Pizzi, che a 73 anni non molla e ancora sta sul marciapiede a scattare foto per Dagospia, il sito internet dove c’è la rubrica «Cafonal»: la rubrica su cui vengono pubblicate le immagini rubate alle feste romane dei politici, in quei trionfi di balli, di potere, di carne nuda, di mozzarelle masticate a bocca aperta.
Perché sei ironico, Pizzi? Quella è lo scatto più famoso della Dolce Vita. «La foto non la fece Tazio, ma Elio Sorci, un nostro collega che, diciamo casualmente, era lì». Vuoi dire che il servizio, come diciamo in gergo, era «apparecchiato»? «Senti, sai qual è la verità? Il lavoro di noi paparazzi era speciale». Spiegati. «Non bastava essere furbi, o svelti nel maneggiare una macchina fotografica. Ad essere decisiva era la nostra umanità...».
Dai, racconta. «Mastroianni mi diceva: "A Umbé, perché non te metti a fà il metalmeccanico?". Poi, però, lasciato da Faye Dunaway, organizzò una paparazzata per farsi beccare a Fiumicino mentre accoglieva la Deneuve...». Ricorda di quella volta a Cannes con la Loren. «Ah!... La becco che saliva in camera con Ettore Scola. Allora lui si volta e mi dice: "Umbé, voi venì a guardà?"». Onassis, il miliardario. «Le tre di notte, cento fotografi davanti all’Osteria dell’Orso, qui a Roma. Dicono che dentro c’è lui. Tutto sbarrato. Allora prendo per un vicolo, so che c’è una porticina sul retro. Indosso il mio impermeabile bianco, Nikon nascosta, entro dalle cucine, cammino disinvolto, salutando. Nessuno fa caso a me. Di colpo sbuco nel salone, e vedo animazione intorno al tavolo laterale. Lo punto. L’ultimo cameriere si sposta. Ecco Onassis, con una bionda pazzesca. Tre scatti in sequenza. Al quarto, lui mi lancia un bicchiere di champagne. Parapiglia. Ritirata. Scoop». Chi era difficile da fotografare? «Gianni Agnelli. Formidabile. Imprendibile. Una notte, per sfuggirmi, imboccò il Lungotevere contromano a 150 all’ora». Con Depardieu... «Cercò di darmi un pugno, io lo schivai, e lo centrai con un destro. Ma poi, con Gerard, facemmo pace».
Storie di paparazzi veri. Finché non sono arrivati quelli come Fabrizio Corona. «E che c’entra con noi, scusa, Corona?» s’indigna Rino Barillari detto « The King», 66 anni, 50 trascorsi a scattare foto, con 163 aggressioni subìte, «e non fatte», e un motto ripetuto ogni volta che arriva su un fatto e che a Roma è diventato leggendario: «Ragazzi, la guerra è guerra».
«Dico: tu mi parli di Corona, ma quello è uno che traffica, ricatta...». I calciatori Gilardino e Adriano ne sanno qualcosa. «Ecco, appunto, lascia stare. Io posso dirti che la professione del "paparazzo" è finita per altre ragioni». La prima? «Ci ha uccisi l’avvento del "digitale". Prima dovevi scattare, poi sviluppare, quindi stampare. Un lavoro da professionisti. Oggi trovi il ragazzotto che sta a cena in un ristorante, vede entrare il personaggio famoso, prende il cellulare e tac! automaticamente diventa paparazzo». Vero. «E non basta. Perché è pure cambiata la società. E allora succede che mentre prima le prendevo la Peter O’Toole ubriaco, o dovevo pregare Marlon Brando di tirarmi giù dal muro dove mi aveva appiccicato, adesso rischio di trovarmi steso dai body-guard dell’ultima esclusa del Grande Fratello».
Va bene, sono cambiati i tempi: però Rino Barillari e Umberto Pizzi non girano con lo spray al peperoncino e la pistola elettrica trovate nell’automobile di Mauro Terranova, che dopo aver flesciato sulla Pandolfi e averci litigato, l’ha trascinata via, facendola cadere, ruzzolare, e senza poi nemmeno fermarsi a soccorrerla.
«Ascoltami – dice l’Umbertone Pizzi con la sua voce roca – io Mauro l’ho visto crescere e posso dirti che era persino timido, senti cosa ti dico... poi però fu picchiato da Gigi D’Alessio e dai suoi amici e da allora... boh, non lo so... quello che ha fatto è tremendo, e il vecchio paparazzo che sono stato e che ne ha viste tante, è dispiaciuto e ti parla con amarezza, con tanta amarezza...».
Fabrizio Roncone