Alberto Giuffré, Corriere della Sera 24/04/2010, 24 aprile 2010
«MI PIACE». UN CLIC PER LA RIVOLUZIONE
«Mi piace». A queste due parole gli utenti di Facebook sono abituati da tempo. una funzione che si trova sotto ogni attività degli utenti. Si può esprimere apprezzamento per uno status o perché un nostro amico ha appena raccolto le carote nella fattoria virtuale di Farmville. Con questa stessa formula, il social network adesso punta più in alto. Da ieri il tasto «Mi piace» ha fatto la sua comparsa sulle pagine web della Cnn e su Internet Movie Database, sito di riferimento per gli appassionati di cinema. Presto sarà sulle pagine di altri colossi: da Wikipedia al New York Times. Il risultato è, come scrive non troppo metaforicamente la rivista online Slate, un «piano per prendere il controllo del Web». Per trasformare, in sostanza, il più grande database di relazioni tra persone in una risorsa che conosce tutti i gusti dei propri iscritti. La scommessa è stata lanciata giovedì sera a San Francisco da Mark Zuckerberg, il ventiseienne inventore di Facebook. «Nel giro di 24 ore il tasto like verrà cliccato almeno un miliardo di volte», ha detto il papà del social network che conta più di 400 milioni di utenti attivi in tutto il globo.
L’iniziativa al momento è rivolta soprattutto agli iscritti d’Oltreoceano. Basta pensare a Pandora, la grande radio in streaming che in Italia non è possibile ascoltare per un problema di licenze e diritti. Basta cliccare su like accanto al titolo di una canzone per far sì che tutti gli amici di Facebook ne vengano a conoscenza. E ancora, Internet Movie Database. Per esempio, nella pagina dedicata all’ultimo film di Tim Burton, Alice
in Wonderland, campeggia già la piccola «F» bianca su sfondo blu seguita dalla scritta: «A 214 persone piace questo elemento. Di’ che piace anche a te, prima di tutti i tuoi amici». Altro clic e, dopo i gusti musicali, anche quelli cinematografici vengono notificati a tutti gli «amici». Per la gioia di Zuckerberg e soci, nonché degli investitori pubblicitari che potrebbero beneficiare di questa preziosa raccolta di dati. Con gli inevitabili strascichi polemici sulle questioni riguardanti la privacy degli iscritti.
Anche sul sito della Cnn è possibile da ieri «esprimere apprezzamento» per le notizie pubblicate. Il canale televisivo all news sarà presto seguito anche dal New York Times e dal Washington Post. Il tasto Like sarà quindi presente anche su Yelp, sito che raccoglie e classifica i ristoranti. O su Sephora, per comunicare in automatico alle proprie amiche in Rete qual è il fondotinta preferito. Il meccanismo alla base di tutto è quello del passaparola: se è piaciuto ai miei amici potrebbe piacere anche a me. Grazie a una applicazione chiamata «Open Graph» sarà facile per molti altri siti web abilitare questa funzione. E allargare in maniera inevitabile il potere di Facebook.
«Condividere» è la parola d’ordine con cui il sito, dal 2004 a oggi, è diventato il social network di riferimento. Ogni mese gli utenti condividono in tutto 25 miliardi di link. Adesso si punta tutto sul «Like». A conferma di questa strategia giovedì la funzione «diventa fan» è stata sostituita da «mi piace». Scelta che ha lasciato perplessi molti utenti. Come gli iscritti al gruppo «Addicted to "Become a fan" button!» (sono dipendente dal pulsante «diventa un fan»). Ma anche i primi nostalgici italiani, che hanno iniziato a coalizzarsi nel gruppo «Ridateci "Diventa Fan"!».
I frequentatori più scafati della Rete si sono in realtà adattati già da tempo. Su «Friendfeed», social network per i più navigati, il verbo «laicare» è già di uso comune nelle discussioni tra gli utenti. Con buona pace dei puristi della lingua italiana.
Un mese fa, negli Stati Uniti, per un’intera settimana Facebook ha avuto più visite di Google. La funzione Like rischia di essere un altro attacco diretto al motore di ricerca? Certamente, ma non subito, secondo Slate: «Estendendo i suoi tentacoli sul Web, Facebook è pronto a diventare onnipresente ed essenziale come Google. Sta di fatto rimodellando la Rete a sua immagine».
Alberto Giuffré