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 2010  aprile 24 Sabato calendario

LA MIA CUCINA A PORTATA DI MANO. I FORNELLI A DUE PASSI DAI DIVANI

La cucina è di quelle piccole e speciali. A doppia parete, stretta in un lungo corridoio, permette di realizzare il sogno di ogni cuoco che si rispetti: avere tutto a portata di mano. «L’ importante non è quanto costa ma che sia facile lavorarci. E perché ciò sia possibile ci sono delle precondizioni: la zona di cottura vicino al lavabo, il forno (meglio se incassato nel muro) ad altezza del piano di lavoro che deve essere rigorosamente in acciaio (il legno no, perché s’ impregna), gli utensili giusti e soprattutto gli ingredienti in bella vista. La cucina deve essere arredata dal cibo e dal vino». Filippo La Mantia, il bel tenebroso celebrato a Roma come lo chef del momento, ha una rara qualità, quella di mettere a suo agio l’ ospite in qualsiasi situazione. Ci riceve nella sua casa romana alle spalle di Corso di Francia dove i Trumeau dell’ 800 convivono con il design più estremo. «Mia moglie - dice - viene da una famiglia di antiquari ma io amo le cose che stupiscono. Per esempio questo mobile con i cassetti colorati sovrapposti che possono muoversi in tutte le direzioni, quando l’ ho visto me ne sono innamorato e l’ ho preso. Per me la casa deve essere comoda, intima. Lavoro quattordici ore al giorno in mezzo alla gente, la notte quando rientro sono fuso, mi piace stravaccarmi sul divano e guardare la televisione». Profumi, sapori e chiacchiere. Per uno come La Mantia, uomo camaleontico, diventato cuoco per caso dopo una vita passata a fare il fotoreporter di mafia, la convivialità è tutto. Per questo la sua cucina si affaccia su un mini soggiorno ad alta tecnologia dove gli ospiti possono stare comodamente sui divani e conversare con il padrone di casa o, a scelta, guardare un film sul megaschermo, ammirare l’ armadio-cantina che tiene in fresco fino a 70 bottiglie mantenendole a temperature diverse a seconda della necessità, divertirsi con il lampadario di vetro ad altezza d’ uomo che tintinna quando passi. «I fuochi e il piano di lavoro devono essere un proseguimento dell’ accoglienza - spiega -. Il mio sogno? Una casa in cui si possano unificare gli ambienti con i divani davanti ai fornelli, un tavolo basso e un tavolo alto. Certo dipende dai metri quadri. Ma non sempre. Io ho cucinato in tutte le case importanti romane, arredate da designer incredibili, con opere d’ arte inestimabili e spazi immensi dove paradossalmente ci sono cucine minuscole che non lasciano spazio al cibo. Un vero paradosso». Bruno, occhi scuri da perfetto siciliano, La Mantia ha la sua terra nel cuore. Il logo del suo ristorante, aperto lo scorso giugno dentro l’ Hotel Majestic di via Veneto, è un disegno di otto Sicilie che formano un piccolo sole. Una cucina fatta di odori e di colori da dove sono banditi aglio, cipolla e soffritti «perché dominano tutto il resto e a me piace che il palato riconosca ogni singolo elemento». Il cavallo di battaglia è il pesto agli agrumi a base di polpa di arance, pomodori, capperi, acciughine e «basilico, quello - sottolinea - non deve mancare mai». Ovviamente altrettanto irrinunciabile e da usare rigorosamente a crudo è l’ olio d’ oliva, di quelli buoni, che a casa La Mantia è tenuto in bella vista dentro un fustino d’ acciaio inox (per servirsi basta aprire il rubinetto). Sul piano di lavoro, oltre a frutta e verdura, campeggia il libro di ricette preferito «Profumi di Sicilia» di Giuseppe Coria «perché la memoria hai bisogno di innaffiarla. Quando hai fatto tutto o pensi di averlo fatto, servono nuovi stimoli». E lui, maniaco del dettaglio, lo consulta in continuazione per ispirarsi. Anche se poi improvvisa, ovviamente, aprendo i cassetti pieni di coltelli, taglieri e strumenti di ogni genere. E buttando gli ingredienti più impensabili nel suo adorato Combimax «che frulla tutto alla perfezione. Altrimenti - spiega -, puntando tutto sulla materia prima, sarei perduto». La casa è grande come si conviene ad ogni famiglia allargata. Lui, la moglie, la piccola Carolina, nata due anni e mezzo fa, e i due figli adolescenti di Stefania, Filippo e Nicolò. Una vita tranquilla (si fa per dire dati i ritmi di lavoro) dopo gli anni rocamboleschi passati in Sicilia dove La Mantia è finito anche in carcere per un errore giudiziario. Sette lunghi mesi in cui cucinare «era un rito per passare il tempo». E lì si è scoperto cuoco. «Anche se lo sono sempre stato dentro di me. Da adolescente ero io a cucinare per gli amici». Un’ abitudine che non ha perso ancora oggi.
Monica Ricci Sargentini