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 2010  aprile 24 Sabato calendario

2 articoli - TRASFERIRE LE FUNZIONI NON BASTA IL MOMENTO DEL FEDERALISMO FISCALE - Caro Direttore, i recenti editoriali di «nonno» Sartori sul federalismo partono da un presupposto sbagliato perché confonde federalismo e federalismo fiscale; non cogliendo minimamente quella che è la situazione

2 articoli - TRASFERIRE LE FUNZIONI NON BASTA IL MOMENTO DEL FEDERALISMO FISCALE - Caro Direttore, i recenti editoriali di «nonno» Sartori sul federalismo partono da un presupposto sbagliato perché confonde federalismo e federalismo fiscale; non cogliendo minimamente quella che è la situazione. Sartori pone questa domanda: «nuove sedi, nuovo personale, nuovi stipendi. Questa cosiddetta devolution quanto verrà a costare? Nessuno lo sa, nemmeno all’incirca». Se la domanda è radicalmente sbagliata non merita risposta. Ma siccome insiste spieghiamo. L’Italia ormai da dieci anni è vittima di un’anomalia strutturale: il cantiere federalista è stato avviato solo a metà, trasferendo funzioni e competenze ma rimanendo invece fermo sul fronte del finanziamento, affossato in un modello di «finanza derivata». Anche nella Spagna degli Anni 80, all’indomani della nuova Costituzione con la quale furono assegnati maggiori poteri alle Comunità Autonome, mancava la responsabilità impositiva; questa dissociazione tra spending power e imposizione aveva fatto esplodere i conti pubblici. Il rimedio’ e il successo’ del federalismo spagnolo è stato il federalismo fiscale, poi avviato con decisione. Nell’Italia di oggi la spesa pubblica (escluse pensioni e interessi) si divide ormai a metà tra Stato e sistema delle autonomie, ma per queste ultime il potere impositivo è limitato a poco più del 10%. Si è così realizzata una forte dissociazione della responsabilità impositiva da quella di spesa. A pagare per questa situazione sono stati tutti gli italiani. Un sistema di finanza derivata finisce per premiare chi ha creato più disavanzi, favorisce una politica dell’inefficienza, mentre chi ha speso meno’ perché è stato più efficiente’ deve continuare a spendere e ricevere di meno. Inoltre, ha diffuso il costume dello «scaricabarile» delle responsabilità: il sindaco scarica sulla Regione le responsabilità delle sue inefficienze, la Regione accusa lo Stato di non avergli dato i soldi con una evidente confusione di responsabilità. Senza rovesciare questa dinamica e senza reali incentivi all’efficienza non si potranno creare sufficienti motivazioni per una razionalizzazione della spesa pubblica. Il federalismo fiscale è quindi il rimedio. stato ampiamente condiviso dalle forze politiche, anche di opposizione e dalle autonomie territoriali (tutti ignoranti e irresponsabili, secondo Sartori?). La legge si fonda su due principali coordinate: la prima è quella del passaggio dalla spesa storica al costo standard e opera sul lato della spesa: si passerà dal finanziamento dei servizi in base a quanto si è speso in passato ad un finanziamento del solo costo standard. Il finanziamento in base al costo standard porta per definizione a un risparmio e a una razionalizzazione della spesa pubblica: se un servizio ha un costo effettivo di 10 euro – e fino ad oggi è stato finanziato per 15 – di sicuro risparmieremo 5 euro e in più, garantendo il finanziamento integrale, assicureremo l’esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione su tutto il territorio nazionale, cosa che oggi non avviene. Le maggiori risorse che si renderanno disponibili andranno a ridurre il debito pubblico, la pressione fiscale o a migliorare la qualità dei servizi. La seconda coordinata sarà l’attribuzione agli enti territoriali di un’autonomia impositiva sufficiente: gli enti disporranno di proprie entrate autonome e saranno obbligati ad essere gli attori principali della lotta all’evasione, grazie alla conoscenza che hanno del territorio. In più, i cittadini avranno a disposizione la «tracciabilità» dei tributi: sapranno non solo quanto e a chi versare, ma anche come saranno utilizzate le loro risorse. Dunque, al momento del voto saranno loro, finalmente consapevoli, in grado di premiare o sanzionare gli amministratori. Ma non solo responsabilità politica ma anche controlli e sanzioni. Gli amministratori che non rispetteranno le regole non potranno assumere personale, si vedranno bloccate le spese discrezionali, dovranno insomma ridurre le spese (perché altrimenti dovranno richiedere risorse aggiuntive ai propri amministrati). Chi causa dissesto non solo andrà a casa, ma non sarà rieleggibile ad alcuna carica. Ecco che cosa intendiamo per fallimento politico, ovvero responsabilizzazione con le buone o con le cattive. Il federalismo fiscale, da solo, però non basta per ridurre i centri di spesa. Una parte di tale riduzione l’abbiamo realizzata con il decreto legge sugli enti locali e il suo completamento si realizzerà con il Codice delle autonomie, all’esame del Parlamento, e con la prossima revisione costituzionale, necessari per definire compiutamente «chi fa che cosa» e garantire che quella cosa sia fatta da un solo soggetto. Certo è una strada in salita di cui però abbiamo percorso già un bel pezzo. Abbiamo cuore e polmoni per raggiungere la vetta. Infine, chi di Shakespeare ferisce, di Shakespeare perisce: «Il saggio sa di essere stupido, è lo stupido invece che crede di essere saggio». Roberto Calderoli ministro per la Semplificazione normativa MA RESTA IL NODO DEI CONTROLLI - Tira e molla, il «bambino» ministro Calderoli risponde al «nonno» (sarei io) in modo serio e civile. Grazie. La forza di essere nonni, e cioè di avere già molto visto e vissuto, è che io ho insegnato per quasi quarant’anni negli Stati Uniti, dal che consegue che del federalismo Usa so parecchio. Ho anche fatto continue visite e anche consulenze in Sudamerica, e cioè dove il federalismo funziona poco e di solito male. Non sto a chiosare il testo di Calderoli, tanto più che lui si sa spiegare bene. E so benissimo che l’impianto «quadro» del nostro federalismo fu una improvvisata (e improvvida) pensata (per vincere le elezioni) della sinistra. A suo tempo ne scrissi, come scrissi sui costi (tra i quali i costi di riconversione) che si ipotizzarono allora per poi essere abbandonati. Qui mi vorrei soffermare su un solo punto: quello dei controlli, su chi controllerà chi, e con quali strumenti di sanzione. Calderoli sa come me e come tutti che il nostro Paese è in buona parte clientelare, variamente marcio, molto corrotto e eminentemente corruttibile. Pertanto la normativa che il ministro cita sarà facilmente derogata, rinviata, modificata o anche cancellata. Se il Nostro la prende sul serio è forse perché non è abbastanza nonno, perché soffre di inesperienza giovanile. Secondo lui la lotta all’evasione (di ogni sorta e tipo) si fonderà proprio sulla «conoscenza che gli eletti hanno del territorio». Ahimè no. Così mi raccontava mia nonna, ma da allora è un’arma spuntata che funziona solo nei piccoli comuni di poche migliaia di abitanti, dove tutti si conoscono e vedono con i loro occhi (non con gli occhiali della televisione di Minzolini e consimili) quel che succede. Ma prendiamo la Lombardia, tanto per citare un esempio diciamo normale, che è da tempo saldamente in mano di Formigoni. Se io ne fossi il governatore mi studierei bene la geografia elettorale del territorio, individuerei bene le zone e le categorie elettorali da privilegiare per vincere sempre, e del resto, degli altri, mi curerei poco o nulla. Che il voto a livello regionale metta in grado gli amministrati, i cittadini, di «premiare e sanzionare gli amministratori» è sempre meno vero. Per carità, il voto ci vuole, guai se non ci fosse. Ma oggi e sempre più dovrebbe essere integrato da «autorità di controllo» davvero indipendenti, non bloccate da infiniti ricorsi, e munite di poteri di punizione, che davvero spaventano. L’andazzo è invece (a cominciare da Palazzo Chigi) che sono i controllati che nominano i controllori che li dovrebbero controllare. Berlusconi non nasconde’ anzi, lo proclama a chiarissime lettere – che cambierà anche il reclutamento della Corte costituzionale per impacchettarlo di amici suoi, di signor «sì». Tornando alle Regioni, sarebbe davvero carino se fossero i loro rispettivi presidenti a nominare chi dovrebbe controllare l’operato loro, delle loro giunte, e delle consorterie di contorno. Mi scuso con il ministro di sollevare soltanto un punto. Ma è un punto pregiudiziale. Se non viene risolto, tutto il resto sono chiacchiere e fanfaluche. Giovanni Sartori