Paolo Rastelli, Corriere della Sera 24/04/2010, 24 aprile 2010
LE ARMI, LE NONNE E I «PIZZICONI» IN CAMICIA ROSSA
Come venivano chiamati i garibaldini 50 anni fa sulla costa toscana? «Pizziconi», spiegava Alberto Cavallari sul Corriere dell’ 8 maggio, perché erano venuti per «pizzicare» armi e munizioni all’ esercito sardo e avevano finito per pizzicare anche le signore locali, le cui nipoti ricordavano ancora i racconti delle nonne. Appunto 50 anni fa, nel 1960, l’ Italia era in fibrillazione per i festeggiamenti del centenario dell’ Unità nazionale, previsto per l’ anno successivo. Un po’ più di quanto lo sia ora per i 150 anni, almeno a giudicare dalle recenti dimissioni di Carlo Azeglio Ciampi (con annesse polemiche) dalla presidenza del comitato dei garanti per le celebrazioni. Il Corriere decise di commemorare gli anniversari spedendo uno dei suoi inviati di punta (Cavallari sarebbe poi diventato direttore dal giugno 1981 al giugno 1984) sulle orme dei Mille. Sul giornale di domenica 8 maggio esce il pezzo dedicato alla sosta delle Camicie Rosse a Talamone. Tappa all’ insegna dello spirito giocoso e goliardico dei giovani volontari ma in realtà «estremamente seria», scrive il giornalista, perché qui «la spedizione si qualificò politicamente». Fu a Talamone che Garibaldi decise che l’ attacco al Regno borbonico sarebbe stato regio e «centrista» (diremmo noi) e non repubblicano e mazziniano. Tanto da provocare una mini-scissione: Vincenzo Brusco Omnis, sardo, rivoluzionario e massone, con qualche compagno di fede decise di abbandonare i compagni e di tornarsene a Genova (e a mangiarsi poi le mani quando arrivò il momento della gloria, viene da pensare). Quelli che rimasero erano nervosi e timorosi del futuro: a galvanizzarli, ricorda Cavallari, provvide Nino Bixio, il vice di Garibaldi. Il suo cattivo carattere faceva più paura dei Borboni.
Paolo Rastelli