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 2010  aprile 24 Sabato calendario

L’ESERCITO DEI 90 MILA IMMIGRATI A LORO 15 LICENZE SU CENTO

Quasi 15 attività commerciali al dettaglio su cento oggi, nel nostro Paese, appartengono a extracomunitari, comprese le numerosissime attività ambulanti che costituiscono spesso il primo passo verso il negozio. Si tratta di circa 90 mila lavoratori regolari che hanno ottenuto la licenza per mettersi in proprio. Sono soprattutto marocchini (38,2%), tra le comunità presenti da maggior tempo in Italia, seguiti dai cinesi (14,5%) e dai senegalesi (13,1%)
Secondo il rapporto dettagliato fornito da Unioncamere, in valore assoluto la maggior parte dei commercianti, più di 10 mila, sono localizzati in Campania: tra Napoli e Caserta si arriva già a quota 7 mila. Poi c’è la Lombardia, dove quasi la metà dei più di 9 mila dettaglianti si trova a Milano. Appena sotto la Sicilia (un terzo dei commercianti solo a Palermo) e il Lazio, con Roma che detiene il primato del numero delle attività commerciali in Italia (6.684) seguita da Torino (4.487) eMilano. In definitiva sono sempre le grandi città a attirare queste forme di attività, sia all’inizio, quando è ambulante, sia dopo, quando si struttura come bottega.
Ma è in altre parti d’Italia che il contributo dei commercianti extracomunitari sta crescendo, arrivando progressivamente a competere con quello degli italiani in questo ambito: in Sardegna il 20,3% dei dettaglianti ormai è straniero. la percentuale più alta in Italia, subito dopo ci sono Toscana, Calabria e Liguria: regioni accomunate, si dirà, dal mare e dal turismo balneare. Ma in realtà, andando a spulciare tra le città con la maggior incidenza straniera nel commercio, si scopre che al primo e al terzo posto ci sono rispettivamente Pisa ( 29,5%) e Prato (26,1%), e in mezzo a loro, Catanzaro (29,1%). Tutte cittadine non marittime ma caratterizzate da un forte flusso migratorio indirizzato in genere verso altre forme di attività, come il tessile per i cinesi, a Prato, e la manodopera agricola per i senegalesi, a Catanzaro.
 il segno che forse esiste uno spostamento o un’evoluzione verso una forma di lavoro autonomo sia pure, all’inizio, di scarso guadagno, che può essere la vendita ambulante delle stoffe o il banco al mercato della frutta. Come spiega Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori e Sociologia urbana presso l’Università di Milano e responsabile della rivista «Mondi migranti», gli immigrati intraprendono soprattutto in ambiti con basse barriere all’ingresso e ridotta necessità di investimenti, perciò i due settori dominanti sono le costruzioni e il commercio.
Esistono forme di auto-impiego che costituiscono un «rifugio» quando il lavoro non lo si è trovato o lo si è perso: «Anche in questi settori, tuttavia – spiega Ambrosini ”, gli immigrati alimentano il ricambio del fattore imprenditoriale, prendendo il posto degli italiani che lasciano. Nel caso del commercio, contribuiscono alla persistente vitalità dei mercati rionali, delle panetterie artigianali, dei chioschi di fiori, delle pizzerie e di varie forme di street food (cibo venduto in strada, ndr) ». Talvolta questo insediamento di negozi extracomunitari arricchisce l’offerta sul territorio. il caso del settore alimentare: tra ristoranti, kebab, piccoli negozi specializzati, oltre che nella vendita di prodotti artigianali più o meno originali, gli operatori economici provenienti dall’immigrazione, sottolinea il professore, sono «protagonisti di un ampliamento dell’offerta commerciale che rende più cosmopolite e culturalmente ”meticce” le nostre città».
L’altra forma di avvicinamento all’attività commerciale è invece quella che rappresenta una forma di autopromozione: l’apertura di un banco al mercato o meglio ancora di un piccolo negozio è un passo avanti nella scala sociale e non solo nell’ambito della propria comunità.
In questo scenario, l’introduzione di un esame di lingua per l’extracomunitario che voglia aprire un’attività, secondo quanto proposto dalla Lega, può costituire una barriera all’ingresso? «Il rischio c’è – sostiene José Galvez, direttore di Impresa Etnica, testata online informativa per gli immigrati che vogliano mettersi in proprio -già esistono forti paletti, come la difficoltà di ottenere un credito e la burocrazia». La controproposta? «Offrire all’immigrato che impari la lingua il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali: in questo modo gli si consente di non ricominciare tutto daccapo».
Dissente, in parte, Ambrosini: «La normativa mi pare punitiva nelle intenzioni, come spesso avviene per le iniziative della Lega sugli immigrati. Anche se potrebbe non rivelarsi così in pratica: di solito chi arriva a commerciare è una persona con una certa anzianità migratoria che sa l’italiano o è spinta ad apprenderlo dalla stessa attività che vuol fare. Sarebbe più utile richiedere una buona conoscenza delle regole, che sono per lo più ignorate».
Antonella Baccaro