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 2010  aprile 24 Sabato calendario

ATENE - La nuova odissea della Grecia, copyright del premier socialista George Papandreou, ha una rotta ad alto rischio

ATENE - La nuova odissea della Grecia, copyright del premier socialista George Papandreou, ha una rotta ad alto rischio. Con una destinazione chiara - Itaca è un rapporto deficit-Pil al 3% entro il 2013 - ma un percorso a ostacoli. Stretto tra la diffidenza dei partner Ue, spiazzati dal balletto un po’ surreale sul buco in bilancio ellenico, e una situazione sociale ad alto rischio. Non solo per il futuro di Atene, dicono le Cassandre che qui conoscono molto bene, ma anche per quello dell’Europa. Il problema - sintetizza nel suo colorato anglo-greco alla Totò il taxista Dimitris Poulos - è semplice: "Greece economy problem, car beautiful", dice ridacchiando sotto i baffi davanti ai Suv e alle superauto incolonnate nel traffico comenciniano di fronte all’Hilton e all’ambasciata Usa. Il paese è in bolletta ma i greci - è il paradosso che non va giù ai tedeschi - non se la passano male: "L’economia in nero pesa per il 25,1% del Pil", ricordano con teutonica precisione all’università di Heidelberg. Le famiglie hanno una rete di protezione robusta (il loro debito è al 48% del patrimonio, ben al di sotto della media Ue). E solo 5mila contribuenti su 11 milioni dichiarano più di 100mila euro. "Il fisco lo scorso anno ha provato a controllare a campione i 150 medici che abitano qua dietro, nelle case verso la collina di Kolonaki - racconta Helena Papadimitriou, studentessa di economia, al tavolino di un bar del quartier più "in" di Atene - Sa qual è stato il risultato? Che la metà di loro aveva un reddito inferiore ai 30mila euro e trenta ne guadagnavano meno di 10mila. Cifre ridicole, con cui da queste parti non ti paghi nemmeno il box per la macchina". La sfida del governo di Papandreou è tutta qui. Oggi ci sono due Grecie. Quella degli evasori e dei corrotti (le Fakilaki, come qui chiamano le mazzette, valgono secondo la Brookings Institution 20 miliardi l’anno) e quella della gente normale. Dipendenti pubblici (nei 5 anni del governo di centro-destra ne sono stati assunti 150mila), insegnanti, infermieri, impiegati e operai che alle elezioni dello scorso ottobre hanno messo in massa la croce sul simbolo del Pasok, il partito socialista di Papandreou. Convinti dalla sua promessa di far correre i loro stipendi più veloci dell’inflazione. E che ora si domandano se per caso non hanno sbagliato tutto. La Grecia in effetti, sette mesi dopo il voto, sembra un altro paese. "Abbiamo ereditato una nave che stava affondando", ha detto il premier. I conti dello stato erano falsi. Il rapporto deficit-Pil è stato rivisto in sei mesi dal 3,9% al 13,6%. "E la povera gente è l’unica che sta pagando" sostiene Ilias Ilioupoulos, segretario generale di Adedy, il sindacato dei dipendenti statali. Gli stipendi del settore pubblico sono stati congelati, il turnover bloccato, gli straordinari (voce fondamentale nelle buste paga elleniche) sono stati pesantemente sforbiciati. "E se arrivano i vampiri del Fondo Monetario, dovremo sputare altro sangue", urla Vassilis Papathanassiou, sindacalista comunista del Pame, agitando la sua bandiera rossa davanti alla Syntagma nel tardo pomeriggio di ieri. Messaggio chiaro: "Noi abbiamo dato, adesso fate pagare i ricchi". "Mission", nel breve, quasi "impossible". Il rischio? Che il malcontento sociale ("questo è un paese che si infiamma facilmente", chiosa l’armatore Leonidas Polemis dal suo ufficio vista Pireo) faccia deragliare i buoni propositi di Papandreou e vanifichi il massiccio sforzo finanziario di Ue ed Fmi. Il piano di stabilità firmato dal premier e dal suo ministro del tesoro George Papakonstantinou (entrambi di formazione anglosassone) ha provato a dare un segnale alzando dal 25% al 38% l’aliquota per i rendimenti oltre i 40mila dollari. Acqua fresca però per chi i propri redditi non li dichiara. E allora? Papandreou non ha dubbi: "Se questa è un’Odissea, arriveremo a Itaca rispettando il senso di giustizia". I sondaggi per ora gli danno ragione. La maggioranza del paese, dicono, è ancora con lui. Le 10mila persone che hanno sfilato allo sciopero generale anti-governativo di giovedì scorso sono pochissime per gli oceanici standard delle manifestazioni sindacali di Atene. Ma il tempo stringe. "Io l’altro giorno sono sceso in piazza- dice Nikos Coloumbis, una delle guide dell’Acropoli - Mi spiace per i turisti americani con cui avevo un impegno. Ma lavoro 10 ore al giorno per pochi euro mentre c’è chi anche in questa crisi ci sta facendo i soldi". Il rischio di implosione sociale è alto: la disoccupazione salirà quest’anno all’11,3%, due punti in più del 2009, quella giovanile sfiora il 30%. Il Pil, dopo il -2% del 2009, scenderà anche nel 2010 per l’Fmi di un altro 2% . E se persino l’Hellenic Postbank - banca a parziale controllo pubblico - compra credit default swap (è successo a fine anno scorso) per assicurarsi contro il rischio di un fallimento greco, i motivi di ottimismo sono proprio pochi. "Cosa accadrà? Una volta avrei consigliato di chiedere lumi all’oracolo di Delfi, a qualche decina di chilometri da qua". scherza Dimitris Voloudakis, mentre sorseggia un Ouzo consolatorio al bar dell’hotel Grande Bretagne, picchettato qualche ore prima dai manifestanti del Pame. Il terzo millennio però non è più epoca da indovini mitologici. Basta e avanza la Goldman Sach (Cassandra che ha dimostrato di saper fiutare dove tira il vento anche da questi parti): "I soldi di Bruxelles e del fondo non basteranno - ha vaticinato la banca Usa - Magari non sarà subito, ma Atene dovrà ristrutturare il suo debito chiedendo uno sconto ai creditori". Le tragedie in effetti sono capolavori in più atti. Oggi, in Grecia, siamo al primo. Il rischio, se Goldman ha visto giusto, è che in camerino a prepararsi per il seguito ci siano il Portogallo, l’Irlanda, la Spagna, l’Italia e - forse - persino l’euro. La Germania - se (e non è detto) vuole davvero il lieto fine - farà bene a ragionare senza troppi calcoli di convenienza al prossimo capitolo del copione.