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 2010  aprile 24 Sabato calendario

CICLONE CLEGG SUL SISTEMA DI VOTO

«Il sistema elettorale e la cultura di Westminster sono in essenza il prodotto di una politica di tipo tribale che raggiunse l’apice del successo negli anni Cinquanta, quando Tory e Labour si spartivano il 97% dei voti ». Le parole di Vernon Bogdanor, docente a Oxford di scienze politiche, fermano un’immagine che risale a molto prima del dibattito tv fra Gordon Brown, Nick Clegg, David Cameron. Molto prima, quindi, dell’emergere prepotente del terzo uomo sulla scena pubblica del paese.
Le crepe,in un sistema elettorale che dall’Italia abbiamo sempre visto come garanzia sebbene perfettibile - di stabilità politica, sono aperte da un pezzo. Da quando quattro diversi meccanismi di voto convivono nel Regno Unito. Il maggioritario secco è il più popolare, ma non è l’unico. Una forma di proporzionale, il single transferable vote,
il voto singolo trasferibile, è in vigore per la Camera dell’Irlanda del nord. Anche nelle assemblee di Scozia, Galles e Grande Londra, forti dosi di proporzionale correggono, con modalità diverse da Belfast, il maggioritario. Per il parlamento europeo si usa, invece, il proporzionale secco. Solo in occasione delle elezioni per Westminster e per le autorità locali inglesi, Londra, torna alla «dimensione tribale» che Bogdanor immagina in fase calante. E i numeri gli danno ragione: laburisti e conservatori si sono divisi il 69% dei voti nelle votazioni del 2005, contro la quasi totalità che abbiamo visto loro incassare negli anni Cinquanta. Nonostante questo il Labour ha avuto una maggioranza piuttosto rotonda, di ben 67 deputati, nelle votazioni del 2005, pur avendo raccolto nelle urne solo il 36% dei consensi.
Quella che esplode in queste ore frastagliando ulteriormente il dibattito politico di una battaglia elettorale elettrizzante e schizofrenica al tempo stesso, è questione irrisolta dell’evoluzione politica britannica. Anzi, è "la" questione. Dirompente abbastanza da poter determinare le intese nel dopo voto del 6 maggio dove le chance di un vincitore con percentuali assolute sono al lumicino. Addio al monocolore britannico? Gordon Brown lo aveva già previsto facendo mettere in calendario un referendum per lanciare una riforma elettorale dal maggioritario al cosiddetto voto alternativo.
 il modello australiano che impone di votare indicando i candidati in ordine di preferenza: le quote di chi ha preso meno sono ricalcolate distribuendo il consenso a favore di chi ne ha di più fino a quando un aspirante deputato supera la soglia del 50 per cento. « un meccanismo che piace ai laburisti conferma Peter Dunleavy, docente alla London school of economics perché consente di non ridisegnare i collegi elettorali». Un sistema che i liberaldemocratici potrebbero accettare nonostante Clegg sia un feroce assertore del proporzionale che ridarebbe al suo partito la visibilità parlamentare negata.
La distribuzione del consenso in Gran Bretagna, declinata con il sistema elettorale in vigore, premia i laburisti, penalizzai conservatori, ma soprattutto paralizza i LibDem. Secondo le proiezioni basate sugli ultimi sondaggi, poll of pools, il Labour con il 27% dei voti avrebbe, in base alle regole di oggi, 273 deputati, ma solo 177 se ci fosse il proporzionale. Con il 30% il partito di Clegg avrebbe 110 deputati con il maggioritario, a fronte dei 196 che gli garantirebbe il proporzionale. I Tory con il 33% del consenso guadagnerebbero 236 deputati, contro i 202 del proporzionale.
Per questo dal giorno della nascita, da quando, nel 1981, la "banda dei quattro" di Roy Jenkins, Shirley Williams, David Owen e Bill Rodgers, decise la scissione dal Labour fondando il Social Democratic party, nucleo forte dei LibDem, il faro che ha sempre illuminato il partito è stata la riforma del sistema elettorale.
Gordon Brown ha promesso il referendum per indurre Nick Clegg a un’eventuale accordo di governo. La leadership liberaldemocratica vorrebbe come compromesso minimo una forma rivista del voto alternativo, il cosiddetto Av+, dove il "+" indica una correzione proporzionale per una quota di parlamentari.
 da sempre la proposta considerata più realistica dai LibDem. Da dieci anni almeno, quando accadde per la prima volta quanto si sta ripetendo ora. Tony Blair, nel 1997, non era sicuro di vincere le elezioni e cercò l’ovvia intesa con i liberaldemocratici promettendo loro la riforma elettorale. Una commissione guidata da Roy Jenkins propose il sistema AV+ , ma finì in niente. «Il motivo è semplice - precisa Dunleavy Tony Blair vinse con un tale margine da non aver più bisogno di alleanze. Gordon Brown si oppose duramente al cambiamento e la cosa sfumò. Per questo credo che Nick Clegg sarà molto sospettoso».
 evidente, quindi, che la revisione del sistema elettorale è oggi la questione chiave delle trattative in corso fra gli aspiranti premier. Con una pesantissima eccezione: i conservatori. David Cameron non vuole scendere a patti. Fino ad ora, almeno, non ha dato indicazioni del genere. Il principio di "il primo prende il posto", per i Tory, resta imprescindibile, un marchio di fabbrica made in Britain, garanzia di un esecutivo forte. Sono disposti ad accettare la riduzione di una sessantina di poltrone ed adottare altre misure per risanare l’etica politica dei Comuni, sfregiata dallo scandalo dei rimborsi gonfiati. I conservatori, infatti, leggono ogni riforma parlamentare con l’ottica di chi vuole recuperare credibilità e consenso agli occhi dell’opinione pubblica, piuttosto che cambiare un sistema a cui attribuiscono la chiave della stabilità politica.
«La realtà che si è venuta definendo - continua Dunleavy - è però differente. La dimensione proporzionale in vigore nel Regno Unito sta dimostrando di funzionare. Il nostro paese è ormai multipartitico. La gente si è stancata di un’alternanza che il sistema elettorale continua a mascherare. Da molto tempo è solo una realtà apparente».