Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 23 Venerdì calendario

IL SINDACATO E LA PARTITA DEI 18 TURNI FIOM: TRATTIAMO MA NO A UN’ALTRA MELFI

La trattativa sul rilancio dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, che dovrebbe partire la prossima settimana, sarà molto difficile perché evoca il fantasma di Melfi. Tutto ruota infatti intorno alla introduzione di un’organizzazione del lavoro flessibile e intensiva, basata cioè su 18 turni settimanali. Come c’era nella fabbrica di Melfi prima della «rivolta dei 21 giorni», nella primavera del 2004, che costrinse la Fiat a ripiegare su 17 turni, rinunciando a quello dalle 14 alle 22 del sabato (che col sistema a scorrimento poteva essere lavorato dagli operai per 10 settimane consecutive).
Ma sul negoziato incombe anche il fattore tempo. L’azienda ha fretta di chiudere l’accordo col sindacato perché subordina a questo l’investimento da 700 milioni per produrre nella fabbrica campana la nuova Panda. E l’amministratore delegato, Sergio Marchionne, ha già detto che, senza intesa, sposterà l’investimento in Polonia. I sindacati appaiono divisi. Da una parte la Fiom-Cgil, indisponibile ad accordi «sotto dettatura», come dice il leader Gianni Rinaldini. Del resto, sostiene Maurizio Mascoli, segretario della Fiom della Campania, «non è interesse neanche di Fiat che sotto ricatto si sottoscriva un accordo che non regge nel tempo perché poi esplode la fabbrica per via delle condizioni di lavoro». Chiaro riferimento appunto alla mobilitazione di Melfi cavalcata dalla stessa Fiom. Dall’altra parte ci sono invece Fim-Cisl, Uilm-Uil e Fismic, disponibili all’accordo. Perché, dice Bruno Vitali, segretario nazionale della Fim, «la Fiat l’investimento lo deve fare a Pomigliano, la flessibilità è indispensabile per chi fa oggi auto e il sindacato deve saper cogliere le sfide del futuro». Ovviamente questo non significa che i sindacati dialoganti non vogliano contropartite. A partire da quelle economiche. «Bisogna aumentare le maggiorazioni notturne», dice Vitali.
La Fiat chiede anche di ridurre le pause previste per far riposare i lavoratori alle linee di montaggio. Ora ci sono 2 pause di 20 minuti per turno, la Fiat vuole portarle a 2 di 15 minuti, perché adesso le linee sono più ergonomiche (il lavoratore, per esempio, non deve piegarsi come prima o lavorare con le braccia alzate). «Se davvero ci si stanca meno, si può discutere, ma è chiaro che i 10 minuti in più di lavoro vanno retribuiti», avverte Vitali.
Ci sono poi altri due punti in discussione. La Fiat vuole poter richiamare, se necessario, il personale dagli impieghi indiretti (per esempio, il magazzino) a quelli diretti sulla linea di montaggio, tranne che non ci siano impedimenti di salute, e vuole poter distaccare il proprio personale presso ditte fornitrici in caso di bisogno. Insomma, 4 questioni difficili (18 turni, pause ridotte, mobilità interna ed esterna), anche per i sindacati dialoganti. Ma noi, dice il leader della Uilm Rocco Palombella, «intendiamo raccogliere la sfida e misurarci sul merito». L’obiettivo è più occupazione, più salario e una flessibilità controllata. «Ciò presuppone – dice Vitali’ un clima meno da caserma, con capireparto collaborativi».
La Fiom, invece, resta diffidente. Giudica positivo il piano di produrre la Panda a Pomigliano, ma dice no alla chiusura di Termini e sottolinea che secondo lo stesso Marchionne nel 2010-2011 ci sarà un forte calo delle vendite. Questo significa «montagne di cassa integrazione», spiegano gli uomini di Rinaldini. «Ecco perché vogliamo l’estensione della durata della cig, l’aumento del massimale e che anche la Fiat ci metta del suo, perché un conto è stare con 700 euro un mese, un altro starci due anni».
Enrico Marro