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 2010  aprile 23 Venerdì calendario

PUGNO DI OBAMA SU WALL STREET

Una giornata sull´orlo della crisi di nervi per l´euro e le Borse , dopo le pessime notizie sui conti della Grecia.
Il deficit 2009 di Atene – dice ora Eurostat – è di almeno mezzo punto più alto del 13 per cento finora stimato, mentre le agenzie specializzate si sono subito affrettate ad abbassare il rating del paese. In poche ora il rendimento sui titoli greci è schizzato a sei punti pieni sopra i corrispondenti tedeschi. E i corsi dell´euro ne hanno immediatamente risentito, anche perché cresce il timore di una fibrillazione contagiosa che da Atene potrebbe presto investire Lisbona e Dublino.
Sulle rive dell´Egeo forse non si sta ancora materializzando l´incubo del "default", ma comincia a concretizzarsi l´ipotesi di una ristrutturazione (ovvero dilazione delle scadenze) del debito greco come passo obbligato per evitare il guaio estremo. In sostanza l´annuncio di aiuti alla Grecia da parte dei soci europei e del Fondo monetario non ha affatto convinto i mercati. Dove si soppesano la fragilità dei conti di Atene e le difficoltà di quel governo a praticare il rigore, ma ancora più si guarda alle reiterate resistenze tedesche contro una strategia di solidarietà europea per i paesi in crisi. I tanti "nein" espressi da Berlino in queste settimane stanno così producendo frutti avvelenati che rischiano di portare al centro delle tensioni non tanto il destino della Grecia o del Portogallo ma addirittura la sorte dell´euro.
Alla luce delle posizioni assunte dal governo di Angela Merkel, infatti, sembrano affiorare scenari di un radicalismo germanico finora sconosciuto nelle sue venature eversive del processo di costruzione dell´Europa.
Appare sempre più memoria di un altro secolo l´impegno con il quale una lunga catena di cancellieri tedeschi – da Schmidt a Kohl e da ultimo Schroeder – ha governato il proprio paese tenendo ben ferma la rotta verso la costruzione di un´Europa, economicamente e politicamente integrata. Com´è logico che fosse da parte di un paese che vanta il prodotto interno lordo di gran lunga maggiore fra i soci europei. I predecessori della Merkel hanno avuto la lungimiranza di usare questo fattore di superiorità per spingere e non frenare il carro dell´unità continentale, esercitando la loro azione politica in termini di leadership del cammino europeo e non di imposizione fondata sui ruvidi rapporti di forza. Di questa ampiezza di visione sono primi testimoni proprio gli italiani.
Che, negli anni Settanta, hanno avuto il beneplacito di Schmidt (in una memorabile trattativa con Paolo Baffi) per far entrare la lira con una banda più larga nel primo nucleo dello Sme. E più di recente, hanno avuto il via a partecipare all´euro, pur in mancanza di qualche requisito previsto dal trattato di Maastricht.
Con Helmut Kohl la Germania ha sperimentato come questo suo impegno europeista fosse così apprezzato da poter essere altrettanto nobilmente ricambiato quando l´allora cancelliere sancì la riunificazione delle due Germanie con il cambio alla pari delle rispettive monete. Scelta che impose prezzi salati all´intero continente, ma che i partner accolsero proprio nel segno della solidarietà europea durante un passaggio storico di tale importanza.
Messa ora alle strette (come gli altri, ma non più degli altri) dalla crisi economica generale, la Merkel non sembra più volersi muovere nel solco di questa visione tedesca dell´Europa. Il confine fra esercizio di una leadership politica e la tentazione di prevaricare è spesso sottile. La cancelliera dà segnali di volerlo superare. Lo s´è visto con le condizioni dell´aiuto europeo imposte, per prevalente volontà tedesca, ad Atene. Sarà che per i greci è meglio indebitarsi al 5 per cento coi partner europei che all´8 o al 9 sui mercati. Ma lascia sconcertati il fatto che i benefattori – Germania per prima – possano lucrare su questa operazione dato che, per parte loro, sono in grado di raccogliere il denaro a tassi intorno al 3,5 per cento. Aiuto europeo? No, carità pelosa.
Sui mercati s´è avvertito che oggi fra i tedeschi tira una gran brutta aria sui temi europei: l´idea di correre al soccorso di paesi considerati scialacquatori appare odiosa ai contribuenti ed è giudicata irresponsabile da istituzioni autorevoli, in testa a tutte la Bundesbank. E la cancelleria di Berlino ha lasciato più volte intendere di non voler ignorare queste resistenze e non solo per contingenti convenienze elettorali, ma soprattutto perché il rigore contabile sarebbe l´abito culturale consolidato della Germania. Le pesanti perdite subite dalle grandi banche tedesche nel recente tsunami finanziario hanno dimostrato, in realtà, quanto sia posticcia questa supponente rappresentazione della disciplina teutonica. Anche in Germania, in barba all´occhiuta Bundesbank, si è fatta tanta finanza allegra.
Questo mutato "Zeitgeist" tedesco sembra sottintendere piuttosto una chiusura della Germania su se stessa e un appannamento della spinta europeista, accompagnato dall´affiorante desiderio di imporre la "lex germanica" all´Europa intera. Ma volere un´Europa unita sotto la "lex germanica" (oltre un millennio dopo Carlo Magno) significa non volere l´unità dell´Europa, perché oggi essa può realizzarsi soltanto su un modello multilaterale. Con tutto quel che sta alle sue spalle, un cancelliere tedesco all´altezza della storia dovrebbe trovare la forza dei suoi più recenti predecessori per troncare e sopire le tentazioni egocentriche montanti nel suo paese. Viceversa, nelle vesti di "Frau Nein", Angela Merkel sembra volerle cavalcarle. Come ha notato il presidente dell´Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, dicendo: «Ha guardato all´Europa con gli occhiali della politica interna, invece di guardare ai problemi interni con occhi europei». Una scelta che sui mercati è suonata come un invito a nozze per gli attacchi speculativi alle trincee più esposte dell´euro.