GIUSEPPE SALVAGGIULO, La Stampa 23/4/2010, p.13, 23 aprile 2010
I NUOVI GHETTI DI ROSARNO
Entra, vieni a vedere in che merda viviamo». Quattro mesi dopo le violenze e la cacciata di duemila africani, Rosarno ha ancora molto da dirci. E lo fa con la voce di Brahim, un ventenne del Burkina Faso che di parole italiane ne conosce poche ma giuste. Cinquecento neri, dopo un mese di esilio in giro per l’Italia, sono tornati. Non hanno più paura. Vagano da soli per le strade e nessuno li sfiora. Fanno la spesa nei supermercati. Ricaricano le bombole del gas. Comprano il pollo nelle macellerie. E si avventurano in bicicletta tra i casolari dove subivano gli agguati a sprangate, colpi di pistola e bottiglie incendiarie. Rosarno ha trovato un nuovo equilibrio: meno immigrati - quanti ne servono al mercato agricolo in crisi - e polverizzati in piccole comunità. Inoffensivi. Le bidonville da mille persone che avevano fatto inorridire il mondo, tra i ruderi delle fabbriche dismesse, sono scomparse. Ma i nuovi ghetti non sono meno fetidi e fatiscenti.
Quello di Brahim è sulla scalinata che dal belvedere sulla piana conduce alla statale, dove si arruolano i neri all’alba per 25 euro. una stanza di venti metri scarsi con quattro letti e un cucinino. Costa 50 euro mensili a persona. Affitto di mercato, spiegano gli inquilini: i capannoni in campagna, più accoglienti e dotati di servizi, sono più cari.
La Scesa Bellavista taglia in due un quartiere di casupole in tufo, per lo più a un piano. la nuova Rosarno multietnica. Altro che razzismo: qui convivono calabresi e africani e all’ora di pranzo gli idiomi si confondono. Capisci subito dove abitano gli uni e gli altri: gli indigeni dietro i balconcini tinteggiati e i portoni in anticorodal, gli immigrati tra pezzi di legno marcio, pareti scrostate, tinozze arrugginite, materassi rancidi. Nel trilocale che sta ai piedi della scalinata si contano venticinque letti. Qui vive Zare, malese: a gennaio era fuggito a Vicenza, ma lì non riusciva a campare. Ha ancora gli stivali, è appena tornato dai campi. Oggi un padrone l’ha trovato, lui. Sono le ultime arance che raccoglie: la stagione sta finendo. Tra due settimane lo aspettano le fragole di Villa Literno.
«Stare meglio di prima?», sorride amaro Brahim mentre esce per non disturbare gli amici che guardano in tv la fiction su Totò Riina. un dvd piratato che usano per imparare l’italiano. «Sono stati qui anni rinchiusi nei dormitori, non conoscono una parola», spiega don Pino De Masi, valoroso parroco di Libera che ospita i quattro immigrati feriti a gennaio e che ha appena avviato un corso di alfabetizzazione.
Brahim non ha maglietta né camicia ma indossa una bella giacca grigia di lana donata dalla Caritas. «Lavoro un giorno sì e uno no», racconta. Oggi è no. Molte arance sono rimaste sugli alberi: raccoglierle non conviene. Ma qualche bracciante serve sempre, anche a stagione finita. Gli alberi vanno potati, i campi rizollati. Un potatore italiano costa 50 euro, un nero la metà. E dunque padroni e caporali sono sempre strutturati, come dimostra un’inchiesta della Procura di Palmi che ha individuato un’associazione a delinquere di decine di persone per sfruttare il lavoro nero. Nei prossimi mesi partiranno controlli a tappeto nelle aziende agricole, «per evitare - spiega il prefetto di Reggio Luigi Varratta - che in autunno Rosarno torni una polveriera».
Quando manca il lavoro, si va a chiedere un pacco di riso a Norina Ventre, 85 anni, per tutti «Mamma Africa». Domenica scorsa erano in 120 e il cibo non bastava.
La casa di Norina è dietro l’ambulatorio della Asl riservato agli «stranieri temporaneamente presenti». I clandestini, che qui si curano senza paura di denunce. Rientrata da Torino dove si era rifugiata, la nigeriana Nancy passa spesso con il figlio di otto mesi. Il ritorno dei neri a Rosarno è testimoniato dall’attività dell’ambulatorio, nuovamente a pieno regime: 310 pazienti in un mese. Il medico, Lorenzo De Masi, li conosce tutti per nome. «Mustafà! Semp’ca stai!», scherza mentre lo visita. Ad aiutarlo due traduttrici-segretarie. L’Asl non paga gli stipendi da ottobre, ma vanno avanti. Per i neri, l’ambulatorio è un punto di riferimento come l’agenzia di Peppe Cannata per i documenti e il phone center di Carlo e Stefania, che prima di gennaio incassava centinaia di euro al giorno e dopo gli scontri appena cinque. Ora gli affari sono tornati ai livelli di un anno fa. Qui gli immigrati possono anche ricaricare gratis il cellulare. In certe case del centro storico, devono pagare da 0,50 a un euro. Soldi ben spesi: il telefono serve per le chiamate dei padroni.
L’ivoriano Fuffana non ne ha bisogno. Vive in una casupola di mattoni sulla circonvallazione. La dimora meno squallida vista qui. Può permettersela perché è un caporale. A Rosarno da dieci anni, si è conquistato un secondo nome italiano - Marco - e i padroni vanno a trovarlo a casa. All’ingresso del suo monolocale, troneggia un bidet nuovo. Solo se gli chiedi spiegazioni, il gelido caporale Fuffana quasi si commuove: «Me lo ha regalato un padrone. Non vedo l’ora di portarlo alla mia famiglia in Africa».