Gianluca Roselli, Libero 23/4/2010, 23 aprile 2010
NEL PDL CI SONO DODICI PICCOLI FINIANI
«Con questa votazione si dimostra Fini non arriva nemmeno al dieci, ma si ferma al sei per cento del partito». Alla fine della giornata un berlusconiano come Osvaldo Napoli sottolinea l’inconsistenza numerica della neonata corrente finiana, che ieri ha fatto il suo debutto ufficiale nella votazione sul documento finale della direzione nazionale del PdL. Un testo che non è per niente piaciuto al presidente della Camera. «Qui non c’è alcuna risposta alle questioni politiche da me sollevate, io parlo, ma dall’altra parte sono sordi. Si fa l’elegia del presidente del consiglio e del governo sorvolando su tutti i problemi. Questa roba non la votiamo», sono le sue parole quando gli arriva tra le mani il documento scritto dai tre coordinatori, Bondi, Verdini e La Russa.
All’inizio della giornata, infatti, c’era la possibilità che anche da parte finiana si votasse il documento della maggioranza a patto di contenere un passaggio sulla legittimità della pluralità di voci e di idee all’interno del partito. Poi la situazione è trascesa, con lo scontro quasi fisico tra i due e tutto è saltato. A quel punto, nel primo pomeriggio, Fini ha riunito i fedelissimi per ragionare sul da farsi, cercando di tenere calmi gli animi delle truppe e decidendo che nessuno dei suoi sarebbe intervenuto dal palco nel pomeriggio.
«Aspettavamo di vedere il documento, ma una vera trattativa sui contenuti non si è mai aperta», racconta un deputato vicino al presidente della Camera. Quando poi arriva il testo, i finiani vanno su tutte le furie: chiedono di votarlo per parti separate, ma la risposta del vertice del partito è negativa e allora decidono di votare contro. E infatti saranno in tredici ad esprimere voto contrario: Andrea Augello, Italo Bocchino, Roberta Angelilli, Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Donato Lamorte, Silvano Moffa, Flavia Perina, Salvatore Tatarella, Adolfo Urso, Andrea Ronchi, Francesco Pontone e Pasquale Viespoli. Meno dei diciannove previsti. Con il sospetto che l’ex leader di An abbia perso qualche pezzo per strada. «Non ci sono state defezioni, un paio sono andati via prima perché dovevano prendere l’aereo, altri erano assenti al momento del voto ma senza una finalità politica», spiegano i finiani. «Non abbiamo perso pezzi. Anzi, nelle ultime ore abbiamo conquistato due parlamentari tra gli ex azzurri», sottolinea un po’ stizzito Italo Bocchino, criticando «un documento in cui si è fatta la più pura teorizzazione del populismo, mentre noi aspettavamo risposte politiche». E proprio riguardo al vice capogruppo a Montecitorio, tra i berluscones gira voce di una possibile mozione di sfiducia dei deputati del PdL nei suoi confronti con la motivazione di non sentirsi più rappresentati da colui che è diventato il braccio destro di Fini. Il documento è stato letto davanti alla platea da Maurizio Lupi. Dopo aver espresso piena fiducia all’azione del governo e alla leadership di Berlusconi, nel testo si dice che chiaramente che «le correnti o le componenti negano la natura stessa del PdL»: è questa la parte meno gradita ai finiani. Poi continua affermando che «una volta assunta una decisione dagli organi del partito, tutti devono adeguarsi» e che «le ambizioni dei singoli non possono prevalere sull’obbiettivo di servire il popolo italiano». Un concetto ripetuto, quest’ultimo, tanto che qualcuno sorride pensando a un richiamo al gruppo maoista degli anni 70. Infine «è incomprensibile il manifestarsi di tensioni dopo una grande vittoria elettorale».
«Il testo è ampiamente deludente, non potevamo votarlo, non c’è alcuna indicazione sulle questioni politiche da noi poste», attacca Fabio Granata. Qualcuno, però, fa notare che ai finiani può andare bene così, perché è proprio il voto contrario a consentire la nascita ufficiale della minoranza. «Dopo tutto quello che è successo, sarebbe stato curioso alla fine votare un documento unitario», chiosa un senatore finiano