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 2010  aprile 19 Lunedì calendario

ROHATYN IL RICHIAMO DEL GRANDE TESSITORE – A 81

anni l’uomo che ha salvato New York dalla crisi finanziaria degli Anni 70, che è stato ambasciatore a Parigi dell’America di Bill Clinton, uno dei banchieri più influenti e ascoltati di Wall Street per oltre mezzo secolo, torna al vertice della Lazard.
Finanza d’élite Felix Rohatyn salvò New York dal dissesto negli Anni 70. Oggi, a 81 anni, avrà di nuovo il timone della prestigiosa Lazard
Felix Rohatyn aveva lavorato nella banca d’affari franco-americana dal 1948 al ’97 ed era stato capo incontrastato dell’istituto per due decenni, divenendo celebre soprattutto negli Anni 90 quando guidò grossi affari come l’acquisizione della casa cinematografica Columbia Pictures da parte dei giapponesi della Sony.
Diplomazia
A un certo punto aveva aperto una sua piccola boutique finanziaria, dedicandosi per il resto agli studi di politica estera e divenendo uno degli animatori del Council on Foreign Relations e del Center for Strategic and International Studies. Dal 2006, poi, si era messo addirittura a fare il superconsigliere per gli affari internazionali dell’ormai defunta Lehman Brothers.
Ma l’amore per la sua vecchia creatura, Lazard, non è mai venuto meno e quando, dopo l’improvvisa scomparsa del gran capo della banca (divenuta nel frattempo tutta americana), Bruce Wasserstein, il nuovo presidente e amministratore delegato della Lazard, Kenneth Jacobs, gli ha chiesto aiuto, Felix non si è tirato indietro.
Rohatyn – in passato molto noto anche in Italia come banchiere della famiglia Agnelli e come grande amico dell’Avvocato scomparso otto anni fa – non ha incarichi operativi: una che non gli è mai piaciuta nemmeno quando era più giovane. Nel suo ruolo di Special Advisor di Jacobs, un suo allievo alla Lazard, è, piuttosto, tornato ad essere l’uomo delle grandi strategie della banca in un periodo di profonda trasformazione dei mercati.
Nemico giurato degli strumenti finanziari più sofisticati ma anche rischiosi, Rohatyn avverte dall’inizio degli Anni 90 che quello dei prodotti derivati è un arsenale pericolosissimo: strumenti incontrollabili, che moltiplicano il rischio, poco capiti dagli investitori e dalle stesse banche che li maneggiano.
Normalmente la classe dirigente Usa è guidata da politici e manager più giovani di quelli dell’Europa e soprattutto di un’Italia considerata gerontocratica. Ma nella finanza, dove contano l’esperienza (e anche la proprietà degli asset), sono sempre di più numerosi i personaggi che riconquistano un ruolo di punta in età molto avanzata.
Se in Italia le banche in difficoltà richiamano i servizio la riserva degli «anziani» Mazzotta, Saviotti, Benassi, Salvatori, tornati al vertice di istituti come Mediocredito Italiano o Banco Popolare ( vedi CorrierEconomia del 12 aprile), negli Stati Uniti, oltre all’oracolo di Omaha, Warren Buffett e a «grandi vecchi» della finanza come George Soros e Carl Icahan, è il momento della riscossa di altri celebri ultraottantenni come lo stesso Rohatyn e l’ex capo della Federal Reserve Paul Volcker, ora consigliere di Barack Obama.
La sua ricetta per il ridimensionamento delle istituzioni finanziarie «troppo grandi per essere lasciate fallire» e per l’introduzione di limiti all’esposizione delle banche nella finanza speculativa più redditizia, ma anche potenzialmente destabilizzante, rimasta per qualche mese in un limbo, è diventata il cuore del progetto di riforma del sistema finanziario attualmente all’esame del Congresso.
Anche Rohatyn, come detto, predica prudenza e il ritorno ad una strategia nella quale il profitto venga fuori da affari veri e non da una girandola di operazioni speculative che infiammano i prezzi senza dare alcun contributo all’economia.
La grande passione di Felix rimane, però, quella della politica economica. L’uomo che 35 anni fa salvò New York dalla bancarotta proponendo alla città (che adottò la sua ricetta) una strategia fatta di ristrutturazione dei debiti, interventi finanziari d’emergenza e aumento di alcuni tributi, da tempo batte su un altro chiodo: per uscire dalla crisi restaurando, al tempo stesso, un grande patrimonio di opere civili che stanno diventando fatiscenti, gli Stati Uniti hanno bisogno di un programma straordinario di infrastrutture, gestito da un’apposita agenzia privata sotto controllo federale.
Progetti
L’idea, tradotta anche in un libro, «Bold Endeavours», è all’esame della Casa Bianca. E in questi giorni, nelle prime interviste concesse come banchiere «ritrovato» dalla Lazard, Rohatyn, felice come un bambino per essere tornato nella sua vecchia casa, ha sempre finito per parlare più di infrastrutture e di creazione di nuovi posti di lavoro che di Wall Street. Fino al punto di proporre, come ha fatto la settimana scorsa, la creazione di una sorta di Fondo Monetario Internazionale in versione all American per ristrutturare e ricapitalizzare le agenzie federali che gestiscono l’intervento pubblico in economia.
Rohatyn non è mai riuscito a sbarcare a Washington: la sua nomina a vicepresidente della Federal Reserve fu bloccata in Congresso dai repubblicani che lo consideravano un banchiere troppo apertamente schierato nel capo avverso. Negli Anni 90, quando Clinton scelse Bob Rubin anziché lui, vero monumento della finanza, come ministro del Tesoro, si disse che Rohatyn pagava il fatto di aver appoggiato per una volta, in campagna elettorale, non il candidato democratico (Clinton, appunto), ma l’indipendente Ross Perot.
A 81 anni non si parla certo più per lui di carriere di governo, ma il banchiere ebreo viennese fuggito dall’Europa hitleriana spera ancora di poter saldare il suo debito di riconoscenza col Paese che lo ha accolto e reso celebre rivalutando l’immagine di un intervento pubblico in economia gestito in modo non burocratico né ideologico.
Massimo Gaggi