Antonella Baccaro, Corriere della Sera 19/04/2010, 19 aprile 2010
LA VULNERABILITA’ DELLE COMPAGNIE
Circola una battuta tra i top-manager del trasporto aereo: «Ci sono due modi per diventare milionario: il primo è che qualcuno vinca la lotteria. Il secondo, che un miliardario investa in una compagnia aerea». Un modo simpatico per dire che far volare è bello ma non è detto che faccia guadagnare, soprattutto nell’ ultimo decennio. Tra il 2000 e il 2009, secondo la Iata, l’ associazione internazionale del settore, i vettori di tutto il mondo hanno bruciato 49,1 miliardi di dollari. Quello che sembrava il più invincibile e promettente dei business, così legato ai vantaggi prodotti dalla tecnologia e all’ inesorabile crescita dei passeggeri determinata dalla globalizzazione, si sta rivelando vulnerabile e aleatorio. Basti ripercorrere la storia dell’ ultimo decennio, culminata, in questi giorni, nell’ eruzione del vulcano islandese, per scoprire che non c’ è guerra, calamità naturale, epidemia, incidente che non faccia tremare i giganti dei cieli. Si può cominciare dall’ 11 settembre 2001: il crollo delle Torri Gemelle ha causato 12 miliardi di dollari di perdite e un calo del traffico aereo del 5,7%, soprattutto sulle rotte atlantiche. In un solo anno le aviolinee hanno perso, dopo gli interessi, quasi quanto avevano guadagnato nei quattro anni precedenti messi insieme. Ora, però, non bisogna immaginare che i margini di guadagno siano mai stati spaziali: il professor Andrea Boitani, tra i massimi esperti del campo, ricorda che il settore aereo ha «strutturalmente bassi profitti» e che, anche negli anni migliori (1994-98), difficilmente il margine di profitto, al netto degli interessi e delle tasse, ha superato il 3% dei ricavi. Il fatto è che il business è molto sensibile alla crescita economica, troppo legato all’ andamento del petrolio e, negli ultimi dieci anni, sottoposto al fuoco della concorrenza delle low cost che riducono i margini. Nel marzo del 2003, mentre ancora si soffre per gli effetti degli attentati terroristici, un uno-due micidiale riporta le compagnie sulla graticola: prima l’ allarme per la polmonite atipica (Sars) e poi l’ attacco Usa in Iraq, consolidano il trend in perdita, con meno 7,5 miliardi di dollari nel 2003 e un crollo del traffico aereo del 20%, concentrato questa volta soprattutto nel Medio Oriente e in Asia (-9,4%). Il 2004 potrebbe essere l’ atteso anno della svolta. Il traffico torna a salire (+14%) ma, come dice il presidente della Iata, Giovanni Bisignani, ecco arrivare inesorabile il «Quinto Cavaliere dell’ Apocalisse»: l’ aumento del greggio che reca con sé un conto da 62 miliardi di dollari che diventa di 91 nell’ anno successivo. Ancora perdite dunque, fino al 2006 quando le compagnie tornano a fare il pieno di passeggeri e, malgrado la bolletta petrolifera continui a salire, riportano i conti in attivo. I margini restano però sottili, soprattutto per la forte concorrenza delle low cost che ormai imperversano. Già nel 2008 l’ euforia è finita: inizia la fase di recessione e i conti tornano sottoterra. L’ anno scorso, come se non bastasse, scoppia l’ epidemia di «influenza suina»: immediato l’ allarme della Iata sul possibile crollo del traffico che però, alla fine, si rivela meno insidioso dell’ effetto della crisi globale che taglia le gambe a Stati Uniti e Europa e porta perdite complessive stimate in 11 miliardi di dollari. Nel febbraio scorso, i primi segnali di ripresa, deboli in Nord America, debolissimi in Europa, forti in Asia e potenti in Medio Oriente (+25,8%). la crescita che rimette in moto le compagnie, quanto ai profitti, avverte Bisignani, bisognerà ancora attendere tempi migliori. Al momento continuano a espandersi le low cost: le rivali EasyJet e Ryanair hanno annunciato che i propri conti quest’ anno saranno in utile. Vulcani permettendo.
Antonella Baccaro