Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  aprile 19 Lunedì calendario

L’ITALIA DEL RUGBY HA FATTO META NEL BUSINESS

Se l’Italrugby avesse progredito sul campo così come nel bilancio, quest’anno il Sei Nazioni non ce lo toglieva nessuno. Gli azzurri della palla ovale fanno timidi passi avanti sul piano del gioco, ma il successo dei conti della Nazionale è da primato: basti pensare che negli ultimi dieci anni la cifra attiva finale è passata da 8 miliardi di lire a quasi 38 milioni di euro. Più di nove volte tanto. Il fenomeno riguarda più in generale il mondo del rugby, che da quando nel 1995 ha ufficialmente scelto la via del professionismo si sta rivelando una miniera d’oro a tutte le latitudini. Non a caso il Financial Times ha dedicato l’ultimo numero mensile a questo sport. Concentrandosi sui risultati economici – nel 2007 la Coppa del Mondo ha generato un surplus di oltre 140 milioni di euro, grosso modo quanto ottenuto nelle tre precedenti edizioni messe insieme – ma soprattutto sulle infinite potenzialità future e i prossimi mercati, in particolare quello asiatico, ancora da scoprire. E sfruttare.
Il Sei Nazioni è il torneo più antico della storia: dal Duemila vi partecipa anche l’Italia, insieme ad Inghilterra, Irlanda, Galles, Francia e Scozia. Si gioca nelle sei capitali, dentro stadi regolarmente esauriti: quest’anno gli spettatori sono stati in tutto 1.054.654, settantamila in più rispetto al 2009.
Nell’ultima edizione l’impatto economico – vendita biglietti, trasporti, cibo e bevande, alloggi, attrazioni, merchandising, sponsor e spese marketing delle diverse organizzazioni coinvolte – è stato complessivamente di 465,43 milioni di euro. Trenta milioni in più dell’anno precedente. Lo ha rivelato una ricerca commissionata al Centre for the International Business of Sport (Cibs) da MasterCard, uno degli sponsor dell’Rbs Six Nations Championship.
In Italia il giro d’affari legato al torneo è ammontato a 37,71 milioni di euro: in testa alla classifica c’è l’Inghilterra (97,72 milioni), poi Irlanda (90,50), Francia (89,79), quindi Galles (80,16) e Scozia (69,55). Altro che crisi. Tra febbraio e marzo il Sei Nazioni è stato visto in tivù da 125 milioni di persone, con una media di 8,3 milioni a partita, e parliamo delle sole nazioni partecipanti. Non a caso France Television, che detiene i diritti in Francia, ha rinnovato il contratto per 100 milioni di euro per i prossimi quattro anni, con un incremento del 28%. In Galles le partite hanno raggiunto uno share televisivo del 65%, mentre in Irlanda il merchandising ha generato introiti per quasi tre milioni di euro a stagione.
Vale la pena di concentrarsi sul fenomeno italiano, che parte dalla base e cioè dal numero di giocatori tesserati – in dieci anni da 30.815 sono diventati 65.059, ben oltre il doppio, e per la fine dell’anno saliremo ad 80 mila – e delle squadre, 548 nel 2000 e 1.024 oggi, con un giro d’affari annuale superiore ai 90 milioni di euro.
Bilancio alla mano, la Fir è ormai al secondo posto tra gli sport italiani dietro al calcio. La pubblicità è un ottimo indicatore: dieci anni fa gli sponsor della nazionale erano 5, oggi si chiamano partners e sono 43. Mauro Antonelli, dell’ufficio marketing Fir, precisa: «Diciotto sponsor, cinque partner media. E poi ci sono i partner istituzionali». Contributi minimi? «Per essere annoverati tra gli sponsor federali, l’investimento richiesto per un anno è di 200 mila euro. La media si aggira intorno ai 300 mila euro». Merchandising. «Sta avendo una crescita costante, in occasione della partita di Milano con gli All Blacks si sono toccate delle cifre di vendita davvero importanti». Due anni fa su Roma il movimento economico in occasione delle partite con Inghilterra e Scozia era stato di 20 milioni di euro. Quest’anno la cifra si alzata del 15%.
«L’indotto generato dal Sei Nazioni è a dir poco esaltante. Per ogni partita arrivano a Roma almeno settemila tifosi stranieri». Il successo del rugby in Italia? «Sostanzialmente è il risultato di due fattori. Intanto, la cultura: entrando in contatto con questo mondo si resta stregati dal grande spirito sportivo, dal rispetto che si dimostra in campo e fuori, dalla serenità con cui si vivono le partite.
L’altro fattore è stato Calciopoli: l’ascesa del rugby è coincisa con lo scandalo del calcio, che ha fatto sicuramente disamorare molte persone allontanandole a favore delle cosiddette discipline ”minori’. E il rugby ha saputo sfruttare il momento meglio di tutti».