Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 18/4/2010, pagina 88, 18 aprile 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
8 settembre 1884
Vedi Napoli...
«La via dei Mercanti, l’avete percorsa tutta? Sarà larga dieci palmi, tanto che le carrozze non ci possono passare ed è sinuosa, si torce come un budello, le case altissime la immergono, durante le più belle giornate, in una luce scialba e morta: nel mezzo della via il ruscello è nero, fetido, non si muove, impantanato: è fatto di liscivia e di saponata rancida, una miscela fetente che imputridisce». Così Matilde Serao, napoletana, eccellente scrittrice, eccellente giornalista, si rivolge al primo ministro Depretis che ha appena fatto una visita ricognitiva in città. Non ne può più, la Serao, della «retorichetta» a base di «mare glauco e cielo di cobalto, di golfo e colline fiorite» e rovescia sul capo del governo una descrizione terrificante di quello che è l’autentico ventre di Napoli con l’aggiunta del colera. Perché il colera è arrivato in Italia. È un morbo di cui gli scienziati sanno poco: viene dall’Asia e dall’Africa e nella guerra di Crimea del 1853, in tutti gli eserciti coinvolti i morti per colera sono stati più che per la mitraglia o il cannone. Florence Nightingale, la leggendaria Signora Con La Lampada, sospetta un nesso tra il male e le condizioni igieniche, e anche la Croce Rossa diffida della sporcizia in cui sono immersi molti quartieri delle città d’Europa. Questa volta sembra sia stata una nave dalla Birmania a portare il flagello in Francia, e di lì, attraverso gli operai frontalieri, in Piemonte. Il primo caso accertato è a Saluzzo, in breve l’epidemia si diffonde in tutta Italia. Non c’è Bertolaso, ma le autorità ricorrono all’esercito: fanti, alpini, bersaglieri. Ogni città o quasi viene chiusa da un cordone sanitario e dotata di un lazzaretto, i soldati si accampano fuori dalle mura, nessuno può entrare o uscire. Rimedio estremo che non risolve il problema. Quando il colera arriva a Napoli è subito strage, considerate le condizioni purulente descritte dalla Serao. I morti sono migliaia, ministri e autorità accorrono dovunque, re Umberto visita i «bassi» senza risparmiarsi. Il colpevole è un vibrione, visibile al microscopio, che si trasmette attraverso acqua inquinata, vongole, cozze. Ma nonostante l’invettiva di Manzoni sulla caccia ai cosiddetti «untori» della peste, anche qui si riproduce lo stesso superstizioso e sinistro terrore. Sono i forestieri, sono i soldati a portare il morbo. Scoppiano tumulti e scontri in molte città. E beninteso accuse contro il governo che non fa il suo dovere. Il colera si attenua, scompare, poi ritorna in tutt’altro luogo, ora meno micidiale, ora di nuovo sterminatore, così per tre anni. Trentamila le vittime, secondo calcoli abbastanza attendibili e l’intero sistema sanitario pubblico del Paese da rifare.