Claudio Gorlier, La Stampa 18/4/2010, pagina 37, 18 aprile 2010
L’ITALIANO SENZA LIETO FINE
Nel 1826 l’instancabile Vincenzo Monti completa Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca. Vuole modernizzare e sveltire la nostra lingua, in opposizione ai «puristi». E fa bene, anche se Manzoni pochi anni dopo scriverà (e chi lo capisce più?) «Stette la spoglia immemore / orba di tanto spiro». Monti addita quale modello di dizionario agile e moderno quello della lingua inglese di Samuel Johnson, uscito nel 1755.
Nel 2010 ritorna il dibattito sull’impeachment: ultimo a rispolverarlo, in ordine di tempo, l’on. Di Pietro a proposito del Presidente Napolitano. Volete sapere chi aveva per primo codificato la parola? Il dotto Johnson, nel suo Dictionary. Probabilmente l’on. Di Pietro non lo sapeva, e ha utilizzato il ben più recente esempio della messa sotto accusa del presidente Nixon. Il divertente è che l’uso di impeachment, o quello reiterato di talk-show, al centro di un’altra ricorrente polemica politica, portano alle estreme conseguenze l’innocente e motivata proposta di Monti, proprio nel momento in cui si stanno estendendo gli inviti pressanti, rimbalzati sui giornali, a difendere la lingua italiana, con in testa la veneranda Accademia della Crusca, apprezzata - vedi un po’ - da Johnson.
E allora, chi fermerà il fenomeno che a suo tempo mi sono permesso di definire «angliano»? Nel nome, magari, di un ministero italiano, il «welfare», unico in tutta l’Europa non anglofona? Il bello sta nel fatto che da un lato l’italiano vacilla per imprecisione (il programma - scusate, il talk-show - di Bruno Vespa si dovrebbe chiamare, nel rispetto delle regole, A porta a porta) e dall’altro gli imprestiti anglofoni sono frequentemente inesatti. Tanto per fare un esempio: pare banale dire «lieto fine», ma in compenso si insiste a scrivere Happy end, laddove l’espressione inglese corretta è Happy ending.
Aveva ragione, già parecchi anni or sono, Umberto Eco a segnalare che l’italiano è ormai una lingua vecchia. Qualche tempo fa una concorrente al talk-show di Gerry Scotti confessò di non conoscere il significato di «occhi cerulei». E allora, sotto con l’angliano.