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 2010  aprile 18 Domenica calendario

COME TREMILA ANNI FA

Magari tra un po’ si ferma. Poi magari riprende. E se facesse così per qualche anno, per qualche decennio, il vulcano islandese dal nome impronunciabile?
Per immaginarne le conseguenze possiamo rivolgerci a un precedente lontano, ma istruttivo. 1500 avanti Cristo, Mar Egeo: a Thera, l’odierna Santorini favolosa meta di vacanze, succede il finimondo. Allora l’isola non era come si presenta oggi, una mezzaluna accidentata, era una bella isola tondeggiante. L’esplosione del vulcano la ridusse come è ora. Ma gli effetti si fecero sentire anche a 120 chilometri di distanza verso Sud, a Creta.
Molti studiosi hanno messo in relazione la catastrofe di Santorini con il collasso della potenza minoica: una serie di terremoti, l’onda d’urto di uno tsunami, la pioggia di fuoco e cenere avrebbero minato la potenza cretese, che di lì a poco cadde in mano ai micenei. In realtà, come hanno dimostrato le ricerche più recenti, tra i due fenomeni passano almeno cinquant’anni, e non è possibile stabilire una relazione immediata e diretta. Ma indiretta sì, certamente.
Subito dopo l’esplosione, un diluvio di pomice si riversò su Santorini ricoprendone la superficie per diversi centimetri - come è accaduto anche nel 1883 a Krakatoa. Tempo qualche mese e il vulcano ricominciò a vomitare senza freni. Negli anni, nei decenni successivi gran parte del Mediterraneo si ricoprì di uno spesso strato di materiale vulcanico galleggiante che rendeva difficile, pericolosa, sconsigliabile la navigazione. Le navi cretesi, arma vincente della talassocrazia minoica, strumento di potere politico e commerciale, dondolavano mestamente in rada. Così nel 1450 fu facile per i micenei sbaragliare la estenuata ex potenza.
Le vie del mare allora, come oggi quelle del cielo. Le comunicazioni impedite, l’economia che ristagna. Una civiltà a rischio. Questa volta a traballare è la globalizzazione. E a qualcuno non dispiacerà neppure.