Barbara Romano, Libero 18/4/2010, 18 aprile 2010
«SILVIO, HO PRESO MANTOVA PER TE. ORA TELEFONAMI»
[Intervista a Nicola Sodano]
«Visto che bel miracolo abbiamo fatto qui a Mantova?», gongola il neosindaco del PdL Nicola Sodano spalancando la finestra del suo ufficio in municipio. «Qui si sente ancora puzza di vecchio, ma vedrà che respirerà tutt’altra aria quando tornerà la prossima volta. Troverà anche tanti bei quadri alle pareti». In effetti è un po’ spoglio lo studio del ”Giucas Casella” della città dei Gonzaga. Più che puzza di vecchio, qui c’è aria di trasloco. Gli unici complementi d’arredo sono le due fasce tricolori appese all’attaccapanni. Una è di Sodano. L’altra, lunga quasi la metà, è dell’ex sindaco del Pd, Flavia Brioni, che non pensava affatto di dover sloggiare dal palazzo comunale. Men che meno lo pensavano D’Alema & co, che, reduci dalla débacle delle Regionali, si sono aggrappati all’ultima roccaforte rossa della Lombardia andandoci a metterci la faccia in campagna elettorale, soprattutto ai supplementari per il ballottaggio. Pier Luigi Bersani si è sbilanciato al punto di dire: «Il voto a Mantova non è solo amministrativo ma è politico. Abbiamo bisogno di dimostrare che il centrosinistra è forza del territorio». Appunto. «Bersani si è portato sfiga da solo», sferza Sodano, «ma mica solo lui. Qui a Mantova con lui sono venuti D’Alema e Fassino. Quando li ho visti tutti e tre sul palco, essendo io molto scaramantico, ho detto: qui vinciamo di sicuro».
L’ha chiamato Bersani per ringraziarlo?
«No, suonerebbe come un sfottò. Mi piacerebbe incontrarlo, però, per insegnargli cosa interessa veramente alla sua gente, perché io sono stato votato da persone di sinistra».
Quanti voti pensa di aver avuto dalla sinistra?
«Tutti quelli che ho preso in più al ballottaggio: il 30%, circa tremila». Per una scommessa analoga, D’Alema fu costretto a dimettersi da premier a causa della vittoria del centrodestra in Liguria. Bersani dovrebbe dimettersi da segretario del Pd?
«Mantova è una piccola cosa, sarebbe presuntuoso da parte mia pretendere che Bersani si dimettesse. Mi basterebbe che facesse mea culpa».
Come diavolo ha fatto ad abbattere il muro rosso di Mantova dopo 65 anni? «Innanzitutto, mi sono giocato bene la partita nel PdL. Ho assecondato il pensiero comune nel centrodestra secondo cui tanto non è che qua si vinceva. Quindi, non c’è stata la corsa a candidarsi. Infatti, quello a cui era stata proposta la candidatura, Enzo Lucchini, vicepresidente del Consiglio regionale, personaggio molto più importante di me, aveva detto: ”Non ci penso nemmeno”».
Non le secca essere stato la seconda scelta?
«No, perché io vengo dalla gavetta: ho cominciato come consigliere circoscrizionale, poi provinciale. Ho imparato che il traguardo lo tagli per primo se allo sprint finale ci arrivi un po’ defilato, ma con ancora tanto fiato per dare la spallata finale».
Come ha fatto a convertire 300 elettori che avevano sempre votato a sinistra, molti dal dopoguerra? «Ho rivendicato autonomia dai partiti e ho impostato la campagna che vuole la gente. Non sono andato nei posti dove normalmente prendiamo voti noi». E dove?
«Sono andato nelle Rsu, ho incontrato gli operai all’uscita delle fabbriche, ho battuto i quartieri delle case popolari, ho promosso iniziative nei circoli Arci, ho allestito quattro gazebo al giorno nei quartieri di periferia, con il risotto, il lambrusco e pane e salame. Ho fatto una campagna on the road».
Avrà pure fatto campagna tra i poveri, ma il primo ”in bocca al lupo” gliel’ha dato la leader degli industriali Emma Marcegaglia, mantovana come lei.
«Perché è capitata la concomitanza dell’assemblea di Confindustria». Ora non vorrà far credere che snobba gli industriali e che non ha cercato il loro voto.
«No, ma ho fatto un discorso chiaro agli imprenditori. Gli ho detto che ho bisogno di loro, perché il Comune non ha i soldi per riparare le buche nei marciapiedi, né per riparare i controsoffitti delle scuole. Il futuro è fatto di municipi che apriranno un progetto di sussidiarietà con il mondo dell’impresa, come fa Roberto Formigoni in Lombardia da quindici anni. E poi, ho detto: basta conflitti. Ci sono oltre cento contenziosi in atto tra l’amministrazione comunale e gli imprenditori. Una spada di Damocle che pende sul Comune di Mantova di oltre 120 milioni di euro di risarcimento danni».
riuscito ad ottenere una sanatoria?
«Sì, siamo riusciti a trovare una mediazione alta che non mortifica i privati e tutela la città». Che rapporto ha con la Marcegaglia? «L’ho incontrata per la prima volta in quest’occasione».
Altro imprenditore mantovano di livello è Matteo Colaninno, deputato del Pd. «Ha investito in questa campagna elettorale per la Brioni, si è molto speso per far venire i big del Pd. Non è venuto al convegno della Marcegaglia perché ha detto che aveva degli impegni. Secondo me, aveva fiutato che non era aria...».
Vi destate così tanto?
«Affatto. stato uno dei primi a telefonarmi. Mi ha dato il suo numero di cellulare, mi ha fatto i complimenti e mi ha invitato a una sua iniziativa il 23 aprile».
Per la Brioni si è scomodato tutto lo stato maggiore del Pd, per lei non s’è visto nessuno. «S’è visto il mio grande amico e grande maestro di politica che è il sottosegretario alle Infrastrutture Mario Mantovani. Mi ha dato lui tutti i consigli e ha escogitato un tocco magistrale per il mio comizio finale».
Sentiamo.
«Io ero abbastanza giù di corda: ”Mario”, gli ho detto, ”qui ci sono tutti i vip della sinistra. Che facciamo?”. ”Non preoccuparti”, mi ha risposto, ”vengo io, assieme a tutti gli amici sindaci che abbiamo in giro”. Mantovani è anche sindaco di Arconte, d’estate facciamo sempre una settimana insieme a Igea Marina e, negli anni, i nostri amici della zona sono diventati sindaci e sono venuti tutti a sostenermi l’ultima sera della campagna elettorale. Il pomeriggio era venuto anche Formigoni».
Anche lei è nell’esercito ciellino del ”Celeste”?
«No, ma provengo dal mondo cattolico, sono stato sette anni responsabile provinciale dell’Agesci, l’associazione degli scout». Lei ha fama di baciapile.
«Forse perché sono stato anche responsabile dell’associazione diocesana delle aggregazioni laicali. E poi, sa che faccio l’architetto, no?». Scommetto che restaura chiese.
«Esatto».
Quante ne ha restaurate?
«A Mantova le più importanti: la chiesa di Sant’Orsola e la chiesa di Ognissanti. Ho restaurato anche diverse chiese in provincia. Poi ho avuto l’onore di progettare un restauro su commissione del presidente della Cei, il cardinal Angelo Bagnasco».
Che restauro?
«Il santuario della Madonna dell’acqua santa a Genova».
Ha mai pensato di prendere i voti (sacerdotali)?
«No. Mio figlio più grande ha fatto le medie in seminario, ma da laico. E mio figlio piccolo frequenta una scuola privata cattolica». Nella biografia sul suo sito lei vanta «una lunga esperienza nel volontariato educativo cattolico». Ha fatto l’insegnante di catechismo?
«Per qualche anno. Ma soprattutto ho fatto il capo-scout». Al primo turno lei aveva perso 35,7% a 40,7. Si è raccomandato a qualche santo o si è dopato per recuperare oltre 7 punti in due settimane?
«Ho fatto esattamente quello che avevo fatto per il primo turno, anzi, meno. La prima settimana per il ballottaggio corrispondeva con Pasqua. Loro hanno fatto campagna elettorale giovedì, venerdì e sabato santo. Pure la domenica di Pasqua. E in pieno triduo pasquale, sui gradini della chiesa di Sant’Andrea, hanno fatto una manifestazione di stampo vetero-femminista: solo donne, tutte vecchie e brutte. Io, invece, ho imposto il coprifuoco. Ho detto: ”Bisogna santificare le feste”. E siamo spariti».
Continuerà a fare l’architetto da sindaco?
«Farò il sindaco la mattina e l’architetto il pomeriggio. Non posso mollare lo studio, anche perché ho delle responsabilità nei confronti della gente che ci lavora. Ma ho già visto che mi piace fare il sindaco».
Che c’azzecca un architetto con la politica?
«Ho sempre fatto politica per passione. E per caso, perché nel ”95 era candidato sindaco di Mantova un mio amico medico, Marco Ghirardini, che adesso è diventato mio consigliere comunale. Sedici anni fa mi chiamò dicendomi che gli serviva un architetto per la campagna elettorale. Io gli chiesi: ”Ma quanto c’è da impegnarsi?”, lui mi rispose: ”Fino alle elezioni”. Invece, la politica mi appassionò e non l’ho più mollata. Ma non ho mai preso un soldo».
Tosto essere di centrodestra a Mantova?
«Adesso non più. Ma nel ”95, se andavi in giro a dire ”sono di Forza Italia”, prendevi sberle». Lei è un forzista della prima ora. «Mi iscrissi a Forza Italia nel 1994, ho la tessera 360».
Quando ha conosciuto Berlusconi
«Mai».
Mai incontrato il Cavaliere?
«Mai».
Non l’ha chiamata per complimentarsi con lei?
«Ancora no».
Lo chiami lei, no? E gli dica: «Pronto presidente, qui è il ”miracolo” che le parla». «Sa che è un’idea? Se non mi chiama entro la fine del mese, lo invito a Mantova».
Lei è la conferma microcosmica dell’asse vincente Pdl-Lega. «Senza il 10% della Lega io non andavo da nessuna parte. I leghisti mi ha dato una gran mano in campagna elettorale».
Ma lo sanno che lei è terrone?
«Lo sanno, lo sanno. Quando intervengo in consiglio provinciale, un collega superleghista, Lamagni, dice sempre: ”Adesso diamo la parola all’ambasciatore della Calabria saudita».
Lei è nato a Crotone. Fino a che età ha vissuto in ”Calabria saudita”? «Fino a 12 anni. Anche mia mamma è di Crotone, mio papà di Bari, mia moglie di Mantova e mio suocero di Merano. Ho tutta l’Italia in famiglia». Cosa ricorda di Crotone? «Il mare e la luce. Qui non ci sono. L’azzurro l’ho ritrovato in politica, ma non è come il cielo calabrese».
Il governatore della Calabria, Giuseppe Scopelliti, non ha accettato di candidare il figlio di un dirigente locale del Pd che aveva sostenuto la giunta Loiero. Lei, invece, non c’ha pensato due volte a imbarcare tre assessori voltagabbana della Brioni.
«Sfatiamo certe dicerie. Chi è stato dichiaratamente al mio fianco fin dall’inizio è stato uno di questi tre: Piccinelli, ex assessore al Bilancio, della Margherita, e abbiamo candidato nel PdL una persona da lui indicata. Gli altri due assessori mi hanno dato il sostegno, come tantissimi altri esponenti del Pd mantovano, altrimenti non avrei vinto. C’è stata una diaspora della componente ex comunista, per non parlare poi della componente margheritina».
La Brioni si è pentita di non averli cacciati prima e dice che si sono schierati con lei prendendo accordi prima. Cosa ha promesso ai tre assessori in caso di vittoria?
«Il cambiamento».
La Brioni ha detto di aver perso perché un sindaco donna a Mantova non è mai piaciuto. «Non è vero, ci sono stati altri due sindaci donna».
Ha sentito la Brioni dopo le elezioni?
«Sono andato a trovarla appena eletto, l’ho abbracciata e le ho detto: ”Fiorenza, scusa”». Cos’è, un attacco di sindrome di Stoccolma? «Sì, perché, conoscendola, sapevo che per lei è stata una bella botta. Questi qui erano proprio convinti di vincere. L’altro ieri è venuta a trovarmi lei. ancora un po’ provata. Siamo amici ed ha avuto modo di apprezzarmi quando io venivo qui da architetto e lei mi accoglieva come sindaco. E siamo colleghi in consiglio provinciale. Non ci crede neanche lei quando dice che Mantova non ama un sindaco donna».
Il PdL mantovano le donne non le ama di sicuro, non ce n’è neanche una tra 24 nuovi consiglieri comunali. «Noi le mettiamo il lista, ma l’elettorato non le vota». Se voi ne metteste di più... «Ne ho messe apposta poche, per farle votare. Però ho rimediato scegliendo un vicesindaco donna».
Non è che l’ha scelta, gliel’ha imposta la Lega.
«Assolutamente no, anzi, la Lega voleva un uomo per quel posto». Non le crea imbarazzo aver vinto al ballottaggio grazie all’appoggio di Antonino Zaniboni, altro frondista del Pd che, pur di far perdere la Brioni, ha fatto confluire su di lei il 9,93% che aveva totalizzato al primo turno?
«Non c’è stato mica apparentamento. Lui ha fatto la sua battaglia contro il Pd, che si è letteralmente frantumato a Mantova». Verrebbe da pensare che lei abbia vinto più per demerito altrui che per merito suo.
«Se loro fossero stati la corazzata Potëmkin che sono sempre stati, io non avrei vinto mica. Ma neanche Berlusconi, né Batman». Da piccolo sognava di fare il sindaco o l’architetto?
«Ho sempre pensato di fare l’architetto, anche se vengo da una famiglia povera». Che mestiere facevano i suoi genitori? «Mio papà era ferroviere, mia mamma casalinga. Sono sempre stato bravo a scuola. Finite le medie, volevo fare il liceo. Ma mio padre disse che dovevo prendere un diploma per lavorare. Quindi ho fatto il Geometra. Finite le superiori dissi a mio padre che volevo andare all’università, ma lui mi rispose che non aveva i soldi. Ma vinsi un concorso come geometra in questo Comune che mi permise di pagarmi gli studi».
E che effetto le ha fatto rivarcare da sindaco la porta del Comune? «Non ho ancora ben realizzato la cosa. Siccome mia moglie non ha la patente, sono condannato ad accompagnare sempre all’alba i miei tre figli a scuola, anche adesso. L’altra mattina sono passato dal giornalaio, ho aperto il giornale e c’ero io in prima pagina con la fascia tricolore: ho provato ancora meraviglia. Poi ieri, i miei collaboratori mi hanno fatto notare che non sono andato a trovare le autorità più importanti. Ho fatto mente locale è ho detto: ”Va bene, andiamo dai soliti quattro: il vescovo, il prefetto, il presidente della provincia e il sindaco”. Il mio capo di gabinetto mi guarda e mi fa: ”Ma guardi che è lei il sindaco”».
Cos’ha fatto mercoledì appena si è insediato?
«Ho nominato i dirigenti dei settori del Comune: di dieci, quattro erano vacanti. Poi ho avviato le procedure per il Consiglio comunale e adesso sto lavorando alla giunta».
vero che ha in serbo un ”repulisti” al Comune?
«No, erano tutti terrorizzati. ”Non è che qui è arrivato Annibale”, li ho tranquillizzati, confermando tutto il personale della segreteria del sindaco. Ma non si può mantenere tutto, intendo dare un segnale di novità e ho individuato un criterio».
Sarebbe?
«Chi è qui in Comune rimane qui, anche nell’ambito dei miei collaboratori più diretti. Il personale e i dirigenti io intendo mantenerli tutti e valorizzarli. Con quelli che vorranno lavorare con me, voglio costruire un rapporto fiduciario, a partire dal capo ufficio stampa, che era un militante del Pd. Ma gli assessori cambieranno tutti».
Gira voce che lei intende sostituire, Salvatore Settis, l’attuale presidente di Palazzo Te, il centro di arte e cultura più importante di Mantova. «I dirigenti degli enti partecipati intendo sostituirli tutti, salvo casi particolarissimi».
Chiuderà i campi nomadi?
«Ieri i nomadi sono venuti a trovarmi terrorizzati dalla Lega. Li ho rassicurati garantendo che faremo le cose insieme. C’è un progetto in atto per la chiusura del campo nomadi che io condivido perché quello che c’è qui non degno di una città come Mantova».
Bella rassicurazione.
«Gli stessi rom vogliono che sia chiuso il campo nomadi». E dove li sistemerete? «C’è un progetto di integrazione dei nomadi nei quartieri».
Sarà difficile far digerire questo progetto alla Lega. «Mi sono mangiato i rossi a Mantova, figurarsi i verdi della Lega».