GIUSEPPE TURANI, la Repubblica 18/4/2010, 18 aprile 2010
BOSSI E IL CREDITO RITORNO AL PASSATO
La zampata di Bossi sulle banche del nord riapre molti interrogativi nell´intreccio tra finanza, politica ed equilibri di potere. Da qualche anno infatti la fine dell´Iri e l´indebolimento di certi assi tra partiti storicamente interessati a sfruttare la politica per ottenere poltrone e poteri nel consigli delle banche avevano consentito privatizzazioni quasi totalmente reali.
C´era, e c´è, lo strapotere delle fondazioni che, come disse Giuliano Amato, cioè colui che le ideò e le promosse, sono e resteranno delle vere e proprie mostruosità (la loro presenza nel sistema, che doveva essere solo temporanea, è poi diventata permanente).
Però negli ultimi anni non si era avuta l´impressione che avessero esagerato nello sfruttare il loro potere. E i vari Passera, Profumo, Mussari hanno operato relativamente tranquilli.
D´altra parte le fondazioni (che sono soggetti del tutto anomali perché non devono rispondere a nessuno) avevano dividendi enormi, che distribuivano sul territorio per la gioia di tutti. Dall´anno scorso però il flusso dei dividendi è stato falcidiato dalla crisi. E le banche stesse stanno pensando più ad aumentare il capitale (per mettersi a posto e per garantirsi) che a dare soldi agli azionisti. Inoltre - anche se sul fenomeno c´è un velo di omertà - alcune fondazioni hanno perso centinaia di milioni in operazioni strampalate sui derivati, ingannate come tanti enti pubblici da intermediari senza scrupoli.
Insomma, la grande torta degli anni scorsi si è fatta molto più piccola, ma l´appetito dei "padroni" dei territori è sempre quello.
E quindi le lotte per le nomine dei nuovi consigli delle fondazioni e per quelle nelle posizioni chiave nei vertici delle banche stanno cominciando ad essere più dure, come sempre nei momenti di crisi.
A questo si aggiunga che la pubblica amministrazione non ha più soldi (anzi, ha deficit spaventosi). Gli unici soldi esistenti stanno nelle banche e allora ecco che gli ultimi arrivati, quelli della Lega, vogliono andare all´assalto degli istituti di credito. Vogliono, in qualche modo, dire la loro sulla direzione dei flussi di denaro che dalle banche vanno al mercato, alle imprese. Vogliono tornare, in sostanza, a oltre venti anni fa, quando il credito era tutto in mano ai politici (salvo qualche rara eccezione) e i soldi venivano dati sulla base di amicizie, raccomandazioni, tangenti.
E già questo fa un po´ impressione perché negli ultimi vent´anni ci sembrava che la separazione fra banche e politica fosse un dato acquisito, permanente, del sistema Italia. Ma evidentemente non era così. O, almeno, non è così per la Lega, che al Nord ha tanti "amici" a cui deve qualcosa.
Ma proprio in materia di credito la Lega ha precedenti orrendi. Tutti ricordano la vicenda Creditnord, la banca che la Lega volle a tutti i costi per sé e che è stata salvata dal dissesto dopo poco più di un anno dall´avvio dell´attività. Lì infatti si prestavano i soldi solo agli amici e agli amici degli amici. Altro che rating, Basilea o altro. Clientelismo puro come ai tempi del vecchio Banco di Napoli o del "vecchio" Banco di Sicilia. Un disastro sul piano economico che al sistema è poi costato moltissimi soldi.
Adesso si ha l´impressione che si voglia ripetere il film Creditnord, ma su scala molto più vasta, utilizzando banche nazionali con milioni di depositanti e di azionisti (anche internazionali). E a questo punto ci si domanda: ma la Banca d´Italia, gli azionisti di minoranza (visto che quasi tutte le banche a cui si riferisce Bossi sono quotate in borsa o comunque hanno un azionariato molto diffuso) e tutte le nuove regole sulla governance, dove sono? La verità è che in un sistema ordinato, ben organizzato, Bossi non ha alcun titolo per occuparsi delle banche. I suoi amministratori possono occuparsi di lampioni, scuole, ospedali, ecc. Le banche vanno lasciate al mercato. O vogliamo diventare lo zimbello del mondo anche su queste cose?