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 2010  aprile 18 Domenica calendario

PANNELLA "DA TOGLIATTI A WOJTYLA I MIEI 80 ANNI DA SOPRAVVISSUTO"

Non è esattamente un tipo da anniversari né da ricorrenze Marco Pannella, che il 2 maggio compie 80 anni. Così si è inventato uno strano calcolo per aggirare il suo compleanno rifilando ai festevoli amici l´inconfutabile certezza che quel giorno lui sarà entrato nell´ottantunesimo. Però poi di colpo ridacchia: «Io, povero vecchio!». E´ un esorcismo? «No, è un gusto». E si alza in piedi: gigantesco, slanciato, ingombrante, come sempre.
Stesso partito, d´altra parte. Stessa casa, dietro Fontana di Trevi: grande e buia, lo studio nella cucina dove un giorno fece mangiare Berlusconi e Letta. Giorni orsono l´hanno ingiustamente accusato di godersi un solarium abusivo: «Un che?» ruggisce divertito. Siano 80 o 81 anni, la sua vita non è mutata. Gli piace ancora di pensarla all´insegna dell´«onorevole mendicità dei chierici vaganti».
Pannella non possiede né guida l´automobile. Spende i suoi soldi solo in tabacco, taxi e partito radicale. Tra i primi, nel 1985, con Agorà, ha intuito le risorse delle nuove tecnologie, ma non sa usare il pc». E´ fermo al fax, assistito da pazienti individui che gli tengono una fittissima corrispondenza. In compenso possiede due telefonini e messaggia in modo forsennato. Poi siccome quasi mai si basta, ha anche pronto da anni un libro tutto di mail e sms: un romantico scandaloso telematico romanzo di formazione sentimentale che ha fatto a tempo a invecchiare in un cassetto. Il fatto che (ancora) non sia stato pubblicato - e gli cala un´ombra sul viso - «è una delle più grandi sconfitte della mia vita».
Va a mangiare sotto il partito, in un bar-ristorante che lui chiama «Il lucano», dove è di casa, fa il burbero e gioca con i camerieri; per pranzo ordina un bicchierone di birra e 250 grammi di spaghetti al pomodoro, una montagna, che poi divide con il commensale, una specie di cerimonia; intanto fuma il toscanello, una mezza dozzina di Marlboro e al termine vuole pure la sambuca con i chicchi di caffè galleggianti, ma in numero dispari, per scaramanzia, e siccome sono pari fa un numero pazzesco.
Se proprio occorre trovare qualche cambiamento, riguarda l´estetica e quindi ora Pannella ha il codino. Si mette di profilo, eccolo: «Mi dicono Pirata, Gentiluomo del Settecento, Capo Indiano». Va da sé che nel tempo della personalizzazione, lo «Zio Marco», come pure si è auto-battezzato, annichilisce qualsiasi concorrenza narrativa. Con il che si rende noto che uno sciamano, addirittura, gli ha amichevolmente tirato il suddetto codino; mentre Emma e Mirella, che sarebbero la Bonino e la sua compagna di vita, dissentono, perciò Marco gioiosamente teme che le due si mettano d´accordo per tagliargli nel sonno la temeraria acconciatura, come due Dalile per un unico Sansone, raddoppio biblico all´altezza del personaggio.
Quisquilie, forse. Ma fino a un certo punto, perché in nessun altro come in lui si sono fuse anzitempo, anzi profeticamente, la sfera personale e quella politica, con il risultato che Pannella è l´unico vero Sopravvissuto della Prima e della Seconda Repubblica.
«In molte cose - racconta - più che mentire ho lasciato che gli altri sbagliassero sui miei reali connotati. Mi scocciava, ad esempio, che i vecchi liberali avessero un atteggiamento di estraneità rispetto a certe pratiche che pure noi difendevamo. Per questo mi sono assunto, ci siamo assunti in toto la responsabilità presentando noi stessi come drogati, noi omosessuali, noi traditori della patria».
Racconta Pannella di aver fumato cannabis tre sole volte in vita sua. La prima insieme con il figlio problematico di alcuni suoi amici: «Fu una prova di amicizia»; la seconda durante una marcia militarista, di notte, in un camerone puzzolente: «Uscì fuori della cocaina. Fu la prima e l´unica volta che la vidi. Chiesi allora: a me fatemi uno spinello». Infine quando si fece arrestare: «Ma me l´ero acceso dalla parte del filtro».
Raro trovare un politico che i ricordi mettano di buon umore: «Anche come frocio lascio molto a desiderare». Ben oltre la categoria dell´orientamento sessuale, per Pannella è sempre stato molto importante «dare parola, volto, mano, corpo, ma letteralmente». Impossibile fermarlo, difficile anche solo presentargli l´agenda di una conversazione - e non solo perché ogni sua risposta inizia con «no» o un «no, ma». Pannella resta il più virtuoso e prodigo giocoliere della parola: sorprende, annoda, divaga, dà per scontato, «quelli lì» dice indicando in direzione del Tevere, per esempio, è da riferirsi al Vaticano. E insiste, distoglie, lascia aperte le frasi, quindi le collega e si compiace del risultato seguitando ad aprire imperscrutabili virgolette. Dietro a tutto questo ci sono cinquant´anni di storia patria, da lui vissuta per lo più in modo caotico, ma specialissimamente cristallino.
Quello scambio di lettere con Togliatti; un capodanno sulle nevi con Berlusconi e Veronica; un numero incalcolabile di arresti, di mani addosso, di sputi, di censure, di scioperi della fame; una notte a casa Agnelli per spillare quattrini per il Pr; un costume da clown, uno da babbo Natale, un altro da babbo Natale, però giallo, un mantello da fantasma; una carezza da Wojtyla; quel consiglio a Bettino: «Torna e fatti mettere in galera»; quel tè rovesciato addosso a Berlinguer... Cosa non è accaduto a Pannella!
Ma soprattutto: «La strada mi è amica» garantisce. Vero, basta camminare al suo fianco: il suo magnetismo continua ad attrarre gli impiegati, le nonne, i coatti, i fidanzatini, pure i bambini piccolissimi, cui insegna a fare la pernacchia. Sembra una frase fatta, per giunta retorica, ma per Pannella è decisivo fare sorridere chi gli sta vicino.
Non sempre, com´è ovvio, ci riesce. Compone piccolissime poesie, tipo haiku. Da giovane tentò il suicidio. Più che nell´Aldilà crede nella «compresenza dei morti e dei viventi», concezione buddista, la vita è eterna, quando uno «muore» miliardi di atomi se ne vanno nell´aria, come miliardi di pensieri, come miliardi di Budda, gli ha spiegato la direttrice del museo di astrofisica di Dharamsala. E comunque: «Lentamente muore chi ha paura di morire. Io spero di accoglierla con grande famigliarità, spero che in un qualsiasi momento, soprattutto la notte, quella arrivi e io possa darle il benvenuto, felice di trovarmi così, ehi, vieni, vieni qui». Sorride, Pannellone. Non riesce a immaginarsi i suoi funerali: «Magari, per fregarvi, non li rendo nemmeno pubblici. Bisognerà vedere se per il partito sono convenienti o no. Il partito è per me una ragione oggettiva di vita. La mia vita dopo tutto è la storia del partito e come coautori ha i compagni, i radicali ignoti. Io sono una persona comune e qui sta il segreto della durata».