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 2010  aprile 18 Domenica calendario

ARTE ITALIANA IN FRANCIA MEGLIO LASCIARLA DOV’

Visitando i musei francesi si rimane impressionati dalla quantità di opere d’arte italiane esposte, in gran parte frutto delle razzie dell’esercito napoleonico. Perché l’Italia non ne chiede la restituzione? Esiste forse qualche trattato in proposito?
Antonio Gittardi gittardi@noos.fr
Caro Gittardi, le opere che lei ha visto nei musei francesi provengono in buona parte da acquisizioni legali. Molto di ciò che era stato trasportato in Francia durante il periodo napoleonico (fra cui i cavalli di San Marco) ritornò in Italia dopo la fine delle guerre, nel 1815, grazie all’impegno di una delegazione presieduta da Antonio Canova, lo scultore che negli anni precedenti era stato il ritrattista ufficiale dell’imperatore. Alcune opere, fra cui Le nozze di Cana di Paolo Veronese, rimasero in Francia perché Canova ritenne che un nuovo trasporto avrebbe nuociuto alla conservazione dei dipinti. Non dimentichi infine che la Francia è stata sin dal Rinascimento una costante acquirente di arte italiana. La Gioconda e altri quadri che Leonardo aveva portato con sé nel castello di Amboise sarebbero stati venduti a Parigi, forse da un allievo prediletto di Leonardo, Gian Giacomo Caprotti detto il Salaino. Mazzarino commissionò opere di Bernini e acquistò la collezione romana del duca Sannesio. Napoleone comperò la collezione del principe Borghese, marito di sua sorella Paolina. E Napoleone III comprò buona parte di una collezione romana: una storia che merita di essere raccontata.
La collezione apparteneva al marchese Giampietro Campana, direttore del Monte di Pietà degli Stati pontifici e appassionato archeologo. Nel corso della sua vita aveva raccolto soprattutto gioielli antichi, ma anche quei «fondi oro» della pittura medioevale che saranno apprezzati soltanto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Era molto conosciuto in Europa e aveva fama di uomo colto, intelligente, amante delle arti e grande conoscitore della gioielleria antica. Ma la sua vita fu travolta da uno scandalo. Accusato di peculato e malversazioni, venne processato, condannato a venti anni di carcere e privato della collezione che andò all’asta per compensare i danni subiti dall’erario degli Stati pontifici. Quando giunsero in Francia, le opere comperate da Napoleone III furono divise tra il Louvre, che ebbe soprattutto i gioielli, e i musei di provincia, a cui andarono i fondi oro, allora poco amati. Negli ultimi anni i fondi oro sono stati raccolti nel museo di Avignone e i gioielli sono stati al centro di una grande esposizione al Louvre nel 2006.
Dovremmo forse chiedere che queste opere rientrino in Italia? Credo che occorra fare una distinzione, caro Gittardi, fra le opere che sono state trafugate recentemente, come il cratere di Euphronios o l’atleta vittorioso di Lisippo, e quelle che sono stabilmente collocate da molto tempo nei principali musei del mondo. Abbiamo un patrimonio artistico che ci rappresenta ed è visto quotidianamente dai turisti che affollano il Louvre di Parigi, le National Gallery di Londra e Washington, il Metropolitan di New York, l’Alte Pinakothek di Monaco, l’Ermitage di Pietroburgo. Quante persone vedrebbero quelle opere se tornassero in Italia e finissero in musei che sono, con qualche eccezione, modestamente frequentati?
Sergio Romano