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 2010  aprile 18 Domenica calendario

«GIANFRANCO NON LO SENTO PIU’. E NON MI DISPIACE»

Maurizio Gasparri, vi siete sentiti, in questi giorni tempestosi, con il presidente Fini? «No, mai». Vi sentite sempre meno? «Non capita frequentemente». Maurizio (Gasparri) aveva 17 anni, Gianfranco (Fini) 21. Era il 1973. Funerali dei fratelli Mattei, bruciati dentro casa a Primavalle. Si conobbero lì. Poi, frequentarono assieme la sezione del Msi di via Sommacampagna. Dal 1987 Fini fu segretario e di Gasparri si scrisse: "La sua fedeltà al capo è indiscussa, la sua obbedienza militare".
Gasparri, le dispiace quello che sta succedendo?
«Nessun dispiacere. Da tempo fra me e Fini c’è solo dibattito politico. E non condividiamo gli stessi obiettivi. Oggi ho buoni rapporti con molti ex An ed ex Forza Italia. E ho un ottimo rapporto personale con Berlusconi».
Tutto cominciò a mutare da quando lei fece il ministro delle Comunicazioni nel governo Berlusconi 2001-2005. Poi ci fu il famoso colloquio al bar fra lei, La Russa e Matteoli in cui criticavate il leader...
«Il problema vero è che io sono rimasto sulle posizioni che abbiamo sempre espresso: Lui invece è diventato un innovatore, ha cambiato idea su tante cose. Con pieno diritto, beninteso». Ora lei è più «di destra»? «Io sono per la difesa della famiglia, per la tutela delle forze dell’ordine, per il diritto alla vita, contro l’immigrazione clandestina». Fini, da parte sua... «Eh, il caso Englaro, il diritto di voto agli immigrati, il sì al referendum sulla fecondazione artificiale... Ma se un capo di partito cambia idea, dirigenti e militanti devono adeguarsi? Mi sembra uno scenario alla Orwell».
Fini ha detto a Berlusconi che gli ex di An che ricoprono ruoli nel partito e nel governo sono stati «comprati», ormai «al servizio» del presidente del Consiglio.
«Diciamo che credo alle smentite e penso che siano frasi mai pronunciate».
Fra le richieste di Fini ci sarebbe la sostituzione degli uomini che oggi occupano il 30 per cento di «quota An» nelle cariche. La Russa si è detto pronto a un passo indietro, se Berlusconi lo chiede.
«Nessuno detiene l’esclusiva del 30 per cento. In quella quota, stabilita alla fondazione del Pdl, sono comprese idee e uomini che furono di An». Lei farebbe un passo indietro? «Se si tratta di "salvare la patria", cedo il posto di capogruppo al Senato. Non contano però solo i patti, ci vuole anche il consenso. E credo che oggi sarei rieletto dai senatori pdl con un plebiscito».
C’è un futuro per Fini e i «finiani»?
«Se andranno alla scissione, questo porterà alla crisi e alle elezioni. E di solito chi crea rotture paga un prezzo pesante. Ma io mi auguro che non ci saranno scissioni, come scrivono anche i 14 senatori pdl che si sono riuniti a pranzo e hanno firmato un documento equilibrato: lo potrei sottoscrivere».
In quel documento si chiede più dibattito interno al Pdl.
«Questa è la strada. Ma non è vero che Berlusconi non discuta. Per esempio, non voleva accordi con l’Udc, non voleva la candidatura Polverini: ma ha ascoltato e cambiato idea. Però Fini ha ragione a lamentarsi per la consegna a Napolitano della bozza sulle riforme, senza che lui ne sapesse nulla».
Ci sono anche problemi personali fra Fini e Berlusconi?
«I due sono molto differenti. Berlusconi tende a mescolare rapporti personali e rapporti politici. Fini è freddo. Poi, forse Fini vive l’esperienza da presidente della Camera come limitativa. fisiologico che un leader curi le sue prospettive future, e l’ultima vittoria della Lega lo ha messo in grande allarme».
Possono aver pesato i servizi di «Striscia la notizia» su Elisabetta Tulliani, la compagna di Fini? O i continui attacchi del «Giornale»?
«Non aiutano la comprensione reciproca».
Andrea Garibaldi