Alberto Mingardi, Il Sole-24 Ore 16/4/2010;, 16 aprile 2010
SE ANCHE LO STATO VA IN BOLLA
possibile prevedere le crisi? E soprattutto, sono regolatori e banchieri centrali a poterlo fare? Queste domande tornano non solo nell’ampio dibattito di cui ha dato conto Il Sole 24 Ore, ma influenzano inevitabilmente la nostra lettura della testimonianza resa da Alan Greenspan innanzi alla commissione d’inchiesta governativa incaricata d’indagare sulle cause della crisi finanziaria.
Greenspan si è presentato all’appuntamento come un imputato pronto a difendersi.
Sono poche le figure che hanno visto la propria reputazione svaporare a una tale velocità. Per lungo tempo si è pensato, per citare Andrew Ross Sorkin, che Greenspan stesse alla politica monetaria come Warren Buffett agli investimenti. O Tiger Woods al golf. Quand’era in carica, John McCain sosteneva che, fosse mai venuto a mancare, l’unica speranza per mantenere a galla il paese sarebbe stata mettere al cadavere un paio d’occhiali scuri e fare finta di nulla. Fra i democratici, non godeva certo di minor apprezzamento. Eppure, da "Maestro" a primo indiziato della grande crisi, il passo è stato strepitosamente breve.
A Greenspan sono state rivolte le critiche le più varie.Mentre buona parte dell’opinione pubblica mondiale gli imputa un’"eccessiva fiducia" nella capacità di autoregolamentazione dei mercati, immaginando che abbia omesso d’intervenire dove invece sarebbe stato necessario, un importante economista monetario come John Taylor, in un lavoro sintetico quanto illuminante ( Fuori strada. Come lo stato ha causato, prolungato e aggravato la crisi finanziaria , Ibl Libri, 2009) ha dimostrato con un’analisi controfattuale che, se la Fed non avesse mantenuto tassi d’interesse bassi come ha fatto fra il 2002 e il 2004, non ci sarebbe stato il boom del mercato immobiliare che poi si è inevitabilmente trasformato in un crack.
Per Taylor, «la causa primaria del boom sono stati eccessi nella politica monetaria. La Fed ha mantenuto il tasso d’interesse, specialmente nel 2003-2005, a un livello ben inferiore a quello che una buona politica avrebbe prescritto sulla base delle esperienze concrete del passato. Più elevato è stato il grado di eccessi monetari, maggiore è stato il boom nel mercato immobiliare ». La Fed mantenne allora il tasso effettivo ben al di sotto del tasso stimato che sarebbe stato adeguato all’obiettivo di mantenere l’inflazione al valore del 2%, con un divario che dalla metà del 2003 al 2005 fu di 200 punti base o più.
La politica della Fed di abbassamento dei tassi d’interesse a breve termine non solo alimentò la crescita del volume di denaro del prestito immobiliare (come ha detto Soros, «quando il denaro è gratuito, chi lo presta in maniera razionale continuerà a prestarlo fino a quando non c’è nessun altro che concede prestiti») ma ebbe anche conseguenze non volute sul tipo di ipoteche che venivano sottoscritte.
Nella sua autodifesa, lo stesso Greenspan ha accettato di ridimensionare la propria figura, per evidenziare come il ceto politico americano soffra «di un po’ di amnesia». Il quadro che ne è uscito è quello di una Banca centrale meno autonoma di quanto a tutti piacesse pensare.L’ex governatore ha rievocato le pressioni subite da parte del Congresso. Ha spiegato come le decisioni prese dalla Fed dovessero comunque godere di «un ampio consenso», e di fatto ha ricordato come il boom immobiliare sia stato almeno in parte «coltivato» dalla politica.
Greenspan ha un ottimo argomento dalla sua: il costante rifiuto di Washington di fare i conti con i due giganti para-pubblici Fannie Mae e Freddie Mac. Fannie e Freddie, acquisitori d’ipoteche sostenuti dal governo, vennero spinti a promuovere «l’alloggio a prezzi accessibili » attraverso la concessione diffusa di prestiti non-prime a richiedenti a basso reddito.
L’espansione delle ipoteche a rischioconcesse a mutuatari sottoqualificati fu promossa dallo stato anche in altri modi. Per esempio, tramite incentivi fiscali e attraverso regolamentazioni per cui gli standard di sottoscrizione di una banca che non consentivano una percentuale relativamente alta di approvazioni di prestiti ipotecari alle "minoranze" erano "arbitrari" e "irragionevoli".
Nel periodo 1997-2005, la percentuale dei proprietari di casa negli Stati Uniti crebbe «in tutte le regioni, in tutti i gruppi di età ed etnici, nonché in tutte le fasce di reddito» (come ha notato Robert Shiller). Il troppo non era mai abbastanza: l’idea che fosse auspicabile favorire la proprietà della casa, cara alla classe politica americana sin dai tempi del New Deal, è stata spinta all’estremo.
Greenspan, per la verità, non era stato parco di avvertimenti circa le due government- sponsored enterprises neanche quand’era alla Fed: ma davanti al Congresso ha in qualche modo, per la prima volta, ammesso di aver adottato decisioni di politica monetaria anche sulla base di necessità evidentemente «politiche». Una chiamata di correo? Forse è importante rifletterci, non solo per ricostruire le cause della crisi ma soprattutto per calmierare le nostre aspettative, rispetto al ruolo che regolatori e banche centrali potranno giocare negli anni a venire.
a loro che si chiede di "mettere in sicurezza" i mercati - mentre, nel contempo, le pressioni politiche non sono diminuite ma cresciute da che c’è la crisi. Ma se a queste pressioni un banchiere di straordinaria reputazione, acclamato da destra e sinistra, come Greenspan per sua stessa ammissione non riusciva a resistere, è ragionevole immaginare che altri, meno personalmente forti innanzi alla politica, possano farlo? L’opinione pubblica oggi tende a sovraccaricare di domande le autorità di regolazione e le banche centrali. Ci aspettiamo che se non gli economisti tutti, perlomeno i regolatori possano "prevedere" le prossime bolle e sgonfiarle per tempo. saggio farci affidamento?
La crisi ha prodotto uno scetticismo diffuso circa le capacità di autoregolazione dei mercati. Se a questo scetticismo si accompagnerà una fede sempre più accesa nella capacità di regolazione da parte delle autorità, rischiamo di andare incontro a cocenti delusioni. Quando persino uno come Greenspan passa dagli altari alla polvere, è normale che aumenti il nostro bisogno di certezze. La linea che separa certezze e illusioni, però, è spesso sottile.