Mario Cervi, il Giornale 16/4/2010, pagina 47, 16 aprile 2010
Lettera a Mario Cervi - VITTORIO EMANUELE III NON HA SCUSE PER I FATTI DELL’OTTO SETTEMBRE - Caro Cervi, ho letto la sua recensione del libro di Petacco e Mazzuca, e Le chiedo: come poteva il Re mettere in dubbio le parole di Badoglio e dei vertici militari, che lo invitavano a lasciare Roma? Erano persone che avrebbero dovuto più di tutti conoscere la situazione delle nostre truppe
Lettera a Mario Cervi - VITTORIO EMANUELE III NON HA SCUSE PER I FATTI DELL’OTTO SETTEMBRE - Caro Cervi, ho letto la sua recensione del libro di Petacco e Mazzuca, e Le chiedo: come poteva il Re mettere in dubbio le parole di Badoglio e dei vertici militari, che lo invitavano a lasciare Roma? Erano persone che avrebbero dovuto più di tutti conoscere la situazione delle nostre truppe. Più del Sovrano, che fino all’ultimo voleva restare a Roma: legga il Diario del Generale Puntoni, aiutante del Re. Senza l’8 settembre, l’Italia avrebbe rischiato la fine della Germania: rasa al suolo e divisa in due. Perché dice che il Principe Umberto si disinteressò delle truppe? Fu lui a ricostituire una frangia del nostro Esercito. A Montelungo si distinse, tanto che gli Americani lo proposero per la Silver Star. Come vede, Casa Savoia fece quello che era doveroso fare. Pietro Pisu Cagliari Caro Pisu, l’8 settembre e la ”fuga di Pescara” sono un inesauribile motivo di polemiche. C’è chi, come lei, assolve Vittorio Emanuele III da ogni colpa, e gli attribuisce anzi il merito d’avere evitato, grazie all’armistizio, che l’Italia fosse rasa al suolo e divisa come la Germania; e c’è chi non gli perdona i risvolti miserevoli del ”tutti a casa”. Ho avuto occasione di riaffrontare il tema con la recensione del libro La resistenza tricolore, ed ho amichevolmente mosso un appunto agli autori Petacco e Mazzuca per l’eccessiva indulgenza - a mio avviso – verso i reali e verso Badoglio. Tutti ansiosi d’imbarcarsi sulla corvetta «Baionetta» e raggiungere Brindisi mentre le forze armate italiane si disintegravano nella maniera più umiliante. Confermo la mia opinione. Per l’Italia, su questo non c’è dubbio, fu conveniente l’essersi arresa agli angloamericani. Dovevamo uscire dal conflitto nel quale Mussolini ci aveva con tracotante leggerezza precipitati. L’armistizio evitò al nostro Paese la sciagura d’essere in parte occupato da truppe sovietiche, e di dover cedere al maresciallo Tito anche Trieste. Ma il rapporto di forze con i tedeschi era tale che dal conflitto saremmo potutiuscire a testa alta. Kesselring era pronto a ritirarsi fino al Po, se solo i capi militari italiani avessero avuto un minimo di capacità e di coraggio. I paragoni con la regina Guglielmina d’Olanda o altri non reggono, perché quei regnanti erano incalzati dai tedeschi vittoriosi, e l’8settembre la Germania era invece alle corde. vero, il Re fu indotto a lasciare precipitosamente Roma dai suoi generali, e da un maresciallo d’Italia che aveva nome Pietro Badoglio. Ammetto che l’anziano Vittorio Emanuele III dovesse ascoltare i suoi consiglieri. Ma quando vide, sul molo di Ortona a Mare, la calca indegna di generali che avevano abbandonato i loro posti di comando e che sgomitavano per essere imbarcati sulla Baionetta, avrebbe dovuto farli arrestare dai carabinieri e se del caso fucilare. Macché. Alcuni, come Roatta, furono indecentemente confermati nei loro incarichi. Ho accennato al fatto che il principe Umberto, pur dignitoso nella tragedia ”manifestò l’intenzione di tornare a Roma - ebbe un atteggiamento passivo. Non risulta abbia mai chiesto quale fosse la sorte del ”gruppo armate sud” posto nominalmente ai suoi ordini. Fu travolto dagli avvenimenti, e travolti furono anche, senza ordini, i suoi soldati. Contribuì poi a ricostituire un embrione d’esercito italiano, ma le due cose hanno poco a che vedere l’una con l’altra. Secondo me casa Savoia fece, nella circostanza, ciò che era inevitabile fare - ossia arrendersi – ma lo fece nel più vergognoso dei modi.