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 2010  aprile 16 Venerdì calendario

IN AUMENTO I TERREMOTI

Il cratere di un vulcano in Alaska, il Mount Herebus, che ribolle fra i ghiacci come il collega Eyjafallajokull, anche se il magma rimane all’interno del cratere: sono le immagini dell’ultimo docu-film del regista tedesco Werner Herzog, «Incontri alla fine del mondo», che rendono l’idea di quanto enormi e frequenti - appena si osservi il registro geologico - possano essere certe eruzioni vulcaniche, e di quanto pesanti siano le conseguenze sul clima e l’attività umana.
Domenico Patanè, direttore della sezione di Catania dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), ricorda che l’Islanda è un’isola vulcanica, sulla dorsale oceanica Atlantica, con fondali «tappezzati di vulcani».
Professor Patanè, che cosa dobbiamo aspettarci dal vulcano islandese?
«L’Eyjafallajokull ha eruttato dopo due secoli di quiescenza, vicino ce n’è un altro, il Katla, che recentemente ha dato segnali di attività. Alcuni colleghi islandesi ritengono che ci potrebbero essere ripercussioni anche su questo secondo vulcano, la cui ultima eruzione risale al 1981. Questa volta però potrebbe essere più intensa. La copertura di ghiaccio innesca esplosioni freatiche con grande produzione di nubi vulcaniche».
Pare che anche l’Etna stia dando segni di risveglio.
«Sì, da qualche giorno è in agitazione. Prima c’è stato uno sciame sismico. Per ora l’attività è limitata ai crateri sommitali. E’ un risveglio, dopo il periodo di ”ricarica’ cominciato più o meno un anno fa».
Terremoti in Cile, ora in Cina. C’è un collegamento?
«Eruzioni e terremoti sono abbastanza connessi fra loro, rappresentano le dinamiche del pianeta terra. Ma che ci siano strette relazioni è ancora tutto da dimostrare, anche se le ricerche proseguono attentamente. Negli ultimi decenni il pianeta ha sicuramente mostrato un particolare stato agitazione, il numero medio di terremoti sta aumentando: negli Anni 70 e 80 quelli con magnitudo superiore a sei erano in media un centinaio l’anno, a partire dagli Anni 90 sono diventati 150. Compreso quello disastroso in Cile, di magnitudo otto».
Qualcuno parla di cicli.
«Sì, esistono cicli di attività, avvenne agli inizi del ”900 e fra gli Anni 30 e 60. Con il progredire della sismologia le segnalazioni aumentano, con il crescere della popolazione e del traffico aereo cresce anche l’impatto sull’uomo. Come per i terremoti, legati naturalmente anche alla fragilità delle abitazioni».
Sono molti i vulcani attivi?
«Sì, diverse centinaia. Sono stato recentemente in Cile per una conferenza internazionale che si occupava proprio delle conseguenze che l’emissione di nubi vulcaniche hanno sugli aerei. Ho verificato che diversi vulcani potrebbero entrare in eruzione, in quel Paese. Infatti negli Anni 60, quando si verificò un terremoto di magnitudo 9.2, alcuni vulcani si attivarono. Dagli Anni 80 ci sono stati parecchi incidenti aerei, anche se non mortali. Molti velivoli hanno attraversato le ceneri vulcaniche, ma hanno avuto problemi ai motori. In Alaska, nel 1989, a un aereo che sorvolò il vulcano Redoubt durante l’eruzione si spensero addirittura i motori. L’apparecchio scese velocemente da 25 a 12 mila piedi senza che il comandante li potesse usare. Poi riuscì fortunosamente a riavviarli».
Come stanno i nostri vulcani?
«I nostri sono fra i meglio monitorati al mondo, l’Etna in particolare. Abbiamo installato oltre cinquanta strumenti differenti, una rete di telecamere a banda termica, all’infrarosso, controlliamo l’attività sismica, con la Protezione civile simuliamo le emissioni di cenere per deviare il traffico aereo. Come avvenne fra il 2001 e il 2003, quando le nubi vulcaniche incombevano sull’aeroporto di Catania».