Federico Fubini, Corriere della Sera 15/04/2010, 15 aprile 2010
IL FOGLIO ARTICOLI - SOROS: L’EURO? A RISCHIO. UNA MONETA INCOMPIUTA - A 80
anni, George Soros è a un passaggio unico della sua vita. Forse quello che aveva sempre atteso. Il ragazzo che per sopravvivere si dette una falsa identità nella sua stessa città natale (a Budapest, nel 1944), il lucido speculatore detestato dagli italiani quando puntò sul tracollo della lira nel ”92, ha varcato il suo traguardo. Da qualche tempo non è più considerato solo uno dei grandi investitori viventi. Anche il suo ruolo intellettuale, da allievo di Karl Popper, attrae grande interesse: la sua teoria della riflessività, la capacità irrazionale dei mercati di amplificare le tendenze fino a mutare gli equilibri dell’economia, si afferma sempre di più. A inizio anno Soros si è ritirato dall’attività nel suo Quantum Fund, sul tavolo tiene l’edizione americana di «Se non ora, quando?», epica di guerra di Primo Levi. Ma il suo sguardo non è rivolto al passato: Soros non lascia passare un grande dibattito globale senza far sentire la sua voce.
Lorenzo Bini Smaghi della Bce sostiene che con il piano per la Grecia l’Europa ha evitato la sua Lehman Brothers. Concorda?
«Sono certo che la Grecia possa essere salvata, perché il governo sta prendendo tutte le misure necessarie: se avrà bisogno di aiuto l’Europa dovrà rispondere. Ma c’è un vero problema sull’atteggiamento dei tedeschi. Non vogliono essere l’ufficiale pagatore per i Paesi dell’Europa del Sud che non sanno regolarsi e hanno anche dei vincoli costituzionali. Il punto è che, per aiutare davvero, i tassi del prestito a Atene dovrebbero essere più bassi possibile».
Sono al 5% circa: i governi europei che offrono fondi alla Grecia finiranno per guadagnarci.
«Già. Dunque è controproducente ed è un errore tecnico, perché ciò rende più difficile per la Grecia uscire dalla buca e rivela reali problemi nell’euro in sé. Tutti sapevano che l’euro, così come fu costruito a Maastricht, era un’incompiuta: aveva una banca centrale, ma non una politica di bilancio comune, lasciava ai Paesi l’impegno di tenere il deficit sotto al 3% del Pil. Praticamente nessuno ha rispettato quel limite».
La Germania fu la prima nel 2003 a rifiutare di subire le multe del Patto di stabilità.
«Ciò suggerisce che il Patto di stabilità ha fallito e ora abbiamo Paesi del tutto fuori rotta. Qui manca qualcosa, che va aggiunto. In passato c’è sempre stata la volontà politica di fare un passo in avanti, ora è molto dubbio che ci sia. Ma è da questo che dipende il futuro dell’euro».
L’euro era visto come compensazione per la riunificazione tedesca. Eppure Berlino non è mai parsa così isolata nel dopoguerra come oggi. La moneta ha fallito politicamente?
«La riunificazione tedesca è stata la grande forza motrice che ha fatto avanzare l’Europa. La Germania era pronta a pagare qualunque prezzo pur di avere il sostegno europeo su questo, quindi i tedeschi hanno sempre fatto le concessioni che servivano a far avanzare l’Unione europea, quando si cercava un accordo. Non più. I tedeschi si sentono distaccati, concentrati su se stessi e riluttanti a mantenere il loro vecchio ruolo. Per questo il progetto europeo si è bloccato. E se da qui non riesce a andare avanti, andrà indietro. importante capire che se non si muovono i prossimi passi per l’euro, l’euro andrà in pezzi e l’Unione europea anche. Solo questa consapevolezza può ispirare nuovi progressi».
Se si arrivasse a una crisi di questo tipo, che impatto avrebbe sull’Italia e sulla Germania?
«Non è questione di Italia e Germania qui, è che la Germania ha un surplus di bilancia dei pagamenti nell’area-euro e ci sono alcuni Paesi in disavanzo. un fenomeno in crescita ed è difficile invertire questa tendenza perché non possono esserci aggiustamenti valutari nell’area. Dunque o voi riducete i vostri salari o la Germania aumenta i suoi».
I tedeschi non vogliono farlo.
« comprensibile, perché in quel caso le loro imprese investirebbero in altri Paesi anziché in patria. Per questo i sindacati tedeschi collaborano, danno priorità ai posti piuttosto che ai compensi. Insomma c’è un problema di lungo periodo: alcuni Paesi stanno andando avanti con una moneta troppo forte per loro, quindi soffrono la disoccupazione a causa dei vincoli di bilancio. La Spagna ad esempio sta tagliando la spesa, il contrario esatto di quanto insegnava Keynes».
Cioè non c’è uscita, a meno che i Paesi dell’euro-periferia non accettino anni di deflazione e di recessione?
« una prospettiva cupa e difficile. per questo che abbiamo bisogno di una formula che permetta a certi Paesi di non tagliare il bilancio così drasticamente. Abbiamo bisogno di una specie di Fondo monetario europeo, che renda l’aggiustamento meno doloroso».
Come pensa che la riflessività dei mercati sia cambiata dopo le catastrofi di questi tre anni?
«La riflessività c’è sempre, è una costante. Negli anni passati, quelli che io chiamo della "super-bolla", i mercati si erano allontanati da un andamento sostenibile come mai prima dal 1945».
Ora stanno ritornando in linea?
«Dopo Lehman, le autorità si sono impegnate in una complessa operazione di salvataggio in due fasi. Nella prima hanno rinforzato gli squilibri preesistenti e solo nella seconda fase cercheranno di correggerli. C’era un eccesso di debito nell’economia e il credito privato era al collasso, quindi i governi hanno rimpiazzato il settore privato».
il punto in cui siamo ora, no?
«Sì, ed è per questo che abbiamo il problema del debito pubblico greco. Siamo sopravvissuti alla crisi, ma gli effetti degli eccessi dobbiamo ancora sentirli, la correzione è appena iniziata».
Declina anche la fede nell’efficienza superiore dei mercati, quella tipica degli anni dell’America superpotenza unica?
«Il fondamentalismo di mercato è chiaramente legato al dominio americano nel mondo. L’America ha promosso un ordine mondiale in cui lei era più uguale degli altri, nel senso orwelliano del termine. Senz’altro ha tratto grandi benefici dall’essere al centro dell’economia mondiale, perché per anni ha potuto consumare il 6,5% più di quanto producesse. Ora la musica si è fermata. Un enorme aggiustamento è in corso e si riflette anche nel mondo delle idee. Ora c’è il pericolo che molte delle conquiste della civiltà occidentale vadano perdute in questo processo: in particolare, la libertà individuale».
Federico Fubini